1. Affrontare problemi strutturali con strumenti emergenziali è tipica manifestazione di inadeguatezza nella percezione del rapporto tra mezzi e fini. Ciò è vero a ogni livello, da quello familiare a quello economico, da quello medico a quello educativo. Se poi i problemi strutturali che si affrontano in tal modo sono problemi della “polis”, l’inadeguatezza si traduce in miopia politica, come tale potenzialmente tanto dannosa per la comunità quanto più è importante il problema che viene affrontato in modo inappropriato. Se il problema attiene a gangli vitali dell’ordinamento, la miopia delle scelte politiche si traduce in un conflitto con i principi costituzionali che regolano la vita della comunità, vincolanti per chi è chiamato ad assumere le decisioni politiche.

Con la sentenza n. 41 del 17 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha conclamato a quale livello di gravità sia ormai giunta l’inadeguatezza delle decisioni politiche assunte negli ultimi anni in materia di amministrazione della giustizia in Italia. Il “succo” della recentissima decisione, infatti, è quello di dichiarare incompatibile con la Costituzione (in particolare, con l’art. 106) il sistematico ricorso alla figura dei giudici onorari per l’amministrazione della giustizia in Italia. I giudici onorari sono persone chiamate a svolgere funzioni giudicanti negli organi giudiziari della Repubblica pur non essendo magistrati di professione, ossia pur non essendo scelti per concorso né dediti a tempo pieno all’amministrazione della giustizia, come invece sono i magistrati togati. A fronte di un iniziale utilizzo di queste figure per la “giustizia minore”, per riprendere le parole della sentenza, essi sono stati progressivamente introdotti per sostituire i pretori (giudici di pace), per svolgere funzioni giudicanti monocratiche nei tribunali ordinari (g.o.t.), fino a comporre i collegi nelle corti d’appello e addirittura nella Corte di Cassazione. Il tutto con l’evidente fine di sopperire alla carenza strutturale di magistrati negli organici dell’amministrazione della giustizia.

La decisione suona come monito alle autorità politiche per affrontare funditus i problemi che connotano strutturalmente e da anni la giustizia in Italia, e che fino a ora sono stati gestiti con approccio emergenziale e miope. E’ vero che, sotto il profilo giuridico, conformemente al perimetro della questione rimessa alla sua decisione, la sentenza risulta vincolante per il solo aspetto della partecipazione dei giudici onorari alla composizione dei collegi giudicanti nelle corti d’appello: solo con riferimento a tali funzioni la Corte ha censurato l’incoerenza tra la possibilità, consentita dalla Costituzione, di utilizzo “in via eccezionale e temporanea” di giudici onorari e la prassi che, di fatto, rende tale utilizzo sistematico e strutturale. Ma è anche vero che, evidenziando tale incoerenza fino al punto di dichiararla contrastante con la Costituzione, la decisione squarcia il velo della barcollante gestione dell’amministrazione della giustizia in Italia, e pone il tema al centro dell’ordinamento, imponendo all’autorità politica il dovere di affrontarlo. Altre pronunce di incostituzionalità, altrimenti, seguirebbero e segnerebbero un’ulteriore manifestazione di incapacità della politica di attuare i valori costituzionali e di affrontare realmente i bisogni inderogabili della comunità.

2. In questa prospettiva, è possibile affermare che la decisione della Consulta giunge in un momento cruciale per la vita del Paese, poiché forse per la prima volta sono a disposizione fondi idonei a risolvere i problemi strutturali dell’amministrazione della giustizia in Italia. Se la sostanza della pronuncia, come si è detto, è che non si può sopperire ai bisogni della giustizia sostituendo oltre misura i magistrati togati con i giudici onorari, ne consegue che il cronico affanno della giustizia in Italia va affrontato direttamente, aumentando il numero dei magistrati togati.

Una valutazione così evidente e razionale pare non esserlo per le autorità politiche che fino a oggi si sono confrontate con il problema, esercitandosi nel girarci intorno nei modi più creativi ed estemporanei. Esemplare esercizio d’irrazionalità e inadeguatezza in tal senso è la bozza di utilizzo dei fondi provenienti dal Recovery Fund europeo diramata in data 12 gennaio 2021. Non un euro viene preventivato da investire per l’aumento dell’organico magistratuale, mentre si pensa per es. di risolvere il cronico intasamento dei tribunali mediante affiancamento di pochi giudici con collaboratori e tirocinanti per lo studio delle questioni (uffici per il processo), o di risolvere il cronico arretrato della Cassazione in materia tributaria con l’ennesimo innesto di magistrati onorari ausiliari nei collegi giudicanti.

Come già evidenziato dal Centro Studi Livatino nel documento del 9 febbraio scorso “Proposte per collegare risorse ed efficienza” ( CLICCA QUI ), non è questo ciò di cui ha bisogno il sistema giustizia per ripartire. Oltre al completamento della informatizzazione e digitalizzazione, peraltro in fase avanzata, esso ha bisogno anzitutto di incrementare in modo strutturale il numero di magistrati togati. Potrà essere l’occasione, peraltro, per professionalizzare anche persone che hanno svolto con particolare capacità la funzione di giudici onorari, rispondendo così anche al tema urgentemente posto dalla sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale.

3. Che l’organico magistratuale italiano sia gravemente sottostimato rispetto alle esigenze della popolazione, del resto, lo conclamano i dati comparati: la Commissione per l’efficienza della giustizia presso il Consiglio d’Europa – Cepej, nel rapporto European judicial systems. Efficiency and quality of justice, n. 26, 2018, pag. 106, rileva (con dati riferiti all’anno 2016) che in Italia sono presenti circa 10,6 giudici ogni 100.000 abitanti, cioè meno della metà della media europea (21,5) comprensiva dei Paesi non membri UE (ad es. i Paesi dell’ex URSS, da una parte, e, dall’altra parte, i Paesi di common law, ove il ruolo sociale del giudice è notoriamente diverso, come dimostrato dal salario che a essi viene riconosciuto, triplo rispetto alla media, ivi, pag. 123). Le stesse carenze strutturali riguardano il personale ausiliario, intendendosi come tale la cancelleria e gli ufficiali giudiziari, non tanto i collaboratori allo studio: questi ultimi possono funzionare nelle corti costituzionali o nelle corti supreme, ma non nei giudizi comuni, dove le questioni giuridiche sono strettamente compenetrate con quelle fattuali e dove l’esame complessivo del materiale di causa rappresenta il cuore della funzione del giudice e deve rimanere, al di là di ausili puntuali, attività di diretta pertinenza del giudice stesso (narra mihi factum, dabo tibi ius).

Come evidenziato dal citato documento del Centro Studi Livatino, l’incremento di organico andrà gestito con criteri di razionalità e oculatezza, sia sotto il profilo temporale, sia sotto il profilo della destinazione delle forze aggiuntive. In quest’ultima prospettiva, ferme le necessità degli uffici con maggiore arretrato, una riflessione particolare dovrà essere svolta proprio per quelle Corti d’Appello cui si riferisce la sentenza n. 41/2021 della Corte costituzionale, e per la Corte di Cassazione. Si tratta, di organi giudiziari preposti alla decisione in gradi di giudizio che, sebbene progressivamente e opportunamente svuotati di contenuti innovativi rispettivo ai gradi di giudizio che li precedono, continuano a far registrare le inefficienze maggiori, con udienze fissate in molti casi a distanza di anni, che rendono il tempo medio per la decisione di una causa di quasi mille giorni per l’appello e di quasi 1.500 giorni per la cassazione (European judicial systems. Efficiency and quality of justice, cit., pagg. 242 ss.): e queso benché il processo di fronte a tali corti si risolva di regola in una sola udienza. Risulta allora evidente che il problema sta nella carenza d’organico delle corti stesse e, se questo è il problema, la soluzione razionale per ovviarlo non può che essere quella di incrementare l’organico in modo strutturale e non mediante rattoppi.

4. Quanto fin qui riassunto non significa che i problemi della giustizia in Italia siano soltanto quelli di insufficienza di magistrati e cancellieri. Occorrono anche riforme strutturali di più ampio respiro, che attengono all’ordinamento della giustizia nel suo complesso, e che devono andare al cuore del potere giudiziario per minimizzare il rischio che si ripetano vicende simili agli scandali degli ultimi anni; e riforme tecnico-processuali, che sono quelle attinenti ai riti e agli adempimenti processuali, cui generalmente si allude quando si parla di “riforma della giustizia”. Ma nessuna di queste riforme potrà sortire gli effetti auspicati se l’organizzazione della giustizia non dispone del personale professionale necessario per farle funzionare.

Non sempre la soluzione più semplice deve per forza considerarsi semplicista o errata: nel caso della giustizia civile italiana, la prima cosa da fare è proprio quella di aumentare il numero di giudici professionali e il personale di cancelleria. La sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale sollecita, in via tanto indiretta quanto chiara, l’autorità politica di intervenire in questo senso. Il Recovery Fund pone a disposizione le risorse per farlo: l’efficienza della macchina della giustizia è infatti un fattore essenziale per consentire una ripresa rapida ed equa, e per porre il sistema Italia in condizione di affrontare nuovi eventuali momenti di crisi senza la paralisi che ha caratterizzato il confinamento del 2020.

L’auspicio è che l’autorità politica non lasci sfuggire questo tempo e prenda finalmente atto che, per far funzionare la macchina della giustizia in Italia, non si può più pensare di continuare ad affrontare problemi strutturali con strumenti straordinari. Una giustizia efficiente ed efficace è presupposto essenziale per il godimento dei diritti delle persone e per la competitività del Paese: l’incertezza e l’inefficienza del sistema giudiziario rientrano fra le principali ragioni che scoraggiano i possibili investimenti privati – anche stranieri – in Italia, venendo così a costituire un decisivo fattore di freno per la crescita economica del Paese. Risolvere strutturalmente questi problemi non è un costo, ma un investimento, indispensabile per il rilancio e la competitività, non un mero costo, da valutare e programmare come tale.

Potrebbe essere l’ultima occasione per correggere la miopia, e guardare con occhiali funzionanti al futuro della giustizia in Italia.

Francesco Farri

 

Pubblicato su Centro studi Rosario Livatino ( CLICCA QUI )

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