Per chi vive al Sud, ma anche per chi lo osserva da remoto, è un dato di fatto che la sua realtà sta diventando sempre più difficile. E non c’è bisogno del Rapporto Svimez, né di quello del Censis, né tantomeno delle inchieste del Sole 24 ore, per capire che se non si cambia registro, le nuove generazioni difficilmente pianteranno le tende nei paesi o nelle città che furono dei loro genitori o dei loro nonni. E tutto questo perchè il Sud  “non tira più” nelle corde professionali o sentimentali dei giovani. Viene vissuto e molto spesso percepito come un territorio fortemente limitato, nel suo sviluppo, da tanti problemi. Che non sono soltanto  economici e sociali, ma che investono ormai anche il suo profilo istituzionale.

Secondo i più pessimisti, anziché andare avanti stiamo addirittura  tornando indietro. E questo perché la disoccupazione cresce, la povertà aumenta, mentre  si amplia sempre più il divario tra il Sud e in Nord del Paese. Per non parlare poi della criminalità organizzata, della corruzione, della scarsa  qualità dei servizi pubblici e della bassa, bassissima partecipazione civica. Senza nulla togliere al peso specifico delle questioni economiche e sociali, vorrei per un attimo concentrarmi su un altro elemento. Un fattore che contribuisce, e non da poco, a questo stato di crisi in cui versa il Mezzogiorno. Mi riferisco al suo assetto istituzionale e in particolare al suo modello regionalista.  Io credo che una sua incisiva riforma potrebbe  dare al Sud  un profilo molto più snello e autorevole.  Un nuovo soggetto istituzionale che dovrebbe collocarsi, senza trascurarne nessuna, tra la dimensione locale,  statale  e quella europea. Una Macroregione, tanto per essere chiari, da costruire insieme e con  larghissimo consenso. A  cui andrebbe conferita  un’ampia autonomia per non commettere più gli errori del passato e porsi come obiettivo solo la prassi del Buongoverno.  Sarebbe un’ottima occasione per il Mezzogiorno, per confrontarsi  con altre realtà  e ottenere più agibilità e visibilità in Europa.

Negli anni ’80, la Fondazione Agnelli condusse uno studio sulla divisione dell’Italia in macroregioni e sui potenziali benefici per il Paese e i suoi cittadini. Questo studio  evidenziò l’eccessiva frammentazione amministrativa e politica delle regioni italiane, che risultava costosa da gestire. L’idea era quella di creare blocchi territoriali più omogenei e sinergici dal punto di vista economico. E  si incoraggiò, in questa nuova suddivisione territoriale, la proposta di creare una Macroregione meridionale, per favorire la cooperazione territoriale tra le regioni, valorizzare le loro potenzialità e superare le loro tante criticità. Una Macroregione congegnata come una vera e propria entità politica. Dotata di una certa autonomia e di una rappresentanza propria nei confronti dello Stato centrale e dell’Unione Europea. Essa avrebbe il compito di elaborare e attuare strategie comuni in materia di sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale, nonché di gestire i fondi europei e nazionali destinati al Mezzogiorno

Ma quali sarebbero i vantaggi di una simile Macroregione?  Il primo e più importante vantaggio, potrebbe essere il  rafforzamento del senso di appartenenza e di identità delle popolazioni del Sud. Un comune sentire che, in prospettiva, potrebbe favorire la coesione sociale e la partecipazione civica. Una Macroregione al Sud permetterebbe anche  di sfruttare le sinergie e le complementarità tra le diverse realtà territoriali, valorizzando le risorse e le opportunità di ciascuna.

Soprattutto,  darebbe maggiore voce e peso politico alle regioni meridionali, sia a livello nazionale che europeo, rendendole più visibili e influenti nelle decisioni che le riguardano. Detto questo, però, non possono non essere  sottovalutati  i rischi e gli ostacoli di un simile percorso.

Per realizzarsi, oltre ad un ampio consenso politico e sociale, la Macroregione richiederebbe una riforma costituzionale per definirne Statuto e competenze. Le Regioni del Sud, così come le conosciamo oggi, subirebbero una profonda trasformazione. Potrebbero essere rivisti, in senso migliorativo, i loro poteri di  programmazione, così come quelli di gestione. Con la Politica che si occupa dei primi e con la struttura manageriale che si dedica ai secondi. C’è anche da aggiungere che una Macroregione del Sud potrebbe generare tensioni e conflitti con le altre regioni italiane. In particolare con quelle del Nord, che potrebbero temere una riduzione della loro autonomia e del loro contributo al bilancio nazionale. L’idea, comunque, è ambiziosa e stimolante e potrebbe offrire una nuova prospettiva di sviluppo e di integrazione per le regioni del Sud.  In questo settore, a dire il vero, non mancano esempi di cooperazione tra le regioni meridionali in campo culturale o scientifico. Tanto per citarne uno, Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha stipulato dei Protocolli Esecutivi di cooperazione bilaterale nel campo della cultura con diversi Paesi, tra cui alcuni del Sud  Europa, come la Grecia, la Turchia e la Serbia. Questi protocolli prevedono lo scambio di esperienze, la promozione di eventi e progetti culturali, la valorizzazione del patrimonio artistico e la mobilità di operatori e studenti

La Commissione Europea, già dal 2016, ha lanciato una strategia per le relazioni culturali internazionali, che ha come obiettivo la promozione della cultura, per il dialogo interculturale e per la pace. La strategia si basa su tre pilastri: sostenere la cultura nei rapporti esterni dell’UE, promuovere la mobilità e lo scambio di persone e idee e rafforzare la cooperazione culturale con i partner internazionali. Volendo sintetizzare al massimo, potremmo dire che accanto agli inevitabili rischi e ostacoli di questo progetto, i benefici sarebbero tanti. Destinati ad aumentare nel tempo, se le classi dirigenti si dimostreranno all’altezza di poter competere con le altre più efficienti burocrazie nordeuropee.

Per onestà intellettuale, comunque, dobbiamo ammettere che le sfide e i rischi sono tanti. Riguardano  innanzitutto le diversità culturali. Le Regioni del Sud hanno storie, tradizioni e culture uniche. La creazione di una Macroregione richiederebbe, pertanto, un equilibrio tra integrazione e rispetto di queste identità locali. Potrebbe essere difficile conciliare quelle esistenti con una nuova entità più ampia, perché entrano in ballo  anche le disparità economiche. Non tutte le Regioni, infatti,  hanno lo stesso livello di sviluppo. Alcune potrebbero beneficiare maggiormente della Macroregione, mentre altre potrebbero sentirsi svantaggiate. Da non sottovalutare anche la gestione delle risorse. Una Macroregione più grande richiederebbe una pianificazione e una gestione più oculata ed efficiente dei fondi statali ed europei. E per ultima, ma non certo per importanza, c’è la questione legata alla Politica e alla rappresentanza dei territori. Le diverse aree avrebbero la stessa voce in capitolo? E i suoi rappresentanti, come verrebbero eletti? In poche parole, la Macroregione al Sud potrebbe recare  senz’altro benefici, ma richiede un approccio originale, slegato da provincialismi culturali o da campanilismi ormai fuori dalla Storia. Perché il progetto possa andare a buon fine, dovrà essere  proiettato in una dimensione politica nuova, che sappia conciliare le identità, le tradizioni locali,  e l’unità nazionale, con una dimensione sovranazionale. Una prospettiva cui dovrà adeguarsi anche il Mezzogiorno se vorrà  contribuire, non più da  emarginato ma da protagonista, alla costruzione di un’Europa ancora più unita, più libera e forte,

 Michele Rutigliano

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