L’emergere di Internet negli anni Novanta ha portato alla nascita di un mezzo di comunicazione del tutto nuovo, diventato, in breve tempo, economico, istantaneo e di facile accesso ma anche accompagnato da una dichiarata «indipendenza politica del cyberspazio» e dei suoi «cittadini» (Barlow 1996). Il mondo digitale sembra essere un nuovo forum ossia uno spazio pubblico (virtuale) dove si svolge gran parte della vita sociale della polis (Giovanni Paolo II, 2002). Stimolare e facilitare la partecipazione politica e la manifestazione di nuove forme di cittadinanza attiva (Papa Francesco 2015) costituisce lo scopo ultimo della cosiddetta e-democracy, ove spetterebbe alla forma (elettronica) garantire la sostanza (democratica). Che la comunicazione politica (online e offline) viaggi sui media digitali (Hacker-Van Dijk 2000) è solo il punto d’attacco di un dibattito sulla e-democracy che ha visto incrociare le spade epigoni e detrattori di queste nuove articolazioni, sul piano procedurale e sostanziale, della democrazia.
La riflessione è ancora agli inizi. Rispetto alle sue possibili conseguenze sui sistemi politici, se per un verso nessuno nega la maggiore partecipazione politica e l’allargamento della sfera pubblica della democrazia “web 2.0” (Chadwick 2004) rimangono questioni aperte i temi dell’aumento delle disuguaglianze sotto forma di divario digitale e della estensione del controllo sociale sui cittadini (De Blasio 2014). A tal proposito, tralasciando la distinzione fra e-government ed e-democracy, è sul piano informativo che si consumerebbe lo scarto fra la democrazia “dei moderni” e quella dei “neo-classici”, per così dire. Basti citare, a titolo esemplificativo, due studi condotti dalla Università di Oxford sul rapporto fra la “rete” e gli elettori. Sulla base di rilevazioni svolte nel 2003 e nel 2005, i ricercatori inglesi confermarono che una maggiore familiarità e competenza con Internet potrebbe aumentare il coinvolgimento online di tutti i gruppi sociali, ampliando la visione del mondo delle persone, facilitando la ricerca selettiva di informazioni e la condivisione di idee e favorendo la comunicazione con persone con interessi politici simili; tuttavia ciò rafforzerebbe le divisioni sociali (di Gennaro-Dutton 2006), senza contare il crescente potere di manipolazione dell’opinione pubblica da parte degli stati nazionali attraverso i canali social, gli algoritmi e big data, come attesta un recente lavoro dell’Oxford Internet Institute (Bradshaw-Howard 2019).
Il rapporto tra informazione e democrazia è evidente e complesso. Le decisioni dei cittadini non sono solo calcoli di dati, ma comportano anche giudizi e strutture analitiche per ordinare le informazioni pertinenti, nella consapevolezza che è la doxa (le “idee leggere”) e non la episteme a segnare la democrazia (Sartori 1987, 1993). C’è forse qualcosa di ingenuo nel rivendicare una maggiore trasparenza in politica, poiché ciò equivale a richiedere che gli attori sociali rinuncino a qualsiasi comportamento strategico (Leca 2001) di quelle elite che, in competizione fra loro, influenzano (volens, nolens) i processi democratici (Sartori 1996). La e-democracy si struttura come reazione allo statu quo attraverso la strumentazione tipica della democrazia deliberativa (Fishkin 1991), con marcate tendenze idealizzanti rispetto alla sovranità popolare (Achen-Bartels 2016) e alla rete, considerata quasi quale fondamento della democrazia stessa (Floridi 2018).
Nel calore dell’ascesa di queste nuove articolazioni delle forme democratiche, si può cadere nello stesso sentimento di confusione che l’autore della Democrazia in America provava in mezzo al «fiume vorticoso» del suo tempo (Tocqueville, 1835). Per non essere travolta dall’imponente flusso di eventi ed informazioni, la partecipazione democratica sembra scoprirsi vieppiù una scelta di responsabilità personale e sociale, “sturzianamente” popolare: reclamare una più ampia e maggiore democrazia, ammoniva profeticamente papa Pacelli proprio nel 1944 (et pour cause) «non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune» (Pio XII, 1944).
Mauro Bontempi
Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano il 5 dicembre 2019. Nono di una serie dal titolo ” Per una democrazia inclusiva”