L’EUROPA E L’ITALIA DOPO IL 26 MAGGIO

 Una valutazione complessiva,  una valutazione unica, delle elezioni tenutesi in tutti i paesi della Unione Europea, mostra chiaramente che  non ci si trova di fronte ad una serie discordante, ad una molteplicità di situazioni diverse nei vari paesi.

Si tratta di un segno inequivocabile del fatto una qualche unità dell’Europa esiste davvero.

Francesca Nastasi – Quale quadro generale si può tracciare, e quale giudizio politico si può dare di queste elezioni europee di fine maggio 2019? È questa, professore, la prima domanda che penso doverle rivolgere.

Giuseppe Sacco – È certamente possibile sottolineare, del risultato elettorale del 26 Maggio 2019, una connotazione positiva. Come, su queste stesse colonne, ha scritto Vera Zamagni, “la buona notizia delle recenti elezioni europee è che l’Europa c’è. Chi la dava ormai per morta è stato ampiamente smentito dalle urne… e c’è sia per chi è entusiasta di starci, sia per chi non lo è, ma ci deve inevitabilmente fare i conti” ( CLICCA QUI ).

A ciò si può aggiungere quanto rilevato da Nathalie Tocci, la Direttrice dell’Istituto Affari internazionali di Roma. E cioé che, a differenza dal passato, le elezioni non sono state la semplice sommatoria di 28 voti nazionali separati. Maanche “un momento politico genuinamente europeo”. I partiti politici hanno indubbiamente combattuto battaglie politiche interne, “ma si sono anche presentati come schierati sul discrimine Europeisti-Euroscettici”.

Ancora più importante, da questo punto di vista, mi pare poi il fatto  indubbiamente positivo che gli spostamenti e i trends elettorali che si sono verificati nei vari paesi siano abbastanza simili. Se non temessi di esagerare, e di prendere i miei desideri per realtà, mi spingerei fino a definire questo fenomeno come un segno dell’esistenza di un popolo europeo. In altri termini, chi personalmente considera positivi gli spostamenti verificatisi nell’opinione pubblica nella maggioranza dei paesi in questa tornata elettorale, dovrebbe considerare positivo anche uno spostamento nel senso opposto, purché avesse carattere omogeneo nella maggioranza dei paesi  o almeno di quelli più importanti. Se e quando i popoli europei si muovono più o meno all’unisono,  quale che sia il giudizio che si voglia dare della direzione in cui si muovono, finiscono comunque per dare un segnale di omogeneità che ha un suo valore,  almeno dal punto di vista di chi si sente europeista.

 

Francesca Nastasi – La maggior parte degli osservatori, però, considera come un segno di crisi dell’Europa questo spostamento delle opinioni pubbliche europee verso l’accentuazione dei valori di nazionalità e sovranità.

Giuseppe Sacco – Certo, tipico in questo senso mi pare l’articolo pubblicato su Le Monde,  un quotidiano che rappresenta perfettamente quello che esso stesso chiama « le mortel consensus bruxellois » Però questo stesso giornale così fazioso scrive che « questo Parlamento potrebbe essere più difficile da gestire, ma rappresenta meglio i cittadini. ”

Il nuovo Parlamento europeo è in primo luogo, più legittimo di quelli del passato, rafforzato da un tasso di affluenza che, per la prima volta in venticinque anni, ha superato il 50%. Più del previsto! Gli Europei hanno partecipato massicciamente a questo voto, di cui pure era stato detto che non  interessava nessuno.

Raramente gli europei sono stati così uniti: avrebbero potuto votare in base a criteri nazionali, e invece hanno fatto scivolare lo stesso messaggio nelle urne, un messaggio di sfiducia verso i principali partiti tradizionali e un desiderio irresistibile di rinnovamento.

Francesca Nastasi – Insomma, proprio mentre si strappa le vesti per il risultato, il quotidiano che, secondo solo a Repubblica, è più stolido rappresentante della politicamente corretto, finisce senza accorgersene per dare degli eventi di fine maggio l’interpretazione che qualsiasi europeo ragionevole considererebbe largamente positiva

Giuseppe Sacco – Esattamente! Accecati come sono dalle loro scelte partigiane,gli araldi dei luoghi comuni più stantii gridano alla “onda nera”, alla crisi mortale. In Italia, basta guardare ai pietosi personaggi che vengono mandati dal partito di Zingaretti ai dibattiti televisivi, rappresentanti che più veritieri non si potrebbe del passaggio di questo partito dal comunismo al “luogo-comunismo”.

 Però in un ceryo senso è vero che – come essi strillano – assistiamo a una crisi dell’Europa. Nessuno può negare che sia in crisi l’Europa dei burocrati di Bruxelles, e dei lobbisti con cui essi spendono la maggior parte del loro tempo. Ciò mi pare difficile da contestare.

Non solo perché sia gli uni che gli altri sono totalmente distaccati dai popoli europei, e vivono in un piccolo mondo di interessi particolari e di piccoli privilegi, che chiaramente gli elettorati che sono stati chiamati al voto la settimana scorsa non tollerano più. Ma anche perché è in crisi l’Europa che ha abbandonato gli obiettivi delle origini, esi è fatta mediatrice del processo di globalizzazione a scapito delle identità nazionali e del ruolo che gli Stati membri dovrebbero avere in virtù del principio di sussidiarietà.

L’Europa comunitaria e burocratica, infatti,  di fronte ai fenomeni che hanno caratterizzato la globalizzazione del potere mondiale a partire alla fine degli anni 70,  ha rinunciato ad ogni forma di difesa dei legittimi interessi delle società nazionali del vecchio continente, finendo per favorire quei centri di potere globale e senza patria che diventati così potenti negli ultimi anni.

 

Francesca Nastasi – E contro  queste  degenerazioni, che hanno messo in crisi la costruzione europea, che i popoli sembrano oggi rivoltarsi?

Giuseppe Sacco – Mi pare difficile negarlo,  visto che nel  corso della campagna elettorale anche partiti che si dichiaravano più fortemente europeisti lanciavano slogan che invitavano gli elettori a votarli per trasformare l’Europa da cima a  fondo.  La loro rivolta tuttavia non è né un segno, né per forza un innesco, di una decadenza più grave del progetto di unificazione politica dell’Europa. Può esserne anzi la cura.

Se proprio si vuole usare la parola crisi, usiamola pure! Ma non dimentichiamo che questa  parola di origine greca significa “svolta”, e si usa in medicina per indicare quella particolare fase in cui il destino di un paziente si decide per indicare il momento in cui il decorso della malattia prendere la strada della guarigione, oppure della morte. Nel nostro caso, è evidente che si è giunti a quello che in futuro gli storici potrebbero considerare un punto di svolta; ma non è ancora chiaro se il vento di protesta che soffia in gran parte dei paesi membri dell’Unione porterà al suo dissolvimento – come profetizzano alcuni osservatori interessati –  oppure ad un’ suo rilancio.

 

Francesca Nastasi – I verdi sono ormai il secondo partito in Germania, e hanno avuto significativi successi anche in altri paesi, con la notevole eccezione dell’Italia. Sembrano forse destinati ad un ruolo di crescente importanza. Pensa che ciò accadrà? E come si manifesterà questa crescita del loro ruolo?

Giuseppe Sacco – Gli equilibri tra forze politiche venutisi a creare in Germania e in altri paesi europei, metterà rapidamente i Verdi sotto pressione, perché li metterà di fronte alla necessità di scegliere se partecipare o no a governi chiamati a decisioni politicamente molto caratterizzanti. E movimenti d’opinione a carattere monotematico, come sono appunti i verdi,  vedranno esplodere tutte le differenze che ci sono al loro interno, su un grande numero di altre questioni, importanti almeno quanto quelle relative alla protezione dell’ambiente. In altri termini, penso che, in Europa, la prossima crisi sarà quella dei Verdi.

Se saranno chiamati a far parte di coalizioni di governo, essi scopriranno infatti che la politica è complessità, e costringe ad aver posizioni precise su tutto un insieme di questioni. I Verdi si troveranno insomma rapidamente nella posizione in cui si è trovato il Movimento Cinque stelle dopo un anno di governo, messo a terra da opinioni centrifughe. E del resto il movimento cinque stelle aveva una componente ambientalista molto importante, dovuta anche al fatto che, in Italia, gli ambientalisti, inizialmente guidati da personalità di un certo livello culturale ed intellettuale, erano finiti in mano a personaggi impresentabili.

Ciò è tanto più penoso ed allarmante in quanto l’Italia è paese al mondo che ha più da perdere con il degrado ambientale. Non è soltanto in un settore economico importantissimo come quello turistico che il clima ha sempre rappresentato per l’Italia una carta determinante; al contrario, lo è sempre stato per l’agricoltura, e per tutto ciò che riguarda la qualità della vita.

 

Francesca Nastasi – La stampa ostile alle forze che sono uscite con il miglior risultato dalle elezioni europee hanno già ampiamente sottolineato la possibilità di un isolamento dell’Italia non solo a Strasburgo, ma soprattutto a Bruxelles.

 Giuseppe Sacco – Non si tratta di un fenomeno nuovo. L’Italia è sempre stata isolata. E non ha mai contato molto, neanche quando ha avuto il Presidente della Commissione, sottoposto a forti condizionamenti soprattutto da parte degli Inglesi. O quando ha avuto il Commissario alla Concorrenza, che per molti aspetti, talora anche positivi, sembrava più un uomo della Germania che dell’Italia.  Sia chiaro: questa scarsa rilevanza dell’Italia in sede comunitaria è stata dovuta soprattutto a colpe italiane! Ma il problema si pone oggi con maggiore visibilità, date le posizioni critiche assunte della Lega nei confronti della gestione Juncker, dalla imminente necessità di indicare un nuovo Commissario, ed anche di cercare una sua collocazione diversa da quella della Mogherini.

 

Francesca Nastasi – Come pensa che l’Italia si dovrebbe orientare di fronte a queste due occasioni?

Giuseppe Sacco – Già la scelta della  persona del Commissario italiano da inviare a Bruxelles si presenta non facile.  Infatti, è invalsa la prassi di nominare in tali posizioni o ex ministri, oppure  personalità nate e cresciute nel “serraglio” delle istituzioni comunitarie. E le forze politiche oggi al governo dell’Italia non hanno molte persone che corrispondano a questo  profilo.

Ancora più difficile appare la scelta del  ruolo cui puntare per tale personalità. In realtà, allo stato attuale dell’economia italiana e della politica economica europea, più che di persone e di incarichi si dovrebbe parlare di orientamenti. In particolare, anche tenendo conto di come in questi ultimi anni siano sempre più emersi gli aspetti negativi e squilibranti della globalizzazione e dell’iper-liberismo, si dovrebbe puntare a far assumere all’Unione e ai suoi membri più influenti una linea di politica industriale.

 

Francesca Nastasi – E nell’immediato? Di fronte alle scadenze più urgenti e visibili?

Giuseppe Sacco – Nell’Unione quale essa è attualmente, la posizione cui Roma dovrebbe logicamente tentare di puntare è quella attualmente occupata dal “franco-globalista” Moscovici.  E, al contempo, l’Italia dovrebbe comunque ribadire il principio che, quando si assume una carica comunitaria, la nazionalità della persona che la occupa dovrebbe scomparire dal suo comportamento. Ciò anche sull’esempio di come si è comportato Draghi alla BCE.

Questa linea sarebbe coerente con il fatto che al primo punto  dell’agenda del  governo italiano dovrebbe esserci, dopo le elezioni europee, un rilancio della spesa a sostegno dell’economia e degli investimenti non solo produttivi, ma anche infrastrutturali. E ciò potrebbe necessitare di misure come la creazione di una moneta parallela, consentita dai Trattati, ma che probabilmente  incontrerebbe critiche ed autentiche difficoltà create dai paesi partner.

Quella oggi detenuta dalla Francia è però una posizione difficilissima da conquistare, a meno che Parigi non ritenga di aver maggior interesse – nel presente quadro politico internazionale – alla posizione attualmente detenuta dalla Mogherini,  oppure alle competenze oggi formalmente affidate al rappresentante inglese. Basta infatti dare uno sguardo alla ripartizione della spesa pubblica in Francia per capire che con la presidenza Macron, Parigi cerca di avere, in campo internazionale, un ruolo non solo politico, ma anche militare molto più notevole di quanto non lo avesse mai avuto nel recente passato.

Intervista di Francesca Nastasi

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