Ho letto con interesse l’articolo di Mario Chiavario, ripreso da questo sito (CLICCA QUI), che commenta e critica la legge Zan contro l’omofobia, di cui si fa un gran parlare in questi giorni.

Non avevo intenzione di intervenire su un terreno diventato così scivoloso e oggetto di troppi scontri ideologici. Ma ora mi sembra un dovere civico quello di intervenire, dopo il dibattito innescato da uno sgangherato monologo alla festa del 1° maggio. E anche dopo le polemiche contro la Rai, azienda per la quale ho lavorato per trent’anni, in posizioni di responsabilità.

Parto dalla Rai. Poco dopo che vi entrai si diffuse vieppiù la logica della lottizzazione, logica sostanzialmente negativa, ma che all’inizio aveva garantito sia qualità sia pluralismo. A parte le testate nazionali, che erano di chiara tendenza culturale-politica, nella nascente testata regionale (con un numero importante di addetti che fornivano allora servizi anche per tutti i tg e i gr nazionale) vigeva ancora quello spirito che noi definivano di “servizio pubblico”: cioè uno spirito improntato alla obiettività (il più possibile), dando voce alle varie opinioni senza che nessun servizio tv o radiofonico si trasformasse in comizio o che trasparisse l’idea del redattore, il quale doveva presentare fatti e opinioni, ma non le sue. Ricordo il mio primo capo redattore, giornalista di grande professionalità e molto stimato, ci imponeva di mettere nei testi “secondo quanto sostiene Tizio” o “dice Caio”, proprio per marcare la neutralità del servizio pubblico. Sicuramente non sempre ci saremo riusciti, ma questo era lo spirito, il modello di informazione.

Ora invece un cantante, che ha tutto il diritto di pensarla in un modo o nell’altro, prende il microfono in una trasmissione pagata dal servizio pubblico e messa in onda su una rete pubblica e fa un comizio contro quelli che pensa siano i suoi nemici e a favore di una legge, senza che ci sia un dibattito sull’argomento come imporrebbe anche la normativa sulla par condicio.

Naturalmente tutta la polemica viene presa a pretesto per mettere mano alle nomine in Rai.

Dispiace anche che tutta la grande informazione si presti. Non so esattamente che cosa abbia detto la vicedirettrice di Raitre, la veltroniana Ilaria Capitani, so che il cantante-galantuomo ha registrato la telefonata, il che denoterebbe due cose: primo che voleva, come si dice, fare cagnara (e quindi farsi pubblicità). Secondo, che il tutto era premeditato. A parte il fatto che non ha subito nessuna censura, penso che la vicedirettrice di Raitre, quando ha usato l’espressione, se così è stato, di “sistema Rai”, volesse proprio parlare di uno stile, di una responsabilità del servizio pubblico secondo i canoni da me prima illustrati. Ma qui, forse, oltre alla malafede, interviene anche l’ignoranza.

Così un campione (in coppia con la moglie) del più sfacciato consumismo edonistico, del lusso ostentato (faccio una notazione, non esprimo un giudizio morale), quello che è stato definito “un comunista con il Rolex”, è assurto al ruolo di maitre à penser della sinistra (e dispiace che lo sia anche di una persona come il segretario del PD Letta).

Forse non proprio tutta. Fa eccezione qualche piccola frangia che si può definire “ vetero comunista” (anche qui senza giudizi di merito) come Marco Rizzo.

Ma leggiamo che cosa dice Marco Rizzo: «L’involuzione della sinistra, che va avanti ormai da tanto tempo, è collegata all’imposizione di diritti civili, pur giusti, a scapito dei diritti sociali, su cui l’inadempienza è totale. La sinistra odierna è diventata una sorta di enorme partito radicale… Quasi a coprire questo tradimento, è stato centralizzato l’interesse sui temi dei diritti civili. Si tratta di una strategia in atto non solo in Italia ma anche in Europa e nel mondo. Penso a un uomo falsamente di sinistra, come Tsipras, che in Grecia ha accettato le indicazioni di massacro sociale della Troika e, contestualmente, ha coperto questa scelta con l’apertura alle unioni civili. Queste ultime sono diventate materia di scambio, un’“arma di distrazione di massa” rispetto ai ben più importanti temi sociali».

E aggiunge a proposito dell’utero in affitto (con il matrimonio il diritto per eccellenza rivendicato dalle coppie arcobaleno): “Quanto all’utero in affitto faccio notare un paradosso. In quasi tutti i comuni italiani, la compravendita di cuccioli di cane è regolamentata dall’obbligo di non separare il piccolo dalla madre fino al terzo mese di vita. Quest’obbligo che in Italia vale per i cani, in molti Paesi d’Europa non vale per gli esseri umani, vista la possibilità di acquistare bimbi per centinaia di migliaia di euro da donne povere che vivono nel Terzo mondo».

Tornando al ddl Zan, rifletto sui timori del professor Chiavario quando scrive del rischio di “repressione di pure e semplici opinioni: sino a colpire quelle di chi nutra dubbi sulle adozioni di coppie gay o sulla liceità morale della ‘maternità surrogata’, oppure, in famiglia, esprima una speranza di modifica dell’orientamento sessuale di un congiunto”.

Mi fido dell’illustre ed equilibrato giurista quando scrive che mancano “nel testo attuale dei netti sbarramenti perché la repressione penale non diventi arma di repressione di idee”.

Non so quale sarà il testo definitivo della legge Zan, ma mi preoccupo sempre quando si fanno leggi che possono limitare la libertà di pensiero e di parola. Per gli insulti, le minacce e le violenze mi pare ci siano già le leggi in vigore, anche con l’aggravante razziale. Non costruiamo uno Stato poliziesco.

Leggo inoltre quanto scrive il direttore del “Foglio” Caudio Cerasa, una delle poche voci critiche rimaste nel panorama dell’informazione dove invece pullulano pareri di cantanti e artisti vari, e scarseggiano quelli di giuristi: “ Il primo problema della legge Zan è che parte da un assunto non vero: l’esistenza di un vuoto normativo che impedisce in modo categorico di tutelare chi subisce reati di violenza fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sull’abilismo… Siamo sicuri che sia così?”.

Ha spiegato al “Foglio” in una intervista lo stesso senatore Zan: “La legge serve a instillare nelle persone un atteggiamento di prudenza”. Dunque, ammette Zan, non è una legge utile tanto dal punto di vista normativo, quanto dal punto di vista ideologico.

Fra le voci critiche, anche quelle di storiche femministe che criticano nel merito proprio le impostazioni ideologiche di leggi come quella Zan.

Ricorda ancora “Il Foglio” che Cristina Comencini e Donatina Persichetti, presidente della Consulta femminile della Regione Lazio, hanno inviato al Parlamento una lettera per esprimere “una forte preoccupazione per una proposta legislativa contro l’omotransfobia che estende i crimini d’odio anche alla cosiddetta ‘identità di genere’”. Ragione: “Con questa espressione – scrissero – si sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato. Attraverso ‘l’identità di genere’ la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – viene dissolta”.

In una lettera aperta ai senatori, anche Francesca Izzo ha criticato il ddl Zan perché vuole “legittimare che l’attribuzione della identità sessuale di una persona (uomo/donna) si fonda sulla semplice manifestazione della sua volontà soggettiva, indipendentemente dal suo sesso”. E ancor Marina Terragni accusa la legge di “ toccare la radice dell’umano e la vita delle donne”. (Si tratta di esponenti di movimenti come “SeNonoraQuandoLibere” o di “Arcilesbica” o “Radfem Italia”).

Come scrive giustamente Cerasa, “al contrario della rappresentazione macchiettistica offerta sui giornali su questo tema (la Rai piuttosto che preoccuparsi dei testi di Fedez dovrebbe forse preoccuparsi di organizzare un dibattito per discutere di questi punti)”, ci vorrebbe una più seria riflessione ricca di spunti e di posizioni non dogmatiche.

La prima cruciale domanda è se non si rischi di trasformare in reato anche ciò che dovrebbe essere un diritto: la libertà di pensiero. Uno stato di diritto di stampo liberale deve consentire di manifestare anche in modo polemico le proprie idee e le proprie opinioni, senza che una legge permetta di mettere nelle mani di un giudice ogni discrezionalità interpretativa.

In questo modo si potrebbe conculcare il diritto per religiosi o teologi cattolici o di altre confessioni religiose o semplici credenti o movimenti laici di criticare in modo anche duro, sulla base delle loro convinzioni, la pratica dell’utero in affitto o delle famiglie arcobaleno. La minaccia di sanzioni non scoraggerà la partecipazione a manifestazioni di dissenso?

Mi pare che già oggi, da parte dei sostenitori della legge Zan, troppo spesso emerga l’intolleranza di chi si proclama, invece, paladino della tolleranza e afferma la libertà di pensiero, ma solo di chi la pensa come la sua idea politico-culturale. Prendo a prestito un titolo per definire questo atteggiamento come “totalitarismo soft”.

Con questa mentalità si trattano questioni fondamentali: soprattutto quelle legate alla vita e alla morte. Quindi aborto, maternità surrogata, eutanasia, coppia. E con una intromissione sempre più invasiva e pericolosa dello Stato nella vita privata dei cittadini.

Noto che sui diritti di genere, come la richiesta delle quote rosa, c’è un evidente cortocircuito mentale: da un lato si negano le differenze, dall’altro si affermano (con le quote). Intanto la scienza va in altra direzione: ci vanno le neuroscienze che studiano le differenze nel cervello di uomini e donne e anche la medicina che studia come rendere le cure sempre più di genere.

Mi pare che in questi tempi strani, in molti campi, si sia quasi tornati alle dispute aristoteliche medievali, durante le quali (come si diceva nei secoli dei lumi) per sapere quanti denti ha in bocca un cavallo non ci si curava di contarli, ma si leggeva Aristotele.

Di fronte alle critiche, non si sollevi tutte le volte l’accusa di razzismo o di intolleranza. Sciocchezze per parlar d’altro.

Paolo Girola

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