Per l’ennesima volta il Conte 2 è dato sulla via del tramonto. Una storia che si ripete, facendoci restare al leopardiano “il vento Odo stormire tra le foglie” perché poi non succede niente. Ci affliggono le dichiarazioni serali propalate dai telegiornali, inutili quanto ripetitive; genuine come le dichiarazioni dei pappagalli, tutta memoria e nessuna sostanza.

Il “salvo intese” conclusivo  di ogni intesa raggiunta tra Cinque Stelle e Pd  perpetua quelli già messi in pratica nel corso del primo governo Conte con la Lega e, così, il cosiddetto “chiarimento” è un’ipotesi che si rinnova, ma non si concretizza. Eppure, già al primo entrare sulla scena di Mario Draghi con il suo articolo sul Financial Times ( CLICCA QUI ), nel pieno della crisi del Coronavirus si pose, il problema del cambiamento radicale dei modelli di politica economica e sociale seguiti finora( CLICCA QUI ). Un qualcosa che resta sullo sfondo, rinviato a tempi migliori, se mai questi verranno.

Continue fibrillazioni sono provocate soprattutto all’interno della maggioranza da Matteo Renzi, mentre l’opposizione ha scelto, e vi si adagia salvo piccoli, mutevoli ammiccamenti, la strada di un contrasto radicale che, semmai, rafforza e rende senza alternative possibili l’assetto parlamentare che sorregge Giuseppe Conte.

Paradossalmente, il mancato sfondamento di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni finisce per rivelare la gracilità delle basi su cui poggia tutta l’architettura politico parlamentare del centrodestra.

I drammatici effetti della pandemia, sanitari e socio economici, avrebbero avuto bisogno di un’altra strategia da parte dei due preminenti personaggi della destra, seguiti solo fino ad un certo punto da Silvio Berlusconi che, forse, meglio di loro conosce i meccanismi della dinamica internazionale, in particolare di quella europea, che tanto influisce anche su quella domestica.

Adesso, Salvini, Meloni e Berlusconi sembrano stare insieme per inerzia più che perché convinti realmente, come lo furono nell’autunno scorso allorquando l’unica via d’uscita per Cinque stelle e Pd  sembrava essere rappresentata dalla definizione di una legge elettorale in grado di impedire alla coalizione della destra di raggiungere il fatidico 40 % e di scrivere, quindi, una pagina del tutto nuova nella storia politica italiana. Non è che Pd e Cinque Stelle siano messi meglio. I primi oramai ridotti ad un numero sempre più ristretto di regioni; i secondi sottoposti ad una continua erosione di consensi e di parlamentari.

Quella di destra e l’altra della maggioranza, più che ad alleanze politiche appaiono come una sommatoria di “compagnie di ventura” cui manca, però, il monarca assoldatore. Anche Pd e Cinque Stelle vanno avanti a forza d’inerzia e sembrano aver per il momento accantonato la solerzia nel modificare la legge elettorale perché convinti, in fondo, che il tutto possa perdurare fino alla scadenza naturale della legislatura o, almeno, al sopraggiungere del “semestre bianco”, entrato nel quale si penserà soprattutto al voto del Presidente della Repubblica.

Siamo di fronte all’immagine di un fortilizio assediato. Al di qua delle mura, i capi delle “compagnie di ventura” litigano sempre più frequentemente: c’è chi vuole avviare onorevoli trattative e chi ha più interesse a mantenere lo stesso spunto del primo giorno dell’attacco. Dentro il recinto, i capi più spregiudicati delle milizie aumentano il prezzo per partecipare alla difesa comune.

L’Italia, invece, ha bisogno d’altro. Era vero prima del Coronavirus, a maggior ragione è stato vero quando abbiamo subito il durissimo primo morso della pandemia e lo è a maggior ragione oggi quando l’incubo sembra ancora tanto lontano dallo scomparire.

Cose serie sono inframezzate da polemiche pretestuose. Al punto che serietà e banalità appaiono valere lo stesso conio. E questo è grave perché il Paese è in procinto, invece, di avvicinarsi a un bivio di enorme rilevanza, persino cruciale, per i prossimi decenni.

E’ probabile che molta turbolenza di questi mesi riguardi la gestione dei fondi straordinari europei. Non sappiamo quanto abbiamo speso finora. Finalmente, sul sito del Commissario del Governo ( CLICCA QUI ) si comincia a leggere qualche dato: distribuito quasi un miliardo di mascherine e oltre due milioni di litri di gel igienizzante nelle scuole. E il resto? Quanto ci sta costando il Coronavirus? Nessuno lo dice. Forse perché nessuno lo sa. Nessuno, però, può lamentarsene perché non è solo lo Stato centrale a spendere visto che una buona parte del processo passa sempre per i meandri regionali.

Paradossalmente, queste possono essere delle bazzecole se le si compara con le decine e decine di miliardi che riguarderanno i diversi progetti avviati dall’Europa e che ci faranno trovare dinanzi al bivio di cui sopra. Li sapremo utilizzare o si riveleranno solo un aggravio di debito pubblico?

Maggioranza e opposizione di questo dovrebbero preoccuparsi piuttosto che di un inutile gioco dei quattro cantoni con le caselle del governo.

 

About Author