Bene ha fatto l’Arma dei Carabinieri ad avviare immediatamente un’inchiesta a seguito della pubblicazione di una foto che mostra le condizioni in cui è stato tenuto uno dei due ragazzi statunitensi accusati di aver ucciso a coltellate un militare della Benemerita.

Siamo freschi delle vicende del caso Cucchi. Freschi anche della determinazione dei nuovi vertici dei Carabinieri di stare ai fatti, senza alcuna indulgenza verso lo spirito di corpo, che pure costituisce un valore importante. Su questa base è possibile giungere alla verità, almeno a quella giudiziaria, e, quindi, a rafforzare quei comuni intendimenti e comportamenti che stanno alla base di un autentico processo democratico e del vivere civile.

La questione rischia tra l’altro di avere dei risvolti internazionali che non possono essere sottovalutati perché, contrariamente a quello che si è subito strumentalmente cercato di raccontare,  non ci sono di mezzo degli immigrati qualunque.

Stare ai fatti. Conoscerli nella loro complessità, prima di gettarsi in avventate dichiarazioni pubbliche e dare corso, su giornali, in televisione e sui social a solleticare il peggio presente in ciascuno di noi. Il vivere civile non ha bisogno di approssimazione, faziosità, odio preconcetto e basato su stereotipi rozzi e volgari, oltre che sui soli calcoli elettorali.

Siamo uno stato di diritto. Sarebbe bene che per primo non se lo dimenticasse chi è, ma solo momentaneamente, e su incarico democraticamente ricevuto, a guidare le istituzioni pubbliche.

Se si perde di vita questo punto di partenza il tessuto sociale rischia di esplodere. Noi non lo vogliamo, ma constatiamo come sembri che la cosa vada  bene, invece, ai seminatori di odio e di divisioni. Non crediamo proprio alle persone ragionevoli e davvero interessate al bene comune. Sono tante; più di quelle che rivelano pilotati e finanziati sondaggi.

In questo caso è inevitabile riferirsi al ministro dell’Interno. Egli, più che a darci la sicurezza di vigilare ed intervenire sull’ordine pubblico con terziarietà, appare oramai con chiarezza un semplicistico, a volte approssimativo piazzista di posizioni demagogiche,  sparse in abbondanza solo in vista di elezioni per le quali si vede sempre trionfatore.

In un Paese serio gli verrebbe richiesto, da chi è in autorevole condizione di farlo, di lavorare da mane a sera alle questioni della vita civile, come hanno fatto tutti coloro con analoga responsabilità nel corso della storia della Repubblica.

Salvini è pur sempre  solo un “ nominato”,  secondo le regole fissate dalla Repubblica. Il suo incarico governativo è giunto a seguito di vicende persino rocambolesche, visto che il suo partito ha solo il 15% dei consensi veri in Parlamento.

Invece, seguendo  le cronache grandi e piccole dei giornali continuiamo a leggere il racconto di un Paese allo sbando, nonostante i dati sulla grande criminalità dimostrino una riduzione del numero dei più gravi delitti.

Salvini, a chi lo ha interpellato sul delitto di Roma e sulle polemiche seguite, ha risposto nel suo solito modo “ irresponsabile”, nel senso di non assumere mai la responsabilità istituzionale necessaria ad affrontare la complessità dei problemi: “ io so solo che è stato ucciso un carabiniere”.

Lo sappiamo bene anche noi. Così come sappiamo, purtroppo, che ogni nostra parola non servirebbe a ridare la vita a quel carabiniere e neppure a lenire il dolore della giovane moglie, sposata appena 40 giorni fa.

Siamo di fronte ad un inspiegabile, stupido ed efferato delitto compiuto da due giovani poco più che diciottenni, ma che non per questo meritano alcun sconto. Siamo di fronte ad una Capitale abbandonata a se stessa perché le forze dell’ordine non hanno gli uomini e i mezzi adeguati ad assicurare i presidi necessari.

Salvini, però, glissa su tutto ciò. Lo stesso fa sull’odio sociale sparso a piene mani. Finge d’ignorare le proprie responsabilità istituzionali. Nel caso specifico, non ha subito precisato come stavano le cose: non si trattava di due magrebrini, cioè immigrati di serie B. Non una parola sull’imbarazzo e le preoccupazioni provocate dalla diffusione della foto del giovane statunitense trattato in un modo stridente con tutte le norme nazionali e internazionali.

Ancora una volta scopriamo di avere a che fare con un responsabile del Viminale molto poco “ virile”. Se essere uomini fino in fondo significa anche stare ai fatti, conoscerli,  e riconoscerli per la loro valenza e significato; se significa valutare con onestà intellettuale e lealtà, verso se stessi e gli altri, il se e il come si assolve al proprio compito pubblico di garante di tutti.

E’ questo un dovere fondamentale nel momento in cui si è insediati al Viminale e si deve assumere una dignità  che va ben oltre la responsabilità di essere capo di una parte. In particolare, al ministerodell’Interno c’è da pensare a tutti gli italiani secondo standard conclamati e riconosciuti senza spirito di fazione.

Dal Ministro dell’Interno i contribuenti, non solo quelli che votano Lega, aspettano ben altro che dichiarazioni demagogiche e lo strumentale uso di una posizione di grande e delicata responsabilità.

Com’è capitato ad un altro “ uomo solo al comando”, a un altro Capitano, ma dalla parlata fiorentina, illuso anch’egli dai sondaggi di essere riuscito ad avere il Paese ai propri piedi, chissà che anche Matteo Salvini non finisca per capire tutto ciò in una sola volta. Nonostante le apparenze sembra essere sulla stessa buona strada, mentre magari, anche stavolta, Berlusconi starà pensando che l’uomo non ha il “ quid”, dopo averlo definito ” un ruspante”.

Giancarlo Infante

 

 

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