Nel corso della recente campagna elettorale statunitense e durante il faticoso conteggio dei voti espressi, abbiamo avuto modo di sentire le opinioni di molti commentatori, intellettuali e politici nostrani, in larga maggioranza esplicitamente schierati a favore dell’uno o l’altro candidato (in prevalenza per Joe Biden). In alcuni casi limitati, è stato possibile ascoltare analisi oggettive da parte di chi conosce molto bene il Paese a stelle e strisce per avervi a lungo soggiornato e lavorato, o perché ne ha fatto e ne fa oggetto di studi accurati. Il quadro emerso da questi contributi si discosta alquanto da ciò che sempre ci viene proposto dai media, e merita di essere preso in considerazione.

La più parte degli europei non riesce a comprendere la realtà americana perché guarda a questo Paese con gli schemi interpretativi utilizzati per il vecchio continente. In particolare gli europei hanno difficoltà a capire la politica americana. In materia, il primo aspetto da tenere presente è che questa normalmente conta assai poco per i comuni cittadini. Molti di loro (in specie in quel midwest che rappresenta l’America profonda) si occupano maggiormente dei fatti locali (come chi possa essere lo sceriffo della propria contea) che degli eventi politici nazionali. Ai comuni cittadini, non interessa tutto quanto riguarda l’estero, a meno che il Paese entri in guerra. In tal caso, saranno patrioti fino a quando il protrarsi della situazione bellica non comporti una eccessiva perdita di vite americane, e allora si faranno sentire per riportare a casa i “ragazzi”. Più attenzione viene indirizzata ai risvolti economici delle politiche presidenziali e alle ricadute su occupazione e retribuzioni, sicché la credibilità dei candidati alla Presidenza su tali temi sovente è la carta vincente nel confronto elettorale.

In Europa, si attribuiscono al Presidente americano molti più poteri di quanti ne abbia realmente. Deve sempre confrontarsi con Camera e Senato, talora dominati dall’opposizione. Nella politica estera, sono gli apparati securitari a condurre il gioco garantendo la continuità delle condotte che hanno assegnato alla nazione la leadership planetaria. Inoltre, su numerose questioni di rilevanza interna, la Corte Suprema pone marcati limiti di azione agli atti dell’esecutivo.

Una caratteristica del Paese è di essere poco normato. A differenza di quanto capita da noi, dove per tutte le cose c’è una legge con divieti o prescrizioni di linee di condotta, in America il numero di leggi è ridotto al minimo. Contano le consuetudini e le tradizioni, che ben pochi politici (a parte Trump) si sentirebbero di violare. Ci sono consuetudini e tradizioni generalmente accettate da tutto il Paese, e consuetudini e tradizioni proprie delle varie comunità in cui si articola la nazione.

L’America è considerata il regno dell’individualismo, ma in realtà è in essa diffuso un notevole senso di appartenenza a singole comunità. In questo Paese, il comunitarismo è più forte di quanto lo sia in Europa. All’interno delle comunità, in particolare nei piccoli centri e nelle campagne, c’è vita sociale, impegno volontaristico e solidarietà fra le persone. Ci sono comunità di vario tipo. Quelle di natura localistica o di semplice vicinanza, quelle sulla base della confessione religiosa e dell’appartenenza alle chiese, quelle connesse al gruppo etnico o nazionale originario della famiglia (irlandesi, italiani, tedeschi, ebrei, ed oggi latino americani e afroamericani), e altre ancora.

L’America è un paese violento. Lo è per la sua storia (pensiamo alla conquista del West, al genocidio della popolazione aborigena, i “pellerossa”, alla lunga permanenza del regime schiavistico), e lo è per necessità. Infatti, spiega Diego Fabbri, a partire da Roma antica, ogni grande potenza, o meglio ogni impero (e l’America lo è), esercita il dominio grazie al continuo uso della violenza esterna. Fare continue guerre o guerricciole serve a mostrare i muscoli, a tenere sotto i dominati e a intimidire i potenziali antagonisti.

Ma un Paese al cui interno alberghi una vita pacifica si priva della carica di aggressività che gli necessita periodicamente riversare all’esterno. A tale fine, è indispensabile l’immigrazione in quanto i giovani immigrati sono una importante fonte di volontari da immettere nelle forze armate e inviare nei teatri di guerra più lontani. Tale via è la scorciatoia per diventare cittadini americani, orgogliosi di esserlo.

È stato detto che normalmente la politica conta poco nelle preoccupazioni degli americani, ma oggi abbiamo visto una rilevante partecipazione al voto e una massiccia mobilitazione dei militanti dei due schieramenti. È il risultato prodotto da un Paese spaccato in due parti contrapposte che si fronteggiano ovunque, sempre più duramente, su una serie di questioni; immigrazione, aborto, conflitti fra i sessi e fra i gruppi etnici, nonché il libero possesso di armi, politiche ambientali, ed altro.

Fratture di tale genere si sono verificate periodicamente, e hanno punteggiato la storia del paese: basti pensare alla Guerra di secessione, una guerra civile sanguinosissima che solo in parte riguardava la schiavitù e la sua abolizione. Nella seconda metà del Novecento, ci sono stati il Sessantotto (nato nelle università americane) e la contestazione della guerra in Vietnam.

Perché oggi c’è questa frattura? Ci sono cause specifiche per le varie questioni, ma, sul piano generale, c’è un malessere di cui ogni parte politica imputa la responsabilità all’avversario. In realtà, a determinare tale malessere, è principalmente il venir meno del sogno americano, a causa della globalizzazione: arresto dell’ascensore sociale; giovani che economicamente e socialmente fanno passi indietro rispetto alle posizioni dei genitori; indebolimento della classe media, impoverimento di numerose fasce sociali, diffusa insicurezza, etc. Si tratta di un fatto importante perché tale sogno è sempre stato fondamentale per tenere insieme un paese molto composito.

C’è, inoltre, la stanchezza per il peso imposto alla nazione dal suo ruolo imperiale: non solo il costo dell’impegno militare e il dover essere presenti in ogni parte del mondo, ma anche i risvolti negativi (sui salari e sull’occupazione) di una bilancia commerciale perennemente in passivo per garantire al Paese le importazioni di tutto quanto richiede il mantenimento della leadership planetaria.

Fino a ieri, la valvola di sfogo, quando la violenza interna aumentava troppo, consisteva nel riversarla fuori del Paese, indirizzandola contro i nemici della Patria, i cattivi che non ne accettano i valori e non si sottomettono ad essa. Ma oggi, proprio per la citata stanchezza, diventa difficile imboccare questa strada.

Il risultato è un Paese frantumato, in cui si afferma una sorta di tribalismo. Mentre le comunità tradizionali sono tenute insieme dalla solidarietà tra le persone che ne fanno parte, le nuove tribù lo sono in base all’odio verso gli altri, e lottano fra di loro sempre più aspramente. Sono il frutto di movimenti che vedono come nemico chi non ne fa parte o non condivide le loro idee. Questo tribalismo è un fenomeno alimentato dalle crescenti richieste di riconoscimento e risarcimento delle più svariate minoranze e dalle reazioni che queste provocano in chi da tali richieste si sente minacciato, il tutto inasprito dalle modalità di comunicazione sui social media che escludono ogni dialogo e ogni seria riflessione.

Quanto riportato potrebbe costituire il lato oscuro dell’America, ancorché alcune cose siano positive come il comunitarismo e la connessa solidarietà tra le persone, il volontariato largamente praticato, o la capacità di mantenersi distanti da quel processo di giuridificazione di ogni aspetto della vita sempre più presente in Europa.

Ovviamente, oltre a quello in ombra, c’è il lato in chiaro, quello positivo, che politici e media del nostro Paese ci presentano come l’unico volto della società americana: la fiducia nei propri mezzi, l’impegno nella realizzazione dei progetti, compresi quelli avveniristici, una mobilità sociale ancora oggi maggiore di quella europea, la capacità di attrarre e fare proprie le menti migliori nei più vari campi, etc. Nessuno può metterlo in dubbio. Del resto se così non fosse, l’America non occuperebbe il posto che attualmente ha nel mondo.

Ora, non è qui il caso di esprimere giudizi nei confronti degli USA, giudizi che in genere finiscono per essere sommari e superficiali, come del resto capita nei riguardi di qualsivoglia nazione.

Bisogna cercare di capire un paese come l’America, sapendo che ogni sua mossa può avere ricadute sulla nostra nazione e sull’Europa. La prima cosa che dovremmo tenere presente è che l’America è molto diversa dall’Europa. Non è un pezzo di Europa emigrato al di là dell’oceano che mantiene con il continente di origine una cultura comune. Come ha scritto Alexis de Tocqueville, i primi colonizzatori del Nord America lasciarono l’Europa non solo fisicamente, ma soprattutto spiritualmente. Nella natura selvaggia, nei grandi spazi, si è formato un popolo nuovo, portatore di una mentalità opposta a quella europea. Un popolo tutto teso verso le nuove frontiere e verso il futuro, che considera il passato un ostacolo di cui sbarazzarsi, e che intravede il male in ogni diversità non riducibile ai propri schemi mentali. Connotati che ancora oggi definiscono il nordamericano, anche dopo gli apporti che hanno fornito le successive ondate migratorie, in larga misura, ma non solo, europee.

Di fronte a ciò, molti politici di casa nostra denotano totale incapacità nel comprendere questo mondo. Ne sono esempi Salvini che porta la mascherina con la scritta Trump per qualificarsi come suo emulo italiano; Meloni che presenta il proprio partito come componente di una famiglia politica che ha come riferimento il partito repubblicano statunitense; i dirigenti e i militanti del PD che, fin dalla scelta del nome del partito, si considerano la sezione italiana del grande partito democratico americano.

Dovrebbe bastare il buon senso per evidenziare l’assurdità di una tale condotta che contraddice ogni regola diplomatica nelle relazioni tra nazioni. Come sarà possibile, per coloro che si comportano in tal modo, avere un rapporto positivo con chi, da loro platealmente avversato, fosse giunto alla guida di un Paese come gli USA che tanto incide sulle vicende del mondo, comprese le nostre?.

Ma c’è di più. Lucio Caracciolo ha scritto che, in base al ragionamento geopolitico, è velleitaria l’idea di creare dei legami tra partiti di differenti Paesi superando la dimensione nazionale: infatti, fra gli Stati, ci possono essere solo alleanze temporanee dettate da motivazioni geopolitiche, mai da affinità ideologica.

Politici e opinionisti dovrebbero guardare oggettivamente alla superpotenza d’oltre Atlantico senza lasciarsi influenzare da simpatie o antipatie ideologiche, valutandone le politiche in rapporto agli interessi del nostro Paese. Certo bisogna essere realisti e tenere conto del grande divario di forze. Questo vale per noi e per la più parte dei Paesi europei. Proprio per questo, la nostra comune priorità di europei dovrebbe essere sempre di più l’unità del nostro continente o di larga parte di esso.

In materia, teniamo conto che l’America può arrivare a condividere, in qualche misura, alcune scelte politiche ed economiche con gli “alleati” (multilateratismo, cosa ben diversa dal multipolarismo), ma non è certo disposta a trattare alla pari con un soggetto unitario europeo con capacità politica, economica e militare a lei uguale.

Quindi il cammino unitario europeo sarà difficile. Oltre a misurarsi con l’avversione americana, gli europei dovranno fare rinunce, e assumere in proprio compiti gravosi fino ad oggi accuratamente evitati. Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera” dell’11 novembre scorso, si è chiesto quanto sia realistica la volontà europea di farsi carico della propria sicurezza, ciò che richiede di affrontarne i costi rinunciando a parte del welfare. Inoltre, osserva Diego Fabbri, un governo non in grado di mandare i suoi militari a morire quando è minacciata la sicurezza del Paese o per qualunque causa rilevante per esso, non può mettere in atto alcuna politica estera: necessariamente deve chinare il capo e fare ciò che esige la potenza dominante. È la situazione di larga parte dei Paesi comunitari, con l’eccezione della Francia: non a caso, Macron è l’unico a parlare di sovranità europea.

Senza un cambio profondo della mentalità della più parte degli europei, per l’Europa non vedo futuro in un mondo destinato inevitabilmente a diventare multipolare.

About Author