Voglio qui collegare due avvenimenti per affrontare la tematica universale del bene contro il male:
1- il decreto firmato il 12 dicembre scorso da Papa Francesco che ha riconosciuto le virtù eroiche del fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa, il Servo di Dio Giulio Facibeni, che così è stato proclamato Venerabile. Il decreto è un atto del processo di beatificazione e il futuro riconoscimento di un miracolo attribuito a don Facibeni potrebbe adesso consentire di proclamarlo Beato.
2- il Giorno della Memoria, ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le vittime dell’Olocausto, istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. Esso cade negli anniversari della liberazione dei sopravvissuti dal campo di concentramento di Auschwitz. Questo del 2020 è il 75° anniversario.
Ebbene il legame tra i due eventi è giustificato dal fatto che il Padre, come i suoi orfani appellavano don Giulio, è un Giusto tra le Nazioni per la sua opera a favore degli ebrei a Firenze durante l’olocausto. Il termine Giusti tra le nazioni (Righteous Among the nations, in ebraico: Chasidei Umot Haolam) indica i non ebrei che hanno rischiato la propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista, dalla Shoah. Sono oltre 20.000 i Giusti nel mondo e 417 gli italiani e l’elenco di questi è nel sito: storiaxxisecolo.it alla voce: deportazionegiusti.
Infatti don Facibeni nascose nella sua Opera molti ebrei ricercati dai tedeschi insieme anche a patriotti, partigiani e clandestini.
Ne scrive lo stesso don Giulio [vedi: Enzo Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI, 2 voll. (Roma: Carocci, 2007)] in una relazione sul passaggio del fronte inviata alla curia fiorentina il 19 gennaio 1945 : “dagli ultimi del 1943 fino alla liberazione [l’Opera] ha ricoverato e provveduto al mantenimento di dieci fanciulli, tre donne, tre giovani e due uomini ebrei”. Tra di essi vi sono i fratelli Cesare e Vittorio Sacerdoti, di due e cinque anni, (accolti a Montecatini Terme) e Louis e Harry Goldman (di 18 e 16 anni) e Willy Hartmayer (di 16 anni), affidati alla cura di don Facibeni da don Leto Casini –altro indimenticabile Giusto- e della cui salvezza egli si occupa in prima persona a Rifredi.
Ricorda Louis Goldman, in un libro da lui pubblicato negli Stati Uniti [Goldman L., Friends for Life: The Story of a Holocaust Survivor and His Rescuers, 1993] e poi tradotto in Italiano [Louis Goldman, Amici per la vita ,Ed. SP44,Firenze, 1993] che in primavera sarà nuovamente nelle librerie per iniziativa dell’Opera Madonnina del Grappa, con prefazione di don Corso Guicciardini, successore del Padre:
«La fama delle buone azioni di Mons. Facibeni si era sparsa fuori dell’orfanotrofio ed egli era stimato e rispettato in tutta Firenze… Era impossibile non essere toccati dalla sua umiltà, gentilezza e salda fede nella Divina Provvidenza… Divenne una abitudine accompagnarlo nei suoi giri per l’orfanotrofio. Spesso egli mi invitava perfino nella sua stanza a fare quattro chiacchiere… Il più delle volte chiacchieravamo toccando una ampia gamma di argomenti, la guerra naturalmente, sempre la guerra: sarebbe mai finita?… Parlavamo anche di argomenti più elevati: natura umana, filosofia, religione… Dalle sue finestre guardavo fuori attraverso il cortile fino alla casetta dove vivevamo Willy ed io. “Poveri ragazzi!” gli sentii sussurrare all’improvviso. Mi voltai e mi resi conto che mi guardava ma proprio allora la sua compassione lasciò il posto al sorriso: “Coraggio, su coraggio”… La cosa più sorprendente era che il Padre, anche nella cordiale intimità dei nostri “téte a téte”, non fece mai il minimo sforzo per allontanarmi dal giudaismo e convertirmi… Mons. Facibeni, al contrario, fece tutto quello che poteva per rafforzarmi nella mia: “Mantieni la tua fede, le tue tradizioni… Anche se ora stai attraversando un difficile periodo della tua vita non rinunciare mai alla tua fede”. In una occasione mi disse eccitato: “Ho qualcosa che voglio darti”, e andò a cercarlo tra i molti libri lì nei suoi scaffali, lo trovò e me lo consegnò con ovvio piacere. Un piccolo volume di grammatica della lingua ebraica. Fui toccato dal suo gesto, e alla vista dei caratteri familiari ne restai commosso. Ma lui mi strinse al petto con un abbraccio affettuoso.»
Per ulteriori notizie sull’azione di don Giulio Don Facibeni nel soccorso agli Ebrei stranieri rifugiati a Firenze e sull’aiuto dato a Louis e Harry Goldman e all’altro giovinetto, Willy Hartmayer, si veda anche: http://giustiemiliaromagna.it/giusti/la-storia-di-don-facibeni/. In particolare, per maggior sicurezza, Don Facibeni nascose i tre ragazzi in un piccolo edificio separato dall’Opera procurando loro documenti falsi che li identificano come profughi italiani di guerra provenienti da Nizza. I tre in realtà erano scappati prima dalla Francia e poi dalla caserma-prigione sul Lungarno Pecorari dove sono state rinchiuse le famiglie di Ebrei stranieri arrestati durante la retata del 6 novembre 1943, in attesa della deportazione ad Auschwitz.
In altra relazione redatta nel maggio 1945 da Eugenio Artom (rappresentante della comunità ebraica fiorentina nel periodo bellico), risulta anche che “Mons. Giulio Facibeni, Parroco di Rifredi” – assieme alla “Superiora del Monastero della Calza, quella del Monastero di San Ambrogio, [e] il Parroco di S. Francesco di Piazza Savonarola” – fu uno dei religiosi incaricati dai primi mesi del 1944 dal card. Elia Dalla Costa della “corresponsione materiale” di un sussidio individuale mensile di L.150 corrisposto clandestinamente ad ebrei dalla DELASEM, che aiutò tanti ebrei fiorentini nascostisi in città.[cfr il citato libro del Collotti]. DELASEM è l’acronimo di Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, che è stata un’organizzazione di resistenza ebraica che operò in Italia tra il 1939 e il 1947 per la distribuzione di aiuti economici agli ebrei internati o perseguitati, potendosi avvalere anche del supporto di numerosi non ebrei.
Altri i Giusti che operarono a Firenze oltre il Padre e don Leto Casini: Il card. Elia dalla Costa, don Cipriano Ricotti, madre Maria Agnese Tribbioli, Mons. Giacomo Meneghello, Gino Bartali e anche il lucchese don Arturo Paoli. Quanto al cardinale Dalla Costa così scrive lo Yad Vaschem di Gerusalemme nella motivazione della nomina a Giusto: «per aver offerto rifugio a oltre 110 ebrei italiani e 220 stranieri».
Come si legge nel Talmud: «Chi salva anche solo una vita, salva il mondo intero».
Carlo Parenti