Piuttosto che ragionare di un “centro” che, in nome della sua vocazione “moderata”, s’interponga tra destra e sinistra, dovremmo, piuttosto, chiederci se la classica dialettica tra conservazione e progresso non debba essere, in un certo senso, rivisitata. Se i criteri, i valori, le categorie interpretative della storia che la caratterizzano, per quanto a loro modo insuperabili, siano o meno in grado di interpretare i mutamenti che ci vengono incontro con un’accelerazione tale da rubarci il tempo, così da impedire che siamo in grado di contenerli, cioè “comprenderli” ed organizzarli entro un orizzonte di senso compiuto, prima che letteralmente ci catturino nelle loro maglie.

Globalizzazione; sviluppo tecnologico e scientifico e temi etici che ne conseguono; digitalizzazione; crescita esponenziale della comunicazione; povertà endemica, soprattutto minorile , ed abissali diseguaglianze tra Paesi ed all’ interno di ciascuno di essi; migrazioni dirette verso l’ineluttabile mix di popolazioni, culture e religioni delle società multietniche e plurali verso cui siamo incamminati; crisi ambientale; aleatoria esposizione a possibili minacce globali com’è successo con la pandemia, non suggeriscono, nella loro contestualità, l’impressione che l’umanità si stia avvicinando ad una soglia critica, come se si preparasse ad un salto epocale enorme della sua storia?

Ognuno di questi processi basterebbe da solo per definire un particolare “stato” dell’ attuale momento storico, cosicché la loro pluralità e la loro coincidenza spaziale e temporale suggeriscono, si potrebbe dire, anche a livello sociale, quella “sovrapposizione di stati” che, se è lecito ricorrere ad una tale metafora, osserviamo a livello della fisica quantistica. Laddove è solo il nostro intervento, la misura che applichiamo ad un ventaglio illimitato di possibili evoluzioni, a codificare, sul piano macroscopico, questo esito piuttosto che un altro. Se ciò potesse valere anche per i fenomeni sociali, potremmo confortevolmente pensare che, per quanto il processo storico in corso si presenti come una schiuma di potenziali sviluppi, differenti ed impredicibili, che si fanno da sé, al di fuori di ogni nostro controllo, è, però, vero che spetta pur sempre a noi il bandolo della matassa, è la nostra “intenzione”, il nostro sguardo a determinare l’approdo di tale cammino.

Conservazione o progresso; primato della libertà, o piuttosto dell’eguaglianza, della solidarietà e della giustizia sociale; cultura dell’individuo, oppure del collettivo; principio d’ autorità e leaderismo o piuttosto principio democratico e partecipazione diffusa. Per quanto queste polarità, nella loro accezione generale, restino a contrassegnare due campi diversi e distinti, è possibile ricondurre le loro declinazioni più immediatamente politiche ad una forma di confronto dialettico e di analisi critica incrociata che cerchi di mettere in luce luoghi e momenti di possibile reciproco riconoscimento, piuttosto che di vicendevole delegittimazione, in vista di una consonanza, sia pure embrionale, eppure necessaria a stabilire almeno quel po’ di reciproca compatibilità, che consenta di governare la complessità?

In effetti, non è forse vero che i lembi della destra e della sinistra talvolta si sovrappongono? Conservazione e progresso sono necessariamente antitetici oppure è necessario conservare alcuni capisaldi per progredire e, ad un tempo, progredire, dare nuova forma a determinati valori perché, anziché smarrirli, possano essere conservati? E’ certo, in ogni caso, che la “politica” come tale, destra e sinistra congiuntamente – a meno che optino per un ruolo ancillare – hanno l’interesse ed il compito comune di salvaguardare il primato del “discorso pubblico” dall’ invadenza sia dei classici cosiddetti “poteri forti”, ma anche, forse soprattutto, da quelli che potremmo chiamare “poteri anonimi”, cioè dalle derive storiche, a cominciare dalla tecnica, il “daimon”, si potrebbe dire, del nostro tempo che si inoltra oltre la stagione della modernità compiuta.

Domenico Galbiati

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