Premesso che in un sistema democratico, parlamentare, entrambe le forme di attività politica sono necessarie o piuttosto indispensabili e perfettamente speculari; la cultura di governo della “res publica”, dopo esser stata trascurata addirittura dal Parlamento per lunghi decenni e più precisamente 40 anni, dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (I gen. 1948) all’approvazione della legge n. 400/1988 che “disciplina l’attività di Governo e l’ordinamento della Presidenza del Consiglio …” in attuazione dell’art. 95 Cost., appare oggidì il fattore fondamentale su cui puntare per la ripartenza.
Il non trascurabile ritardo normativo è significativo del livello tuttora inadeguato della classe dirigente in merito al senso dello Stato o poca diffusa sensibilità identitaria e di comune appartenenza alla nostra Nazione; Paese membro dell’U. E., aspetto questo di grande rilievo come ci è stato insegnato e dimostrato generosamente dal compianto, stimatissimo Presidente David M. Sassoli. La conferma viene, purtroppo, soprattutto in questa fase di studio, dialogo e ricerca di una figura “super partes”, di garanzia di un neo Presidente all’altezza sia della “pesante” eredità, morale, culturale e politico-istituzionale lasciataci dal prof. Sergio Mattarella, che si è mosso con stile sobrio e impeccabile, sia alla luce della complessità e gravosità dei compiti d’istituto in un periodo così travagliato e serio come quello di fine pandemia (auspicabilmente). Stiamo assistendo ad uno spettacolo poco edificante e tutt’altro che rassicurante a causa delle incertezze/superficialità dei vari “leader”, ivi comprese le “gaffe” del presidente Draghi in occasione delle due, ultime conferenze – stampa.
In buona sintesi, a mio avviso, il traballante scenario attuale imporrebbe un elevato grado di responsabilità e di compartecipazione alla decisione per il nuovo mandato presidenziale, paragonabilmente a quanto fu fatto da parte dei “padri” dell’Assemblea costituente nel ’46, ipotizzando un paradigma di “forma mentis” con tre punti fermi e chiari da condividere: a) una visione organica e prospettica della politica di governo della nazione e della sua salvezza; b) una precisa cognizione degli interessi generali e più specificamente delle priorità contingenti; c) la capacità di tradurre il Programma di governo, parallelamente al passaggio di consegne al Quirinale, e con ogni probabilità a palazzo Chigi, in un piano cospicuo di riforme (giustizia, lavoro, fisco, welfare, ecc.) e di interventi economico-finanziari, atti a generare progresso, sviluppo sostenibile e resilienza territoriale in connessione con i bisogni energetici e del cambiamento climatico.
Le forze politiche d’opposizione, alla pari di quelle al governo, sono chiamate a dare risposte concrete e idonee alla soluzione della crisi in atto da un biennio, superando la dialettica spicciola e la critica quotidiana alle singole decisioni in tema di misure di prevenzione o a carattere economico, la qual cosa immiserisce il confronto e la qualità della funzione politica.
Più in generale, il centrodestra (o meglio il destra-centro) è chiamato, seriamente, a dare una forte prova di partecipazione attiva alla crescita civica e sociale, di saper affrontare la gravosità del momento storico senza nascondersi all’ombra di papà-Silvio (meglio nonno), essendo stato complessivamente alla guida del Paese almeno 12 anni: si dimostri, quindi, maturità. Pragmaticamente, potrebbe ispirarsi a quei politici che dal ’94 hanno maggiormente influito e giovato ad una costruttiva politica conservatrice e liberale, come Marcello Pera, già Presidente del Senato, Pinuccio Tatarella per la sua capacità di mediazione e dialogo, Urbani e Buttiglione per la loro cultura e moderazione, Gianni Letta e Franco Frattini per lo spiccato senso di equilibrio e dello Stato.
Michele Marino