Sul tema abbiamo pubblicato un precedente intervento di Alessandro Diotallevi il 10 maggio scorso( CLICCA QUI )
Non è un sequel.
Il legislatore costituente, dopo aver definito i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura da ogni altro potere con l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104), mostra segni concreti di umanesimo e di integrità nazionale. Sa che i principi subito dopo che sono stati affermati vanno garantiti. Nel caso della autonomia della magistratura ha a mente la tragica esperienza del regime appena tramontato. Ha analizzato i modi concreti con i quali l’equilibrio tra i Poteri può essere manomesso. Ove non siano considerate, ex ante, tutte le possibili manovre volte a metterlo in discussione, eventualmente a depotenziarlo, a ridefinirlo anche nell’area franca della Costituzione materiale, quel principio va declinato.
La catena logico-giuridica cui il costituente conferisce concreta vitalità va riproposta: “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L’organo deputato alla gestione del principio è il Consiglio Superiore della Magistratura. L’area gestionale riservatagli è costituzionalizzata: si tratta delle assunzioni, delle assegnazioni, dei trasferimenti, delle promozioni, dei provvedimenti disciplinari che riguardano lo status dei magistrati (art. 105).
Perché la magistratura sia salvaguardata come ordine autonomo ed indipendente, il costituente sottrae agli altri poteri, più facilmente viene in mente il potere esecutivo, la possibilità di interferire sullo stato giuridico dei magistrati dell’ordine giudiziario. Anche se meno intuitivo di quello stabilito nei confronti del potere esecutivo, anche il limite nei confronti del potere legislativo è altrettanto netto. Il legislatore ordinario, quando interverrà nell’area riservatagli dalla Costituzione sulle questioni concernenti l’ordinamento giudiziario lo farà dentro i limiti stabiliti dalla stessa Costituzione.
Lo si deve annotare con ogni necessario rispetto della sacralità dell’ordinamento costituzionale, ma non può sottacersi, con occhi aggiornati ai più recenti sviluppi della scienza dell’organizzazione, la effettiva configurabilità del Consiglio Superiore della Magistratura in termini di “ufficio dello stato giuridico dei magistrati”.
Chiunque abbia pratica di gestione delle risorse umane, nel settore pubblico e in quello privato, è perfettamente consapevole che si tratta di uno snodo essenziale per indirizzare l’attività degli enti di appartenenza. Il costituente non ha esitato ad estrarre tra le molteplici modalità di protezione del principio di autonomia dell’ordine della magistratura quella più essenziale, per l’evidente e rigoroso motivo che la configurazione e la gestione di ogni tipo di attività dipende largamente nei propri interpreti, in questo caso dai magistrati. Chiaro che se il Ministro della giustizia di un qualsiasi governo avesse il potere di intervenire sulle assunzioni ovvero sulle assegnazioni ovvero sulle promozioni dei magistrati avrebbe su di essi, al netto di ogni astratta attribuzione di diversità e credibilità funzionale (nei confronti di chi esercita il potere esecutivo nell’interesse generale e delle leggi che lo regolano), un potere di condizionamento. Chiaro che se il legislatore ordinario non dovesse rispettare i vincoli costituzionali a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, quest’ultima sarebbe oggetto di “appetiti di parte”, se volete “di partito”, e il punto di equilibrio delle responsabilità istituzionali dei tre Poteri diventerebbe del tutto precario. Per avere un punto di riferimento basti pensare al succedersi scomposto di molte leggi elettorali, ogni volta giustificate con i valori alternativi della rappresentanza e della governabilità. Sempre gravide di precarietà ed incertezza popolare.
Capisco qualche giustificato punto interrogativo. Tra gli altri il seguente: il Consiglio Superiore della Magistratura, il cuore del potere giudiziario, è nient’altro che un ufficio di governo dello stato giuridico dei magistrati? Si, lo è!
Di conseguenza, le deliberazioni del CSM, nonostante la sua qualità di organo di rilevanza costituzionale, hanno natura obiettivamente amministrativa.
La Corte Costituzionale, del tutto rispettosa dei principi dei quali è giudice, lo ha rilevato con precisione. “Le deliberazioni del CSM sono meri atti preparatori dei Decreti del Capo dello Stato e del Ministro della giustizia, adottati in loro conformità e dei quali costituiscono il presupposto”.
Sono gli atti di gestione del rapporto di lavoro dei magistrati. E allora, deve esserci nell’ordinamento un corto circuito.
A costo di essere ripetitivo, ricordo che la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. A tutela di questi due cardini ordinamentali, la Costituzione pone il Consiglio Superiore della Magistratura, creandolo complesso ed equilibrato in tutte le componenti istituzionali. Gli conferisce poteri gestionali integrali sullo stato giuridico dei magistrati, ad evitarne ogni possibilità di condizionamento (che ridonderebbe in violazione del principio di separazione dei poteri).
Aver costituzionalizzato un’area gestionale, non le ha tolto la configurazione amministrativa. Le deliberazioni del CSM sono atti amministrativi. E allora, perché il CSM è autorizzato dalla legge a votarli a maggioranza? Perché un provvedimento amministrativo che è terminale di un’istruttoria amministrativa ed integra il contenuto amministrativo dell’atto (DPR – DM) che lo rende efficace tollera che il suo iter si concluda con una votazione a maggioranza?
Ecco, questa situazione ha l’apparenza e la sostanza di un corto circuito. Finisce per affievolire l’assetto costituzionale dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Affievolisce il principio di separazione dei poteri.
Che il Presidente di un Tribunale o un Procuratore della Repubblica, dal più importante al più remoto, siano nominati sulla base di una votazione di misura intervenuta nella deliberazione del CSM, è fatto che autorizza a dubitare della costituzionalità della norma che regola il regime delle votazioni in seno al CSM. E’ fatto che autorizza a temere che la Magistratura sia effettivamente violabile nei principi di autonomia e indipendenza.
Autorizza a manifestare serie preoccupazioni sul fatto che a fronte di molte, dirompenti rappresentazioni della giustizia, non si levino voci politiche autonome e indipendenti da interessi o supposti interessi di parte. E, tuttavia, la lezione costituzionale sta lì a dimostrare che il Paese è capace di equilibrio. Lo dimostri, subito, il Parlamento.
Alessandro Diotallevi