Ma quali sono, alla fine, le malattie croniche?  E’ vero. Forse è il caso di identificare quest’entità altrimenti astratta che rischia di perdersi nella descrizione barocca (e fuorviante) di chi le vorrebbe a discapito esclusivo delle persone anziane da ricoverare, semmai, nelle geriatrie.

Soprattutto in quest’ambito, che può esporsi a letture sommarie, devianti o comunque non univoche, occorre essere espliciti e dare un senso reale alle cose, ben oltre le descrizioni teoriche che potrebbero non offrire l’esatta misura di quel che si vuol dire.

Per questo, da immunologo di trincea, provo a rispondere al quesito con un esempio pratico, uno spaccato di vita quotidiana, uno dei tanti, uno dei soliti raccolti ed assemblati intorno al disincanto di chi non ha altro da offrirti se non la propria storia, identica a quelle – tante – che hai già sentito e risentito mille volte prima. A raccontarla, stavolta, è una donna anagraficamente giovane ma tumefatta in viso, gonfia, dolorante, provata. Già malata cronica! Parte subito, nella difficile narrazione della propria storia, dalla solita premessa: “dottore, non so da dove incominciare… Posso solo dire con certezza che tutto ha avuto inizio molti anni fa… da allora ho girato tanti dottori, come una trottola!”. A fatica mi interpongo solo un attimo nella narrazione per chiederle: “ma quanti anni fa? Se ancora adesso ne ha meno di 40?”. E lei: “da piccolina ho avuto l’asma e poi l’orticaria che mi gonfiava come un palloncino. Dopo mi si è ammalata la tiroide e me ne hanno tolta una parte che mi hanno detto essere stata attaccata dal mio stesso sistema immunitario. E poi le ossa, con le articolazioni che si bloccano e non riesco più a fare le faccende domestiche; e sento una forte secchezza nella bocca, negli occhi, sulla pelle. E adesso si è aggiunto anche l’intestino con i suoi disturbi…. Io non ce la faccio più! Mi dicono che è tutta colpa del mio sistema immunitario! Ma se è tutto dipendente da un unico fattore, perché per l’asma io continuo ad essere visitata in un reparto, per l’orticaria in un altro, per la tiroide in un altro ancora e, via via, in ambienti diversi per le ossa, per le articolazioni, per l’intestino, per la stanchezza cronica? E perché ciascuno di questi reparti mi dimette con una sfilza di farmaci che, in gran parte, non tiene conto di quella che mi è stata prescritta al termine del ricovero precedente? Io ormai colleziono farmaci; a casa ne ho cassetti pieni e molti son costretta a buttarli perché poi scadono!… Dottore, mi scusi… io esprimo un mio parere, da incompetente della materia… Ma non sarebbe meglio prevedere un reparto unico con più medici diversi che lavorano insieme, si scambiano opinioni e pareri e poi, alla fine, concordano una diagnosi e una terapia unica in favore del paziente? Perché farci girare come forsennati in più reparti diversi, dove ciascun medico dice la sua, propone una sua diagnosi e una sua terapia che si aggiunge a quelle già collezionate in precedenza, senza poi ottenere, alla fine, una stabilizzazione del problema visto che, dopo oltre 20 anni di malattia, io sono ancora a cercare una soluzione alle mie sofferenze?”…

Certo è una storia, una delle tante che, tuttavia, rispecchia più o meno fedelmente i risultati dei tanti Rapporti ufficiali che le organizzazioni accreditate pubblicano da anni, che evidenzia un’emergente necessità sempre più pressante nei numeri e nei costi, ma alla quale non si riesce a  dare, attualmente, una risposta esauriente. Da parte mia, posso solo provare a sintetizzare i punti focali di un problema che giustamente viene definito emergente e a fornire, a quei punti, delle plausibili chiavi di lettura.

Primo puntoCosa riserva oggi  il Sistema Sanitario ai pazienti con storia clinica simile a quella precedentemente narrata?

Oggi accade, generalmente, che questi pazienti vengano ricoverati in più ospedali o in più reparti, per essere curati solo nell’organo sofferente, con farmaci sintomatici diversi a seconda del reparto in cui il paziente viene ricoverato

Secondo puntoCosa chiedono i Pazienti?

Che venga allestita una struttura in cui un paziente con malattie croniche, magari di quelle immunomediate, che son le più frequenti e le più invalidanti tra le “giovani cronicità”, venga sottoposto ad unico iter diagnostico-terapeutico e auspicabilmente avviato ad una terapia unica, condivisa e finalizzata, ove possibile, non già a tamponare l’ultimo sintomo comparso in ordine di tempo, ma semmai a neutralizzare la causa della sua malattia, una volta che questa sia stata univocamente accertata e conosciuta.

Terzo punto – Proviamo ad immaginare quanto risparmio potrebbe esserci, in termini di spesa farmaceutica, di disagi, di ricoveri, di liste d’attesa, se il decisore pubblico si convincesse della elementare semplicità di questi concetti, che non tolgono nulla a nessuno ma che chiamano medici diversi, portatori di competenze multiple, ad un impegno comune, concertato e, per questo, certamente molto più efficace (oltre che molto più economico) di quello che potrebbe essere offerto in formulazione monospecialistica.

Sembra l’uovo di Colombo. Eppure le difficoltà continuano ad esserci; la gestione della sanità continua ad essere in affanno e l’insoddisfazione dei cittadini continua a restare alta, mentre si cerca una ragione ed un qualche possibile rimedio. D’altro canto, la mancanza di programmazioni innovative in ambito sanitario, la mancanza atavica di politiche non autoreferenziali e soprattutto coraggiosamente rigorose nel riconoscimento dei tanti sprechi regionali non può che tradursi, alla fine, in una riduzione delle aspettative di vita per tanti cittadini. E, probabilmente, questi sono solo i primi segnali di una riduzione dell’efficienza del sistema che determinerà in futuro conseguenze ancora peggiori, in quanto ci vorranno anni di buona politica sanitaria per osservare una vera inversione di tendenza.

E siamo al punto: la buona politica sanitaria! Quella che certamente non parla solo di chiusure e accorpamenti di reparti, o di cancellazioni inderogabili dei punti di primo intervento, o di clamorose scopiazzatura di impianti progettuali nati alla luce di più nobili prospettive, o di grandi insediamenti nosocomiali vocati a riassumere in postazioni avveniristiche i piccoli ospedali territoriali destinati a scomparire! Quella politica che non ignora e anzi affronta con competenza il triste primato delle malattie croniche, uniche a non beneficiare di interventi strutturali e prima voce di spesa nei bilanci dei servizi sanitari. Quella politica che mai dovrebbe disancorarsi dalle nozioni e dai nobili princìpi impartiti, con sapienza e perizia ineguagliabili, dai Maestri negli anni belli della formazione medica: – …“e soprattutto, ragazzi, non dimenticate che il vostro Paziente non sarà mai soltanto un naso, o un polmone, o un intestino. Il vostro Paziente sarà comunque sempre una Persona” (da una lezione della Scuola di Specializzazione in Allergologia e Immunologia clinica – Bari 1990).

Rimane questa, al momento, l’unica certezza e anche l’unico rimedio. E, compatibilmente con i luoghi nei quali sarà possibile attuarla, sarà sempre un dovere etico e professionale rispettarla e seguirla con rigore e con ferma convinzione.  Ecco: la buona politica sanitaria dovrebbe ripartire esattamente da qui!

Mauro Minelli

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