Ricordo ancora nitidamente quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 quando raggiunsi la sede provinciale della Dc di Livorno, partito cui mi ero iscritto da pochi mesi dopo la stagione della contestazione studentesca.
Allora non c’erano Internet e la rete mobile telefonica. Ci si affidava molto al passa parola, alla radio e al vecchio telefono con la rotella per formare il numero. Poi, la sera rientrati a casa si vedeva il telegiornale, ancora unificato, in bianco e nero.
Sapemmo abbastanza casualmente della terribile strage di Milano, alla Banca dell’Agricoltura di quella metà pomeriggio. Probabilmente doveva essere un attentato dimostrativo da effettuare a banca vuota. Invece, i locali dell’istituto di credito erano aperti per una pomeridiana trattativa di azioni. Tutte cose destinate, però, ad essere conosciute solo successivamente. In ogni caso, poco cambiava.
La strage di Piazza Fontana divenne uno spartiacque nella storia moderna nazionale, nelle coscienze, nelle analisi politiche. Iniziò forzatamente un’altra stagione.
Noi giovani ventenni di allora fummo costretti a diventare improvvisamente adulti e a misurarci con la vera e cruda realtà rappresentata da quello che sono capaci di fare gli esseri umani.
Progressivamente, avremmo dovuto scoprire la pratica dei depistaggi, lo scontro presente nei servizi e in altri apparati pubblici, il collegamento tra gruppi armati o bombaroli, delinquenza organizzata e entità segrete. All’improvviso, ci ritrovammo come se ci avessero tolto definitivamente le speranze in un futuro destinato a essere solamente radioso.
Ricordo distintamente come tra i presenti nella sede dc, alcuni giovani e taluni anziani, immediatamente disegnammo in piccolo l’immagine che l’Italia avrebbe dato nelle ore a seguire, nei giorni a seguire e per lunghi anni a seguire.
Noi giovani indicammo subito nei fascisti i responsabili. Gli anziani, che sicuramente risentivano di più dello scontro politico che durava da oltre vent’anni in una città “ rossa” come era sempre stata Livorno, accusavano le sinistre. Anzi, allora si diceva “sono stati gli anarchici”, ma per estensione ci si riferiva anche ad altri.
A molti di noi sembrava tutto chiaro. Già alcuni precedenti segnali, in realtà, non lasciavano dubbi sulla matrice di quel gesto criminale e disumano. Per lungo tempo, però, venimmo zittiti perché tutte le indagini portavano agli anarchici di Pietro Valpreda e di Pinelli.
Chi pagò per tutti da innocente fu il commissario Calabresi.
La Strage di Piazza Fontana servì anche all’estrema sinistra a giustificare le proprie folli strategie. Non è un caso che le Brigate Rosse vennero formate ufficialmente nell’agosto del ’70, meno di un anno dopo Piazza Fontana. Sarebbero probabilmente nate lo stesso, ma in quella strage i terroristi di sinistra trovavano una giustificazione in più per superare le ultime riserve verso la scelta della lotta armata.
La bomba di Piazza Fontana, come tante altre che l’avevano preceduta e tante altre destinate a seguirla, era stata fatta deflagrare contro le istituzioni democratiche. Come sarà poi per numerosi altri delitti politici, in primo luogo, era diretta contro la Democrazia cristiana che rappresentava il perno di tenuta del complesso, ed anche complicato, sistema democratico di allora.
Si avviò un ciclo di lacrime e sangue. I bombaroli e i terroristi divennero ben presto, in alcuni casi forse inconsapevoli, strumento anche di forze esterne al Paese.
In molti avevano interesse a destabilizzare un’Italia cresciuta troppo in fretta economicamente. Un’Italia che in qualche modo esprimeva posizioni proprie nelle vicende mediterranee e di quelle dei palestinesi e nei rapporti con l’est europeo. I terrorismo nostrano dovenne sicuramente oggetto di attenzione da parte di una realtà internazionale di ultra destra, o che l’estrema destra usava come manovalanza da mettere in campo alla bisogna, che già trovava sostegno e collegamenti in due altri paesi di chiara impronta fascista presenti in quel momento nel Mediterraneo.
In Grecia da due anni comandavano i colonnelli golpisti. Da subito crearono relazioni con gruppi eversivi italiani e parti dell’apparato pubblico fortemente orientato a destra. La Spagna di Franco non era da meno e per lungo tempo avrebbe fatto da rifugio e linea di rifornimento dei gruppi terroristici italiani dì taglio neo fascista. Una situazione destinata a durare lungo una buona parte della prima metà degli anni ’70.
Nel giugno del 1976 accompagnai da giornalista Francesco Cossiga a Madrid dove, da Ministro degli Interni, faceva la prima visita di Stato di un componente del Governo italiano. Sette mesi prima, il 20 novembre 1975, era morto il Generalissimo Franco. La Spagna si apriva alla democrazia. Cossiga voleva farsi consegnare i terroristi fascisti italiani colà rifugiati e protetti fino a quel momento o, almeno, fare in modo che le nuove autorità spagnole se ne liberassero e li abbandonassero al proprio destino. Alcuni di loro erano considerati i responsabili dei morti di Piazza Fontana.
Al nostro arrivo all’aeroporto di Madrid fummo accolti dalla notizia che Emilio Rossi, direttore del Tg1, era stato appena gambizzato dalle Br mentre giungeva alla sede Rai di Via Teulada. A piedi, come una persona qualsiasi. La polizia non era riuscita ancora a organizzargli la scorta dopo che il giorno precedente la stessa sorte era toccata a Indro Montanelli.
Giunti a Toledo, dove si sarebbero svolti gli incontri con il ministro degli interni iberico, che se non ricordo male era Alfonso Osorio García, questi informò Cossiga che due guardie civili spagnole erano state appena uccise per mandare un messaggio ad entrambi loro.
Così quella giornata ci consegnò plasticamente il significato di cosa fosse, e ancora cosa avrebbe significato a lungo, la stagione avviata con la strage del 12 dicembre 1969.
Dopo Piazza Fontana l’Italia non fu la stessa. Tenuta perennemente in un clima di paura, poi ulteriormente aggravato da verificarsi di nuovi attentati, di nuove stragi, come quelle che in successione i fascisti portarono a compimento contro il treno Italicus, a Piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna.
La destra italiana si specializzò nelle stragi, nell’uso delle bombe, nel lasciare vivo un terrore sordo e impalpabile che si rafforzava per le altrettanto criminali azioni portate a compimento dalle Brigate rosse animate da un delirio altrettanto folle.
Giancarlo Infante