La situazione economica attuale a livello mondiale, con una inflazione in atto, si presenta piena di incertezze dovute a situazioni contrastanti che, nonostante segni di ripresa, possono portare verso una possibile recessione.

Un esempio in Italia è che mentre il mercato delle merci e dei prodotti finali stenta a decollare, quello dell’investimento azionario è comunque in ripresa, tra cui il mercato del ”digital marketing e comunicazione”, il commercio on-line (darkstore e la spesa on line), il settore farmaceutico e la ricerca in ambito sanitario, e-commerce,  ecc…

Le società per azioni e/o di capitali, Infatti, pur investendo parte degli utili in miglioramenti tecnologici aziendali e senza trascurare prudenzialmente i necessari accantonamenti a fondi di riserva, si preparano a distribuire agli azionisti gli utili conseguiti derivanti da una gestione reddituale positiva.

Ciò nonostante le imprese e i consumatori finali si trovano a lottare contro una inflazione che, nel nostro Paese, si è assestata al 10,1% circa, troppo alta per non incorrere nel pericolo di una possibile recessione economica.

Valuterò pertanto lo stato dell’inflazione in atto e la sua prevedibile evoluzione, il ruolo delle Banche centrali nella manovra dei tassi di interesse, l’eventuale pericolo della recessione e lo stato attuale del credito bancario alle imprese e alle famiglie.

A questo punto viene naturale valutare i vari aspetti dell’inflazione per cui essa non sempre è solo un “fenomeno monetario” così come dice Milton Friedman, ma l’aumento dei prezzi può essere causato anche dalla riduzione o stasi dell’offerta (vedi forte carenza delle forniture dei microchips causato dalla frenata della produzione in tempo di pandemia da covid -19), dai “Fiscal splurges” (“eccessi fiscali”), dal problema energetico (vedi guerra Russia – Ucraina), dall’eventuale carenza di manodopera ecc…,tutte situazioni  che possono e/o concorrono a creare inflazione. Tutto ciò è avvenuto tra l’autunno del 2021 e tutto il 2022 dove le interruzioni dell’offerta, lo shock energetico, l’aumento dei consumi e le misure di aumento dei salari e/o parziale adeguamento degli stessi, hanno causato l’aumento dei prezzi sia in Europa che negli USA.

Un’altra situazione che ha generato (e genera) inflazione, cosi come è scritto sul giornale “The Economist” del 21 gennaio 2023, deriva dalla tendenza dei lavoratori a spostarsi verso settori in crescita al fine di migliorare la relativa remunerazione, cosa che, come conseguenza, ha portato (e porta) ad un aumento dei consumi, quindi dei prezzi. Tuttavia l’aumento dei prezzi, che se è moderato perché generato dai maggiori consumi per incremento del reddito reale disponibile dal lavoratori, non è dannoso per l’economia perché crea un accrescimento reale di ricchezza, crea sviluppo ed è fondamentale per la crescita economica.

Un ulteriore aumento dei consumi che porta ad un aumento dei prezzi è stato generato anche dall’eliminazione delle restrizioni post pandemia con conseguente incremento della domanda di turismo, di partecipazioni a feste, di matrimoni, di spettacoli ecc…

L’articolo del “The Economist” del 21gennaio 2023 dal titolo “Europe may end up a worse inflation problem than America” parlando di “CORE INFLATION” lo indica come “a measure that strips out volatile food and energy prices, and is usually much slower  to rise-and more difficult to bring down” e cioè  “una misura che non considera i prezzi  di consistente volatilità come il cibo e l’energia e che è di solito è più lenta ad aumentare e più difficile da abbattere”.

Quindi “Core Inflation” (inflazione core o anche inflazione di fondo)) è al centro degli interessi che gli economisti hanno per il controllo della variazione dei prezzi sia in crescita e sia in diminuzione. Basterà pertanto controllare l’offerta di “food and energy” (cibo ed energia), cosa non semplice, e cercare di capire la tendenza alla variazione in aumento e diminuzione degli stessi, studiarne la ragione e l’origine al fine di prendere le misure necessarie per annullarne gli effetti, e controllare così l’andamento del tasso di inflazione e dei relativi prezzi.

Un esempio pratico di calcolo del tasso di inflazione e indicato nell’articolo de Il Sole 24 ore del 26 febbraio 2023 a firma di Vito Lops in cui viene testualmente scritto che “…la stessa BCE ipotizza che l’inflazione core (quella depurata del costo dei beni energetici e alimentari) possa scendere dall’attuale 5,3% al 4,2% entro fino anno”. Pertanto se a gennaio l’inflazione è del 10,1% circa significa che il peso dell’aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione per i beni energetici e alimentari è previsto, sulla base dei prezzi attuali, nella misura del 5,9% a febbraio 2023, mentre a fine d’anno la misura varierà al variare dei prezzi. L’inflazione core (inflazione core e/o di fondo) è pertanto un parametro rilevante, che se osservato e verificato sistematicamente potrà portare l’aumento dei prezzi verso una misura meno grave e sicuramente controllabile. La BCE a questo punto potrebbe essere facilitata a riportare l’inflazione nella misura ottimale del 2%.

Sempre su Il Sole 24 ore di febbraio 26/02/2023 (in un trafiletto a centro di pag. 5) così si esprime il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: “Dobbiamo assicurarci che l’inflazione di fondo non rimanga a questi livelli elevati”. E ancora lo stesso Governatore parlando del tasso di inflazione attuale così si è espresso: “il nostro obiettivo è tornare ad una inflazione del 2% nel medio termine. Se dobbiamo essere più restrittivi saremo più restrittivi”.

RUOLO DELLE BANCHE CENTRALI IN MOMENTI DI INFLAZIONE

Le Banche Centrali al fine di contenere l’aumento dell’inflazione, oltre alla manovra sui tassi di interesse, devono concertare la loro azione di stabilizzazione dei prezzi con quelle dei Governi degli altri Stati interessati aventi lo stesso problema. Solo con questa concertazione si potrà riuscire a frenare gli eccessi dell’aumento dei prezzi da un’inflazione non controllata. Dunque la manovra delle Banche Centrali rimane sempre un’onda d’urto per contenere l’inflazione, quando l’azione dei Governi con provvedimenti tesi a contenere e ridurre l’effetto dell’aumento dei prezzi e conseguentemente ad aumentare e ad adeguare i salari al maggior costo della vita, quando per la situazione oggettiva della carenza dell’offerta, e quando, per le altre cause prima accennate, i prezzi dovessero tendere a crescere senza controllo alcuno.

LA BCE E I TASSI DI INTERESSE

L’Osservatorio dei CPI (conti pubblici italiani) del 17 gennaio 2023 fa una disamina dei tassi di interesse in Europa e confronta gli aumenti degli stessi decisi dalla FED con quelli della BCE.

I tassi di interesse oggetto della manovra delle Banche Centrali sono i seguenti:

  • tasso su finanziamenti principali (tasso pagato dalle banche dell’Eurozona che ricevono finanziamenti dalle BCE), ora, dopo gli aumenti, al 3%,
  • tasso sui depositi delle banche di primaria importanza presso la BCE al 2,50% (da -0,50% al 2,50%). In caso di tasso di interesse negativo sono le banche che versano interessi alla BCE;
  • Tasso sui depositi marginali al 3,25%. Si tratta del tasso che pagano le banche alla BCE quando ricevono prestiti come “scambio di fondi” effettuato nella giornata di negoziazione con rientro nella giornata lavorativa successiva. È il cosiddetto prestito “overnight”.

Per tutti e tre i tipi di tassi si prevede un ulteriore aumento a marzo dello 0,50%.

La BCE ha aumentato i tassi di interesse da luglio 2022 ad oggi del 2,5% e rimane, tra le Banche Centrali, quella con i tassi di interesse nominali e reali più bassi.

A marzo 2023, come prima accennato, è prevista un’ulteriore stretta monetaria con l’aumento dei tassi di interesse dello 0,5% portando così il tasso di riferimento al 3,50% (2,50% a dicembre 2022 + 0,50 a febbraio 2023 + 0,50% previsto a marzo).

La manovra dei tassi di interesse, anche se non risolve appieno il problema, si rende comunque necessaria specialmente in momenti di alta inflazione e ciò per evitare, con l’aumento incontrollato dei prezzi “il rischio dell’inerzia dovuto alle aspettative inflazionistiche, “inerzia” che se non rimossa può portare al rischio di recessione. (Osservatorio CPI – Articolo di Giampaolo Galli , Francesco Scinetti e Nicoletta  Scutifero del17gennaio 2023).

Per evitare tale “inerzia” e il conseguente intervento della politica attraverso le ingerenze di componenti del governo, la Banca Centrale, e nello specifico per l’Europa la BCE, deve essere dotata di autonomia e indipendenza nelle scelte di politica monetaria. Tuttavia la BCE è soggetta ad audizioni presso il Parlamento Europe al fine di un controllo sulle scelte fatte in tema di politica monetaria. Politica che deve essere sempre agganciata e coerente con la politica economica dei governi dell’Eurozona.

Per eliminare ed evitare il rischio di una possibile recessione, come prima accennato, la BCE ha operato in sei mesi gli aumenti più bassi al mondo nella misura di 2,5 punti (2,5%).

Il confronto della manovra dei tassi di interesse tra FED (Federal Reserve – USA) e la BCE (Banca Centrale Europea) è il seguente: “I tassi della BCE sono piuttosto bassi e inferiori di 200 punti base (2%) rispetto a quelli della FED, malgrado l’inflazione registrata a dicembre 2022 sia più bassa negli Stati Uniti quasi di tre punti percentuali (6,5 per cento negli Stati Uniti e 9,2% nell’Eurozona). Inoltre la FED ha aumentato di ben sette volte i tassi di interesse nel corso del 2022, di cui 4 volte di ben 75 punti base. La BCE, nello stesso periodo, ha invece aumentato i propri tassi solo 4 volte, di cui soltanto 2 volte di 75 punti base e le restanti di 50.” Osservatorio CPI – Articolo di Giampaolo Galli Francesco Scinetti e Nicoletta  Scutifero del17gennaio 2023).

RIDUZIONE DELL’ESPOSIZIONE DELLA BCE

Dal marzo 2023 la BCE ridurrà la propria esposizione verso gli Stati dell’Eurozona accumulata con la manovra del Q E (Quantitative Easing) attraverso un minore riacquisto dei titoli in scadenza.

Il programma prevede una riduzione del riacquisto di 15 miliardi al mese a partire dal mese di marzo 2023. Per quanto riguarda i corporate bond (obbligazioni emesse da società private industriali o finanziarie), saranno preferiti nel riacquisto i titoli cosiddetti “verdi” necessari alla conclusione del programma relativo alla transizione ecologica, in tal modo la BCE “sosterrà la decarbonizzazione delle consistenze delle obbligazioni societarie dell’Eurosistema, in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi”. (La stampa del 2/02/2023).

Il programma del mercato di riacquisto dei titoli in scadenza comunque influirà sul debito pubblico degli Stati dell’Eurozona, in quanto i titoli non riacquistati entreranno nel mercato libero e saranno venduti a tassi di interesse più elevati. Tuttavia data l’inconsistenza (15 miliardi) del mancato riacquisto non ci sarà un importante aumento del debito pubblico degli Stati dell’Eurozonai.

RIDUZIONE DEL CREDITO A FAMIGLIE E IMPRESE

In questa situazione appena descritta dove l’inflazione se non fermata dalle banche centrali con la manovra dei tassi di interesse, manovra che deve essere equilibrata per non portare l’economia prima in stagnazione e successivamente in recessione, si inserisce la riduzione del credito alle famiglie e imprese nonostante l’incremento degli utili delle banche rilevato in chiusura dei bilanci a dicembre 2022. Tale riduzione del credito è la conseguenza del rallentamento della crescita economica, soprattutto come conseguenza della maggiore spesa pubblica fatta in periodo di pandemia e in particolare per i molti interventi tesi a ridurre gli effetti della crisi energetica come conseguenza della guerra Russia-Ucraina. Il rallentamento della concessione del credito alle imprese, con un calo nella misura di 14 miliardi di euro, viene rilevata in un articolo a pag. 3 di M. F. (Milano Finanza), a firma di Francesco Ninfole. Un calo che se da un lato è fisiologico in quanto a dicembre è tempo di chiusura dei bilanci, dall’altro la crisi energetica, le misure prese nella Legge di Bilancio 2023 da parte del Governo Italiano, l’incremento dei tassi di interesse da parte della BCE, e la maggiore spesa pubblica, ecc.. hanno accentuato le scelte in tema di politica bancaria improntate a criteri di prudenza e di riduzione dell’espansione del credito.  C’è da dire anche che la flessione del prestito alle imprese è stato anche la conseguenza del notevole incremento del credito durante la pandemia da covid-19.

L’importante aspetto della flessione del credito potrebbe ulteriormente peggiorare per il “comparto manifatturiero ad alta intensità energetica e in quello immobiliare”, a causa del “restringimento degli standard creditizi dell’Eurozona” dovuto “alla politica monetaria restrittiva che ha causato il rialzo dei tassi ai clienti finali”. (da M.F. del 10/02/2023 – Si ferma il credito alle imprese – di Francesco Ninfole).

Il decremento del credito alle imprese non riguarda tutta l’area dell’Eurozona e pertanto ciò mitiga gli effetti futuri verso un’elevata riduzione della produttività. Inoltre la manovra di politica monetaria attuata dalla BCE, con l’aumento dei tassi di interesse, ha determinato un aumento degli utili bancari e quindi una liquidità disponibile. Ciò, se da una parte resta una liquidità non utilizzata come sopra accennato, dall’altra dovrà per forza essere impiegata dalle banche in operazioni di espansione del credito.

Pertanto la necessita di espansione del credito, le spinte dei settori in crescita, il rallentamento e la stasi di altri settori, mantengono la situazione economica dei paesi dell’UE, e del nostro Paese in particolare, in una situazione altalenante e mutevole, di difficile previsione, con una non uniforme valutazione del quadro economico e con possibile rischio di rallentamento produttivo per il 2023. I prodromi di tale preoccupazione sono nella previsione fatta in questi giorni per il 2023 di una crescita dello 0’3%, in flessione rispetto alla previsione dello 0,6% di fine dicembre  e in relazione all’anno 2022 che si era chiuso con il dato positivo del 3%. Allo stato attuale non si può escludere che si vada a fine 2023 per l’Italia e per l’Eurozona in recessione economica.

Da ciò si evince che per l’Eurozona, la BCE si deve muovere con prudenza e “agire gradualnente” e “prendersi il tempo per capire dove va l’inflazione, dove va l’economia”. ”La banca centrale non deve procedere <<a velocità piena>>in una direzione: <<non sarebbe saggio farlo>>perché potrebbe pentirsene nel momento in cui si accorgesse di aver preso la strada sbagliata”. (Pensiero di Fabio Panetta, mermbro del Comitato esecutivo della BCE, riportato su Il Sole 24 Ore in un articolo a firma di Isabella Bufacchi).

Prudenza quindi per contenere e/o ridurre l’inflazione al fine di evitare il pericolo di far precipitare l’economia in recessione.

Antonio Mascolo

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