Aborto terapeutico Sì, aborto genetico No? Con le donne polacche, al loro fianco per evitare che i loro bisogni, la loro solitudine, le loro sofferenze non siano strumentalizzate da politiche di bandiera.  La Polonia non deve recedere dalla Convenzione di Istanbul. L’UE deve ratificarla ora che la pandemia lo esige.

 La sentenza della Corte Costituzionale della Polonia del 22 ottobre scorso sull’aborto getta due sassi, anzi macigni, sulle coscienze ancora vive.

Detta sentenza ha dichiarato la non compatibilità con l’art.38 della Costituzione, la legge nazionale  del 7/1/1993 sulla pianificazione familiare, la protezione del feto umano e le condizioni che consentono l’interruzione volontaria della gravidanza, nella parte in cui consente l’aborto qualora  test prenatali o altre valutazioni mediche indichino  un’alta probabilità di un danno grave e irreversibile del feto o di una malattia incurabile potenzialmente letale. L’art.38 Costituzione della Polonia stabilisce che la repubblica offre a tutti la protezione legale della vita.  Rimane consentito, allo stato, l’aborto nei casi in cui la gravidanza rappresenti una minaccia per la vita o la salute della donna incinta e nei casi in cui esista giustificato sospetto che la gravidanza sia derivato da atto illecito.

Emergono preoccupazioni comprensibili se consideriamo che la sentenza in questione, é emessa in un paese membro dell’UE; che, nel 2019, vi si sono registrati aborti legali giustificati per il 90% da malformazioni del feto, e che la decisione interviene in un tempo particolarmente critico, a causa della riacutizzazione dei problemi delle donne determinata dalla pandemia e in un clima politico della Polonia non favorevole per le donne, stante l’annunciata iniziativa del partito al potere di recedere dalla Convenzione di Istanbul,  che ha per la prima volta qualificato come violazione di diritti umani le violenze contro le donne e la violenza domestica, impegnando gli stati aderenti ad azioni concrete per prevenire ed eliminare tali violenze e le loro conseguenze.

Un macigno colpisce l’ipocrisia dei law makers che, rigettano a priori l’eugenetica come se si riducesse alla pratica nazista che  ha effettuato 400.000 sterilizzazioni coatte e ha eliminato 70.000 persone in attuazione dell’AKTION T4 (  programma nazista  di eugenetica), ma chiudono occhi e orecchie sui problemi della salute prenatale, dal cibo, alle condizioni lavorative e familiari della donna; non investono per la ricerca su cure  a livello prenatale di alcune patologie, non adottano misure sociali atte ad alleggerire il pesante fardello che grava sulle donne in famiglia e nella comunità; non si curano della solitudine della donna alla quale si rinvia di fatto, colpevolizzandola, ogni decisione sulla vita e sulla morte del nascituro, né si curano delle difficoltà abitative, economiche e  sociali delle famiglie.

Il secondo macigno gettato dalla Corte di Varsavia colpisce la superficialità e i ritardi della bioetica nel fornire indirizzi scientifici univoci e universalmente accettabili sull’inizio e sulla fine della vita.

Il diritto alla vita è un diritto fondamentale universalmente riconosciuto e tutelato, ma come altri diritti umani che riteniamo acquisiti e intangibili, nell’epoca attuale, in cui l’imperialismo finanziario, economico, l’invasività della tecnologia nella vita privata, l’espansione dell’autoritarismo di lobby di potere, e l’arretramento del governo della legge (rule of law), e la crisi della democrazia, sono esposti a pericoli concreti di gravi violazioni a beneficio di padroni invisibili della nostra vita, delle nostre menti e dei nostri corpi.

Ma cosa significa oggi “diritto alla vita”? Chi sono i titolari di questo diritto?

Il trattamento e la regolamentazione dell’IVG (Interruzione volontaria della gravidanza) deve rispondere alle anzidette questioni. L’inizio della vita è alla base di regolamentazioni dell’aborto.

Nel nostro paese l’IVG (Interruzione volontaria della gravidanza), attualmente, é regolata dalla legge n.194/78, che consente l’aborto “terapeutico” dopo il primo trimestre di gravidanza, qualora sussistano gravi rischi di malformazione o di patologie del feto ( quindi in sostanza si tratta di un aborto eugenetico), fino a quando il feto possa vivere autonomamente al di fuori dell’utero materno, dopo il raggiungimento di tale autonomia, l’IVG è consentita solo quando la prosecuzione della gravidanza possa comportare un pericolo per la vita della donna e per la sua salute psicofisica ( aborto terapeutico).

La restrizione della permissione dell’aborto dal momento in cui il feto può vivere autonomamente è una questione ancora aperta, e le riforme legislative che verranno nel nostro paese sono di estrema rilevanza per chi ha interesse alla vita, alla salute, alla pianificazione familiare, alla bioetica.

Non si tratta di cercare consensi elettorali in determinati ambienti schierati per la libertà incondizionata della donna o per la tutela incondizionata della vita.

Si tratta di preservare la dimensione umana anche nelle più moderne organizzazioni familiari e statali.

Si tratta di permettere alle future generazioni di abitare il pianeta con dignità, bellezza, desiderio e possibilità di procreare in sicurezza e senza timori dovuti a precarietà economiche, a patologie, a condizioni ambientali sane,  in un caring environment  che i servizi pubblici devono assicurare a tutti, fornendo assistenza e sostegno professionalmente qualificati e gestiti con la massima integrità.

Nell’immediato servono azioni degli stati e della società civile affinché il piano di recedere dalla Convezione di Istanbul non sia attuato dalle autorità polacche.

Abbiamo bisogno di avere anche la Polonia e la Turchia nella lotta contro le violenze contro le donne e la violenza domestica e conferire alle vittime di queste violenze la più alta protezione.

Azioni a livello politico e della società civile vanno incoraggiate per evitare il fallimento della Convenzione di Istanbul in parti dell’Europa che, per storia, cultura e tradizioni sono tessere indispensabili del nuovo mosaico della civiltà giuridica del nostro tempo.

L’UE che ha firmato questa Convenzione dovrebbe non ritardarne la ratifica e adottare provvedimenti comunitari a favore delle donne a fronte dell’emergenza che stiamo vivendo.  Azioni di pressione da parte della società civile hanno valore e rimanere inattivi è colpevole.

Silvana Arbia

 

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