Il canale televisivo Raistoria, alla cui importanza il mondo politico-culturale italiano non dedica in genere la dovuta attenzione, non può non essere considerato un importante strumento nella vita democratica del nostro paese. E ciò soprattutto in una fase storica internazionale in cui la globalizzazione galoppante rischia di livellare ed omogeneizzare le identità nazionali, culturali e religiose, lasciando che di queste tematiche si impadroniscano, nel nostro paese, addirittura forze politiche che in origine erano – e in parte ancora rimangono – a carattere regionalistico-reazionario, se non addirittura separatista.
Si deve dare atto al notissimo giornalista che è di fatto il deus ex machina dell’intera programmazione di Rastoria del fatto che egli piuttosto di frequente invita a collaborare storici di ispirazione culturale cattolica, andando così contro corrente rispetto agli ambienti “culturali” (e soprattutto al demi-monde pseudo-culturale) del nostro paese. Eppure, quando si affrontano tematiche di ampio respiro internazionale, l’approccio di Raistoria appare spesso legato ad un filoamericanismo piuttosto di maniera; e al tempo stesso – con un paradosso solo apparente – la scelta dei filmati d’epoca è quasi sempre fatta tra lavori influenzati dalla “cultura” e dalla “narrazione” della Storia Patria fatta per settant’anni dal defunto Pci. L’analisi dei fatti storici – infine – appare un po’ troppo in armonia col “pensiero” che è stato prevalentemente negli ultimi anni.
Per la ricorrenza del 26 luglio 1953, giorno in cui il giovane Fidel Castro condusse il suo primo attacco contro dittatura che aveva consegnato Cuba al gangsterismo americano (basta ricordare il ruolo di Meyer Lansky nell’isola), al pubblico televisivo è stata così offerta una assai interessante rilettura della ormai più che semisecolare vicenda della rivoluzione cubana. Una ricostruzione, questa, cui non sembra però inutile aggiungere qualche riflessione complementare.
Il fatto che la formazione del leader rivoluzionario sia stato di matrice cattolica viene da Raistoria adeguatamente sottolineato, così come il suo permanente trarre ispirazione dal pensiero e dallo stile politico di Sant’Ignazio di Loyola, anche quando le dure leggi della politica mondiale lo hanno costretto a servirsi dell’appoggio sovietico. Né si può dire che Raistoria non abbia reso giustizia al mai cessato sforzo di Fidel Castro per trarre partito da, ma anche per riconoscere alla Chiesa cattolica, il ruolo che questa è naturalmente chiamata a tenere nella società cubana. E ciò soprattutto ai suoi esordi politici, quando Fidel era considerato, anche dai Servizi segreti americani, un “Cristiano Sociale” assai diverso dai, e potenzialmente avverso ai comunisti cubani. (I quali, peraltro, lo denunciavano come un “terrorista” perché nella sua opposizione al dittatore Fulgencio Batista non seguiva le direttive “attendiste” di Mosca).
Più tardi, negli anni successivi alla crisi che avrebbe portato al crollo del blocco comunista, e durante i quali egli incontrò lungamente ben tre Pontefici, Fidel Castro è poi riuscito, anche grazie alla benevolenza della Chiesa e agli sforzi di mediazione di Papa Francesco, a garantire al proprio regime un destino ben diverso da quello toccato ai satelliti dell’Unione Sovietica.
Meno in luce, anzi completamente ignorato da Raistoria, è al contrario stato il ruolo dell’altro leader cattolico con cui Castro ebbe a misurarsi nel momento cruciale della sua vicenda personale e politica, cioè il ruolo di John Fitzgerald Kennedy.
Due punti fondamentali sono infatti risultati assenti nella ricostruzione presentata dal canale cui la Rai ha affidato la narrazione tanto della storia mondiale quanto della Storia patria: il primo relativo alla spedizione della Bahia de cochinos; il secondo relativo al dietro-front che Krusciov fece fare alle sue navi che trasportavano i missili atomici verso Cuba, ponendo così fine ad una crisi che per due settimane aveva fatto temere al mondo una guerra atomica tra le due superpotenze.
Lo sbarco degli anti-castristi ebbe luogo tra il 15 e il 19 Aprile del 1961, date che indubbiamente consentono di dire che esso è avvenutodurante la presidenza di J. F. Kennedy. Questi, però, era entrato nella carica meno di tre mesi prima, il 20 Gennaio di quello stesso anno. E ciò rende assai convincente l’interpretazione secondo la quale l’operazione, condotta da emigrati e da mercenari assai poco credibili come ispirati da ideali di Patria e di Libertà, fosse stata organizzata ancor prima che i Repubblicani lasciassero il potere, e di cui il neo-eletto presidente democratico non ne fosse neanche preventivamente messo al corrente.
Se si tiene conto delle circostanze in cui avvenne quel tentativo di regime change, diventa invece assai convincente l’interpretazione, che è stata da più parti avanzata, secondo la quale esso sia stato pensato ed organizzato da qualcuna delle “strutture” che costituiscono quello che gli Americani stessi chiamano il deep state, lo “Stato profondo”. E che la spedizione sia stata voluta ed organizzata proprio per mettere Kennedy di fronte ad un fatto compiuto. Non a caso, l’impresa, pur fallita nel giro di tre giorni, venne amplificato a dismisura dagli stessi ambienti politici, giornalistici e del “complesso militare-industriale”, il cui potere straripante ed occulto era stato poco prima apertamente denunciato nientemeno che dal Presidente uscente, il repubblicano Eisenhower, al momento di lasciare la Casa Bianca.
Era chiaro che l’incidente militare tra i due paesi avrebbe consentito di avvelenare l’atmosfera, e avrebbe reso pressoché impossibile al presidente cattolico di portare avanti con Cuba la propria linea di pace, di distensione e di sostegno alle democratizzazione nell’America Latina. Politica che invece fu possibile condurre con successo nei confronti di altri importanti paesi, come il Venezuela, dove il venir meno del sostegno usa al feroce e corrotto dittatore Perez Jimenez portò ad elezioni democratiche, e quindi alla Presidenza Betancourt, e – con l’invenzione dell’OPEC da parte del Ministro venezolano dello Sviluppa, Juan Pablo Perez Alfonzo – ad una politica petrolifera che sarà di grandissimo impatto in tutto il trentennio successivo, a favore dei paesi poveri del Terzo Mondo
Raistoria, senza batter ciglio, attribuisce invece al presidente Kennedy, nel 1961, una totale continuità con la linea impostata dai repubblicani nei confronti di Cuba, subito dopo che Castro aveva preso il potere, un anno prima dell’avvento a Washington del presidente cattolico.
Un secondo, e ancora più significativo, silenzio che si può notare nella narrazione presentata da Raistoria, è quello relativo alle concessioni che furono fatte all’Unione Sovietica perché rinunciasse a sbarcare le sue micidiali armi sull’isola caraibica. La decisione di Kruscev di far fare dietro front alle sue navi cariche di morte viene trionfalisticamente presentata come il risultato della “maniera forte” che sarebbe stata usata degli Stati Uniti, come risultato dell’aver l’America brandito la minaccia all’olocausto nucleare contro il suo rivale dell’epoca, e contro l’intero genere umano. Presentazione forzata e accettabile solo da un pubblico di massa e poco informato dei fatti. Perché in cambio della rinuncia sovietica a trasformare Cuba in una propria base missilistica immediatamente sulla soglia della potenza rivale, l’Amministrazione Kennedy fece una mossa di fondamentale importanza distensiva: la mossa di ritirare i missili nucleari puntati verso il territorio sovietico dalle basi Nato in Turchia.
La morale della vicenda assume quindi, nella versione televisiva, un significato diverso, se non addirittura opposto, a quello che potrebbe essere tratto da un osservatore più attento ai dettagli, ed in grado di non farsi ingannare dalle omissioni. Una morale della vicenda secondo la quale Kennedy trasse occasione dalla crisi di Cuba non tanto per umiliare l’avversario – il che avrebbe ancor più attizzato la rivalità -, bensì per attuare il primo passo della propria politica di distensione internazionale, politica osteggiata da quelli che avevamo organizzato lo sbarco alla Baia dei porci. E da quelli che almeno applaudirono quando coloro che temevano una estensione di questa politica di pace anche alla guerra del Vietnam riuscirono, a Dallas, a sbarazzarsi definitivamente del primo ed unico Presidente cattolico nella storia degli Stati Uniti d’America.
Giuseppe Sacco