Domani,  9 maggio 2021, sarà celebrato all’insegna di un simbolico ritorno della grande personalità di Aldo Moro nella nostra storia odierna, da qualcuno definita, non a caso, una pandemia nella pandemia, evento inaspettato dopo 43 anni dalla ,morte dello statista. E fare memoria implica in questo caso la presa di coscienza di una distanza e di una consapevolezza: non si può attualizzare Moro e non ha senso chiedersi che cosa farebbe oggi. Ha un senso invece riscoprirne lo spirito, lo stile, il modo che aveva di affrontare il rischio dello sfascio del nostro Paese sulla coda lunga del ‘68. Abbiamo avuto bisogno di superare lo stordimento del più grave delitto politico della storia repubblicana per giungere prima allo stupore della caduta del muro di Berlino nel 1989 e poi per mandare in soffitta la Prima Repubblica e avventurarci nella Seconda che, con il mito illusorio del bipolarismo, è durata appena 27 anni, naufragando nel 2018 sull’onda del populismo e del sovranismo.

Giovanni Sartori era rimasto deluso della Seconda Repubblica e aveva coniato un interrogativo serio e preoccupante per il futuro del nostro sistema politico: la democrazia saprà resistere alla democrazia? Potrebbe essere questo il monito per indagare la crisi attuale della democrazia riconoscendo i profondi mutamenti della nostra società che si affaccia al primo ventennio del nuovo millennio scossa non solo dalla pandemia ma da sommovimenti profondi di carattere antropologico e culturale, economico e sociale, ecologico e religioso. Per un impegno del genere, che dovrà ricercare risposte adeguate all’attuale crisi “del potere politico e della coscienza” e perciò alla necessità di una rifondazione morale e culturale dei costumi, Aldo Moro, con la sua profonda spiritualità, la sua cultura, il suo senso della storia è ancora un punto di orientamento sicuro. “Io ci sarò ancora”, aveva scritto in una lettera conclusiva a Zaccagnini, e quella frase aveva un suo carattere clamoroso e profetico.

Non a caso il 6 maggio 2021, è stato pubblicato il saggio di Walter Veltroni “Il caso Moro e la Prima Repubblica” con una sorpresa! Anche in questo libro, come accadde per il più famoso “l’Affaire Moro di Sciascia”, non si trova nessuna risposta alla vera domanda che può interessarci oggi, che può sorprendere anche i giovani, cattolici e non: ma chi era Aldo Moro? Anzi lo stesso arresto clamoroso dei terroristi italiani, rifugiati in Francia da decenni, rischia di rinchiudere Moro nell’eccidio di via Fani, nell’eterna storia delle trattative per il suo rilascio, nel ritrovamento del suo corpo in via Caetani. E se oggi appare ancora legittima l’aspettativa della ricerca della verità sul ruolo delle Brigate Rosse nel rapimento e nell’assassinio dello statista, con rammarico si deve fare riferimento all’ultima Commissione Bicamerale d’Inchiesta presieduta dall’ on. le Fioroni che si è conclusa con il ribaltamento del Memoriale Morucci-Faranda ma anche con una frase deludente: tutta la verità non è stata detta. A quando l’appuntamento per la prossima verità? E quindi chi era Aldo Moro, si legge spesso nei temi assegnati ai giovani degli esami di maturità?

Lo storico Guido Formigoni, nella sua biografia “Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma” aveva già sentenziato che senza conoscere la vita di Aldo Moro non si capisce l’Italia del Novecento e neppure quella attuale, smarrita, impaurita e confusa. Ma Pietro Scoppola era andato più in là: l’opera dei grandi statisti non può essere capita compiutamente se non scendendo fino in fondo al livello della vita interiore. E il giovane Moro aveva fatto eco nella rivista Studium del 1945 : la vita non è un riposo, è una cosa seria, impegnativa e responsabile in ogni suo aspetto. Ancora nel 1972 scriveva in una lettera ad un suo studente: di fronte alla ricchezza d’ideali e di speranze di una gioventù che viene fuori o emerge, dall’oscurità e dalla povertà, bisogna prodigarsi, pagando di persona. E per questo spero di mantenere un contatto con te e con quanti come te, desiderano servire disinteressatamente il nostro Paese nello spirito di una idealità cristiana. Potrebbe essere attualizzata ancora oggi questa lettera se si avesse il coraggio di continuare il dialogo con i giovani a cui la Chiesa Cattolica ha dedicato un Sinodo coraggioso conclusosi a fine 2018. Per il variegato mondo cattolico e per i ricercatori del senso della nostra attuale crisi politica, Aldo Moro “c’è ancora” ma come segno di contraddizione se si sanno ricordare le parole che ha scelto per concludere la sua vita: MUOIO NEL PIENO DELLA MIA FEDE CRISTIANA.

Miguel Gotor, studiandone le lettere dalla prigionia, aveva fatto questa scoperta: Moro era un uomo con il dono della fede. Alla moglie Noretta, ormai alla vigilia della fine, aveva scritto: “ho solo capito questi giorni che vuol dire che bisogna aggiungere la propria sofferenza alla sofferenza di Gesù Cristo per la salvezza del mondo” “Ma sia fatta la volontà del Signore”.

Nel Memoriale Moro fu molto esplicito nel dichiarare che il suo ingresso nella Democrazia Cristiana fu dettato principalmente da motivazioni religiose, condivise anche da altri giovani militanti ma poi smarrite con gli anni nella prassi politica del partito stesso. Ecco lo svelamento della propria persona e della falsità del mondo giornalistico che l’aveva dipinto con i colori grigi del politico meno implicato, come scriveva Pasolini, nel castello “assediato” del partito egemone della Democrazia Cristiana. Ancora a un suo studente dell’università La Sapienza di Roma scriveva nel 1974:”vi sono sempre molti pronti a mescolare l’interesse con il bene comune. Non bisogna guardare in questa direzione ma alla propria coscienza, al proprio limpido impegno morale prima che politico. La battaglia sociale e politica è lo sforzo di pochi, generosi e leali, intendo dire la nobile battaglia per una società giusta”. In questi frammenti della sterminata passione di Moro di scrivere, di lasciare una traccia, di generare una pedagogia civile per i giovani, è comunque racchiuso tutto il suo pensiero e la sua eredità spirituale prima che politica: prima c’è l’uomo, la persona umana, poi la superiorità dell’etica sulla politica che diventa servizio disinteressato solo se costruito con il dialogo aperto a tutti e orientato alla costruzione del bene comune. A monte di tutto? La Verità  ”che è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi”.

Moro aveva scritto sulla rivista Studium della FUCI di aspirare ad essere un “sacerdote della Verità”, già nei primi anni di insegnamento all’Università di Bari, dopo aver assorbito i principi della spiritualità domenicana e della scuola dell’Azione cattolica, come ha testimoniato Renato Moro nello studio sulla formazione giovanile dello statista. E poi c’è l’incontro di Moro, in particolare con Dossetti e La Pira, nei lavori della Costituente, evento decisivo per capire che la politica morotea si fondava su questo capolavoro di pazienza, di dialogo e di lungimiranza, e che, dopo la lezione degasperiana, guardava ancora allo spirito della costituente nella stagione del centro-sinistra e poi in quello finale delle grandi intese avviato proprio prima della tragedia del ‘78.

Non sembra azzardata la lettura di quanti , dopo la frattura storica della morte di Moro, non ritrovano più nel nostro Paese una visione di destino comune, che manca ancora oggi, nonostante il tempo trascorso, nella Seconda Repubblica, segnato dal paradosso della diaspora dei cattolici, rivelatasi una clamorosa dispersione infruttuosa come ci ha aiutato a capire Monsignor Gastone Simoni. Forse ha colto nel segno del nostro attuale smarrimento la lettera simbolica, inviata dal Cardinale Zuppi alla Costituzione : “Cara Costituzione, sento il bisogno di scriverti…anzitutto per ringraziarti di quello che rappresenti da tanto tempo per tutti noi. Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo. Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare. E poi cosa ci serve litigare quando si deve costruire?”.

Una riflessione seriosa per la maggioranza politica “variegata” che sostiene il governo Draghi ma anche per i tanti cattolici che non riescono a riconoscersi in questo modello di democrazia muscolare eternamente conflittuale e dimentica della grande lezione di Aldo Moro e del suo lascito spirituale : “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. “La Prima Repubblica è finita quel giorno del marzo 1978. La Seconda non è mai cominciata. Il sistema italiano appare incapace di generare quella stabilità e quella alternanza senza le quali nessun risanamento finanziario e nessuna azione riformista è possibile…serve avere la stessa intelligenza e lo stesso coraggio che ebbero i costituenti. Finire la esausta transizione, per cominciare un tempo nuovo” : sono le conclusioni e gli auspici del saggio politico di Walter Veltroni che ha evocato la categoria del tempo nuovo quasi a entrare in sintonia con la stessa profezia di Aldo Moro che seppe dire : “Tempi nuovi si annunciano e avanzano in fretta come non mai…l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio…sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità”.

Chi nel ’68 non aveva saputo leggere i segni dei tempi avrà modo ora di non dimenticare che oggi, come allora, stiamo assistendo a cambiamenti e sfide epocali che richiedono un cambio di paradigma culturale e politico che Papa Francesco ha descritto nella sua ultima enciclica Fratelli Tutti, dedicata alla fratellanza umana e alla migliore politica, orientata al bene comune, ricordando che non ci si salva da soli ma soltanto insieme, non più con il solo io ma soprattutto con il NOI.

Antonio Secchi

About Author