Le festività pasquali richiamano, come ci ricorda Mario Morcellini, il tema della spiritualità dell’impegno politico.
Una forza politica che trova la sua ragione fondativa nell’ispirazione cristiana, in un arco di valori che afferiscono, nel contempo, alla Dottrina Sociale della Chiesa ed alla Carta Costituzionale, deve fare propria questa riflessione ed, anzi, nelle forme opportune, in un certo senso, istituzionalizzarla, assumendola, cioe’, sistematicamente, di anno in anno – magari, appunto, nel periodo pasquale – come motivo di approfondimento, declinato, se possibile, in termini “esistenziali”, connessi alla soggettiva esperienza personale di ciascuno, non solo sotto il profilo intellettuale e di studio.
La nostra storia, la stessa nostra tradizione politica offrono a questa esplorazione, la traccia di figure esemplari ed ineguagliabili.
Ma ne vorrei richiamare un’altra, per noi meno familiare, eppure vitalmente connessa alla nostra stessa matrice cristiana: Dag Hammarskjold.
Scandinavo, di religione luterana, alto funzionario pubblico del suo Paese e Presidente della Banca di Svezia, grande diplomatico, Premio Nobel per la Pace.
Dag Hammarskjold, Segretario Generale delle Nazioni Unite, muore, nel cielo d’Africa, il 18 settembre 1961.
Si opponeva alla secessione dal Congo del Katanga, ricchissime regione mineraria, al centro degli interessi di potentissime multinazionali.
Era stato eletto, all’unanimità, alla guida dell’ONU, il 7 aprile 1953.
Il giorno dopo la sua morte, l’ex-Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, disse chiaramente come fosse stato ucciso e più non volle tornare sull’argomento e dar conto di questa sua affermazione.
Peraltro, dai suoi appunti personali poi rinvenuti, si evince come Hammarskjold non escludesse affatto una così drammatica conclusione della sua vita e come, anzi, affrontasse consapevolmente questo rischio.
Un amico rinvenne, dopo la sua morte, nel suo appartamento di New York, un quaderno di appunti – Vagmarken – “….una sorta di libro bianco che narra i miei negoziati con me stesso e con Dio”, come lo definì lo stesso Hammarskjold.
Si scoprì, in tal modo, come nei panni di un politico e di un diplomatico di alto profilo, si celasse un uomo o di altissima spiritualità.
Un mistico, cui lo stesso “Dizionario di Mistica”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, dedica un breve capitolo, redatto da Giovanni Velocci, Padre Redentorista – nipote di Brunetto Bucciarelli Ducci, che fu Presidente della Camera – ed assiduo frequentatore, per almeno vent’anni, della mia parrocchia, nel periodo natalizio.
Gli scritti di Dag Hammarskjold – raccolti in “Tracce di cammino”; “La linea della vita” – sono una ricchissima miniera di intuizioni, riflessioni, pensieri e sentimenti in cui preghiera e vita diplomatica si annodano, si intrecciano, si nutrono a vicenda in un connubio alto, forse inedito.
Insignito alla memoria del Premio Nobel per la Pace, Hammarskjold è senza dubbio una straordinaria e luminosa figura da proporre ancora ai giovani del nostro tempo distratto, come riferimento e guida – ad un tempo politica, intellettuale e morale – per una riflessione sull’impegno e sul dovere di costruire la pace, attraverso relazioni internazionali fondate ed orientate alla dignità della persona e dei popoli, verso la prospettiva – che, per quanto lontana, non possiamo abbandonare nel limbo dell’utopia – di un governo democratico e planetario.
Sarebbe bello che un partito come INSIEME, che intende rappresentare un fattore di vera e forte novità nel nostro panorama politico, lanciasse una iniziativa politico- culturale – che potremmo chiamare le “Giornate Hammarskjold” – aperta a tutti e diretta sistematicamente, anno per anno, con la necessaria sistematicità, ad esplorare le vie della pace possibile e necessaria.
Negli ultimi anni della sua vita, forse presago della fine che attendeva, innalza questa preghiera:
“Lasciami finire quello che mi è stato permesso di iniziare. Lasciami dare tutto, anche senza la certezza di crescere”
Ed evoca “…..la visione di un campo di forza psichica (che) fluttua attraverso di me, creato in un presente senza tempo da moltitudini sconosciute che vivono in santa obbedienza e le cui parole ed azioni sono una preghiera senza tempo. La comunità dei santi ed – al suo interno – la vita eterna”, che ha raggiunto drammaticamente, con i suoi quindici compagni di viaggio, quel lontano settembre di sessant’anni or sono.
Domenico Galbiati