Da Enrico Letta ci aspettavamo molto di più. E’ vero che egli ha parlato di un avvio della riflessione piuttosto che di una sua conclusione parlando all’Assemblea nazionale del Pd, terminata  con la sua elezione plebiscitaria quale Segretario del Pd.

L’attesa era quello di un discorso di ampio respiro visto le condizioni del Pd. L’attesa era quella di una illuminazione programmatica, non limitata all’elencazione di una serie di titoli di capitoli, tutti da aprire. L’attesa era quella di un’ originale ed alta indicazione di sostanza e metodo in grado di  disegnare la portata strategica di un progetto di lunga prospettiva. Da apprezzare i brevi, ma importanti, volo d’uccello su Meridione, Giustizia,  Pubblica amministrazione e lotta alla mafia. Si riveleranno sufficienti?

E’ evidente che Enrico Letta si è dovuto limitare ad una mediazione al ribasso, visto la situazione interna al proprio partito e le dinamiche che lo hanno portato alla segreteria. Non gli sono mancati accenni importanti, ma solo di accenni si è trattato. Titoli, appunto.

Dopo anni di cose dette e non dette da parte di Nicola Zingaretti, pensavamo che l’uomo cui è adesso affidata la guida per la rinascita del partito del centrosinistra, proprio per la gravità della crisi in cui  esso è piombato, sviluppasse in maniera dettagliata, programmatica, almeno quattro cinque punti cardine in grado di segnalare un’inversione di tendenza. E’ necessario riempire di sostanza le scontate citazioni di cambiamento climatico, pandemia, protezione dati personali e innovazione tecnologica o del debito pubblico, riforma della Pubblica amministrazione. Se ne parla tutti da un pezzo, ma si sono visti scarsi risultati. Anche a causa del centrosinistra e del Pd che ne è “magna pars”.

Enrico Letta ha parlato della necessità di tenere lo sguardo verso la società e verso quel mondo nuovo che ci si sta aprendo dinanzi. Ha parlato di Stato fragile; di crescita delle diseguaglianze, che non sono solo le altamente drammatiche riguardanti l’universo femminile e quello giovanile. Ha colto le novità attese con l’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, ha rimarcato la lotta per i diritti umani e contro le dittature. Ha ricordato che c’è un’Italia “globale”, che costringe ad occuparsi degli altri, e che è necessario fare in modo che gli esclusi diventino protagonisti.

Enrico Letta ha coniato una efficace definizione del Pd: progressisti nei valori, riformisti nel metodo e radicalità nei comportamenti. Ne manca la declinazione. Almeno per il momento. Restiamo in attesa di un progetto politico degno di questo nome, visto che egli non è andato oltre il dire: ” non vi serve un nuovo segretario, ma un nuovo Pd”.

Nel discorso di Enrico Letta è mancata, soprattutto, un’autocritica franca e diretta sulle responsabilità del centrosinistra.  Ci saremmo aspettata un’analisi rigorosa sulle colpe che anche il suo partito ha avuto sull’allargamento della forbice tra ricchi e poveri, sulla deindustrializzazione e pauperizzazione del Paese che ha perduto tantissime posizioni in tutte le classifiche mondiali, sulla crisi della scuola, delle università e della ricerca. Avremmo avuto bisogno di ascoltare un’idea su come risolvere il problema dell’impresa e del più generale mondo del lavoro. Sono state frutto del centrosinistra buona parte delle leggi che hanno contribuito ad aumentare il lavoro precario e quella forma di autentico sfruttamento del lavoratore cui assistiamo in tante attività produttive, del commercio e dei servizi.

Da lui, appena tornato dall’ “esilio” a Parigi, al punto da potersi definire un “italiano all’estero”, attendavamo una parola su un Paese “in vendita”, com’è il nostro, in campo industriale, immobiliare, del Made Italy e, in particolare per quel che riguarda la Francia, nel settore bancario. Credo che siano queste le cose attorno cui si dovrà cimentare la “rigenerazione” attesa di tutti i partiti e, specificamente, di un Pd che ha sempre avuto la presunzione di dare il là al dibattito politico.

Infine, Letta ha parlato di un punto molto delicato che riguarda il nostro assetto democratico su cui è bene ricevere  chiarimenti ed elementi di approfondimento. Lo ha fatto con l’annuncio della proposta di alcune modiche costituzionali ed elettorali che, a suo dire, il Pd dovrebbe presentare al più presto in Parlamento. Nel come Letta ha presentato la questione, egli fa intravedere il superamento dell’art. 67 della Costituzione che recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. E’ chiaro che il “trasformismo” denunciato anche da Letta costituisce la causa – effetto, prima, della crisi e, poi, della decomposizione del bipolarismo. I cambi di casacca, invece, non hanno mai caratterizzato la cosiddetta Prima repubblica, per decenni retta sulla base di un voto proporzionale.  Attenzione, quindi, a capire bene quali siano le cause vere dei fenomeni su cui s’intende intervenire per evitare d’intaccare i principi basilari della nostra democrazia fissati dalla Carta costituzionale, quando, invece, c’è altro su cui mettere mano. Nel nostro caso, la legge elettorale a proposito della quale Letta e il Pd devono al più presto dire una parola chiara e definitiva.

La stessa parola chiara deve riguardare quella che Letta ha definito ” una piena attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”. La verità è che, mai, nessun partito, a suo tempo neppure il Pci, ha mai voluto una tale piena attuazione. Questo significa, infatti, trasparenza, regole certe sulla democrazia interna alle forze politiche, regole stringenti su ciò che riguarda la formazione dei gruppi dirigenti, le tutele delle minoranze, i conflitti d’interesse e le incompatibilità ecc ecc. In poche parole, i principi democratici elementari che se valgono in generale per l’intero Paese a maggior ragione devono divenire essenza della vita dei partiti.

Giancarlo Infante

 

 

 

 

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