Alla fine è stata trovata la soluzione più ovvia. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, come del resto previsto dalla legge, ha tolto d’autorità ad Armando Siri la poltrona di sottosegretario.
E’ stata preferita, forse di comune accordo, la soluzione più ovvia. Senza giungere ad un voto nel Consiglio dei ministri destinato ad avere un effetto ancora più dirompente sul Governo giallo verde.
Il Paese ed il Governo non possono permettersi condizioni di ulteriori incertezze e risse. Fatta salva la presunzione d’innocenza e la possibilità da parte di Siri di dimostrare la propria estraneità ai gravi fatti contestati, il Presidente Conte si è convinto a superare una fase di stallo inaccettabile.
La decisione ha segnato per la prima volta una sorta di debolezza di Matteo Salvini nei confronti degli alleati di governo.
I pentastellati, del resto, hanno più del doppio del peso parlamentare della Lega. Alla Camera il 3 marzo 2018 vennero eletti 221 “ grillini”, alle Lega andarono 73 deputati. Al Senato 112 i seguaci di Beppe Grillo e solo 37 quelli di Salvini. Sorvolando, ovviamente, sul fatto che i consensi del partito di Salvini furono raggiunti sulla base di altre alleanze e altre prospettive politiche.
Conte ha assunto una decisione che, in realtà, poteva essere presa da tempo. Avremmo evitato un inutile e lungo balletto tra i due partiti di governo. Ci sarebbe persino da pensare che l’inutile esposizione della bandiera di combattimento da parte di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini abbia solo fatto parte di uno show dal sapore elettoralistico interessato soprattutto al rinserrare le fila dei propri sostenitori. Avevamo, però, bisogno di tutto ciò?
Salvini ha finito per subire un duro contraccolpo, questa la sostanza dell’oggi. Al punto di far sorgere la domanda su quanto davvero sia in grado di dettare sempre l’agenda della coalizione di maggioranza e del dibattito politico.
Probabilmente, egli ha commesso l’errore di non capire che il suo intestardirsi nella difesa del sottosegretario Siri avrebbe potuto segnare un’inversione nell’andamento di quel pendolo che scandisce gli equilibri con l’ alleato 5 Stelle. Si sarà concesso un lusso di troppo?
Il bambino de ” il re è nudo” dice: Salvini non è invincibile. Incassa la vera prima sconfitta politica di questo inizio di legislatura. In precedenza c’erano state le avanzate trionfali nei sondaggi grazie alle dichiarazioni antieuropee, a quelle contro gli immigrati, alla stentorea esternazione “ prima gli italiani”. Ha giocato a fare il Trump nostrano. Forse, però, senza averne le basi sostanziali, quelle assicurate dal numero effettivo dei parlamentari a disposizione.
Alla fine dei giochi, non valgono solo i sondaggi di opinione, destinati a restare aleatori fino a quando non si concretizzeranno nelle urne. Nella dura legge della politica conta pur sempre il numero delle teste che hai in Parlamento.
La giornata di ieri ci ha detto che Matteo Salvini è costretto a mantenere in piedi l’attuale esecutivo. Quello che si dimostra costituire l’unico suo vero punto di forza, almeno per il momento. Una politica tutta giocata solamente sull’esternazione ha bisogno di un pulpito riconoscibile e di un sistema di potere riconosciuto e guidato.
Luigi Di Maio, ha dovuto masticare amaro per mesi, ma alla fine ha capito forza e debolezza del suo interlocutore e, dopo incertezze e indecisioni, ha puntato tutto su una linea di fermezza, con la certezza che fosse destinata a pagare.
Il capo politico dei 5 Stelle si gode pure il ricongiungimento con tutti i suoi che non gli avevano lesinato critiche ed accuse di cedimento nei confronti del leader leghista.
Con la ridiscesa tra i comuni mortali, Matteo Salvini rischia di essere più esposto anche a tutto quel sommovimento interno alla Lega che c’è, anche se non si vede. Tensioni e stati d’animo provocati dalla preoccupazione dei rapporti critici instaurati con l’Europa, da cui comunque dipende l’impresa del nord, dall’aver segnato finora i Cinque Stelle i successi più sostanziali dell’azione dell’esecutivo Conte, dall’attesa di un aumento dell’Iva e da un inevitabile manovra di bilancio già preannunciata dalla dimensione consistente .
Così, qualcuno fa circolare l’idea che sia lo stesso Salvini a prefigurare la possibilità di lasciare ad altri il cerino in mano della gestione di una possibile manovra all’insegna delle lacrime e del sangue.
Deve scegliere, però. Perché potrebbe rischiare di lasciare il Governo, e ministeri importanti, senza portare a casa alcun risultato davvero tangibile per i suoi: a partire da quella legge sull’autonomia regionale differenziata d’impronta nordista e da quella flat tax che gli consentirebbe di preparare la ricomposizione con il centro destra, abbandonato all’indomani delle elezioni dello scorso anno.
Fortemente debilitato, dovrebbe allora affrontare in campo aperto la riottosità di molti dirigenti della Lega che proprio non apprezzano la linea della “ personalizzazione” del partito impressa da Salvini e la conseguente spregiudicatezza con cui sta gestendo nomine e fondi finanziari, apparentemente, questi ultimi, sempre più indirizzarsi verso il circolo ristretto che gli sta attorno, mentre il partito ufficiale sembra di non avere di che pagare i propri funzionari, dopo non essere riuscito neppure a mantenere in vita il giornale di casa, La Padania.
L’uomo è scaltro e sul piano della comunicazione efficace, per quanto molto elementare e semplicistica. E’ riuscito dove Bossi ha fallito facendo travalicare alla Lega gli Appennini per dirigersi sempre più verso il Sud. Si è fatto tanti amici, ma, come dimostrano i dossier centellinati dall’Espresso, anche tanti nemici importanti, dentro e fuori l’Italia. E’ questa, dunque, una storia appena all’inizio.
Alessandro Di Severo