Quando si sente il bisogno di un salto all’indietro della memoria per essere confortati in un complesso passaggio esperienziale nel presente, particolarmente quando si tratti di collocare un’azione politica, ovvero più semplicemente una riflessione, si ricerca, di volta in volta, la testimonianza lasciata in eredità da un soggetto eminente della cronaca o della storia.

Quando poi il ricorso a questa figura venga vissuto con la consapevolezza che quella testimonianza corrisponde, oggi come allora, non solo ad un bisogno di collegamento, di consolidamento della continuità e della coerenza di pensiero, ma alla valutazione della sua perdurante validità nel presente, la memoria si trasforma in sostegno all’azione. Matura nella coscienza più profonda un collegamento emotivo e, al contempo razionale, di una discendenza morale che rende auspicabile la prosecuzione nel presente di un’azione rinnovata negli strumenti per l’aggiornamento dovuto al tempo trascorso, ma radicata nelle sue ragioni di esistenza.

Or sono pochi giorni fa, con la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù eroiche, la fama di santità di Alcide De Gasperi, s’è risvegliata nelle coscienze, ovviamente di coloro che vivono intensamente l’esigenza che resti in attività il collegamento tra l’impegno sociale e politico  con la fede nella Provvidenza, la sensazione assopita per troppo tempo che nella politica, fatti i conti con la sua complessità consegnataci dalla storia, non si debba (no, non si possa) fare a meno dell’integrità morale dello statista. Di De Gasperi, in effetti, non si dubita che sia stato e rappresenti oggi la forma-tipo dello statista e della capacità del politico di mai deflettere dall’integrità morale.

Nella sua nota di commemorazione, nell’occasione, per l’appunto, della chiusura dell’inchiesta diocesana, il
Cardinale vicario di Roma ha sottolineato di De Gasperi la “granitica fede” che ispirò ogni sua scelta e azione politica. Non può sfuggire che questo rilievo messo in luce dal Cardinal vicario contiene, io credo consapevolmente, un messaggio a valere per chi assuma su di sé il compito di servire nella politica dichiarandosi cattolico.

Mi sovviene un monito di San Paolo: «Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il  desiderio della carne» (Gal 5,16). San Paolo individuava le opere della carne, fra le altre la dissolutezza, le inimicizie, la discordia, la gelosia, le divisioni, le fazioni, le invidie.

Tra i frutti dello Spirito, l’amore, la pace, la benevolenza, la bontà, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé. De Gasperi, con la parola e con l’azione, ha indubitabilmente scelto di farsi guidare dalla spiritualità. Se, come è possibile e giusto contestare l’applicabilità di tale formula alla politica, lo si faccia; ma, De Gasperi, statista e campione dell’integrità morale, nei fatti, per tutta la sua vita, sotto gli occhi della sua terra, del suo Paese, del mondo intero, ha tradotto in comportamento politico gli insegnamenti della spiritualità, dimostrando che certe semplificazioni di ossequio al pragmatismo sono dovute piuttosto agli effetti di una scelta a favore della carne che non alla accertata difficoltà di restar fedeli allo Spirito.

Ed invero, la sua immersione nella politica, dalla gioventù alla maturità, dall’Austria all’Italia, dalla pace alla guerra, dall’assenza di un partito di ispirazione cattolica alla sua creazione, dalla prigione alla libertà, è stata contraddistinta
da un tratto caratteristico riconosciutogli nella sua contemporaneità e nella sua storia, quello di aver servito, generosamente e secondo l’insegnamento sociale cattolico, il primato della politica (o, come è stato detto, la centralità della politica), lasciandoci in eredità un peso morale che, in questo primo scorcio di millennio, non sembra si riesca a sopportare in conformità all’esempio degasperiano.

La sua vitalità di uomo delle istituzioni è così piena di suggestioni che l’estrazione di qualche elemento simbolico non è facile, può risultare arbitraria e, talvolta, purtroppo è strumentale per dare copertura ad un’azione politica che non contiene, in sé, né qualità né efficienza. Ancora ieri (IIIa di Quaresima, 23.03.25, n.d.r.) nella preghiera dei fedeli, si pregava perché “gli eletti all’amministrazione del bene comune” siano consapevoli dell’evolversi della storia e della condizione dei cittadini, per aiutarli a vivere nei valori della eguaglianza, della pace, della giustizia.

De Gasperi, nella sua lunga militanza politica e istituzionale ha dato prova di possedere quella dote rarissima (come testimoniato dalla storia) che è costituita dal connubio tra intelligenza e spirito di servizio. A mio avviso, impropriamente, è stato sostenuto che nella prima fase del consolidamento democratico postbellico, la Democrazia Cristiana abbia costituito “il pilastro” delle varie combinazioni governative che hanno accompagnato la ricostruzione. Il vero pilastro è stato De Gasperi, intorno al quale si sono mosse le acque dell’agitazione dei partiti, al loro interno delle correnti, delle concomitanti dinamiche internazionali, dell’insoddisfazione popolare per la lentezza delle pratiche di recupero del benessere sociale.

Poiché questa breve riflessione assume di essere degasperiana, di quello statista trae una lezione strettamente legata all’attualità. In che termini? In quelli di una estrema confusione nella valorizzazione dei ruoli istituzionali che debbono servire la complessità democratica per come si configura a causa delle variabili sociali ed economiche interne e a causa delle variabili internazionali. De Gasperi, riuscì a svolgere il proprio ruolo equilibratore di sistema sempre dichiarando la propria fede e mai deflettendo dal principio della laicità dell’azione politica. Nella collocazione funzionale degli attori della politica e delle istituzioni, utilizzando qui la ricostruzione fattane da Leopoldo Elia, De Gasperi schematizzava in un contesto gerarchico/funzionale (consapevoli di quanto sia ardita questa aggettivazione) il ruolo secondo questa rappresentazione: “prima il governo, poi la maggioranza parlamentare, infine il partito”.

Verso la fine della sua lunga esperienza governativa, quando già nei suoi Discorsi politici filtrava la consapevolezza che la via della partecipazione alla vita del Paese fosse più ricca di spine che di profumi, lo schema istituzionale s’era trasformato: prima la corrente, poi il partito, poi la maggioranza parlamentare e infine il Governo.

Non si può sfuggire all’obbligo morale di non sfruttare la figura di uno statista, con citazioni prese alla rinfusa, per negare la propria responsabilità personale se si voglia restare fedeli alla sua lezione: oggi lo schema che si presenterebbe a De Gasperi e si presenta all’azione politica di una formazione di ispirazione cristiana è il seguente: Governo, partiti e correnti, gruppi di pressione, maggioranza e minoranza parlamentare, Parlamento.

In questi giorni, per una dichiarazione in Parlamento della Presidente del Consiglio, si è parlato di Europa e manifesto di Ventotene. Si violerebbe un dovere di onestà intellettuale se, in questo contesto, non si ricordasse quanto diceva De Gasperi, direttamente in Parlamento, nel corpo delle sue comunicazioni all’inizio del suo ottavo mandato di Presidente del Consiglio: «Vero è che la Comunità di Difesa, cioè l’esercito comune europeo, è un’iniziativa francese, ma il Governo italiano, pur dovendo superare obiezioni di carattere generale e tecnico in confronto a tale proposta, ne condizionò l’accettazione all’ impegno dei membri di passare dalla comunità di difesa e da quella dell’acciaio del carbone alla logicamente necessaria conseguenza di una autorità politica europea, cioè all’impegno di creare una Comunità politica europea».

Cercando la santità di De Gasperi, non può tacersi che in vita, nel suo tempo, con coraggio e continuità, abbia contribuito al miracolo della pace in Europa per tutti questi anni. L’auspicio è che uno statista, oggi ne raccolga la lezione ed operi, ancora una volta, per la pace, non limitatamente all’Europa ma per il mondo intero nel frattempo “cresciuto” nella dimensione della globalità.

Alessandro Diotallevi

Pubblicato sulla rivista Aurora della Diocesi di Caltanissetta

 

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