La giornata di ieri ha fatto intravedere degli spiragli. Il passaggio esplorativo affidato al Presidente della Camera, Roberto Fico, ha mostrato che la crisi aperta da Matteo Renzi può essere ricomposta, anche se i suoi sbocchi non sono ancora del tutto prefigurabili. L’esplorazione potrebbe consentire che sia Giuseppe Conte, Cinque Stelle e Pd, sia il capo di Italia Viva possano tutti dire che la turbolenza delle ultime due settimane non avrà avuto né vincitori né vinti. Il riassestamento di contenuti e di ministeri potrebbe, il condizionale resta d’obbligo, portare a far ritrovare una soddisfazione generale.
Se così fosse, vorrebbe dire che molto si ridimensionerebbe della portata dei cosiddetti “responsabili” che, però, potrebbe al Senato servire ad aumentare almeno di un poco l’allargamento dei numeri a favore del Governo. In ogni caso, si rivelerebbe fallito il tentativo di creare una forza in grado di sostituire matematicamente i senatori di Matteo Renzi.
Gli spiragli favorevoli all’ipotesi di un Conte ter giungono come una doccia fredda su tante autocandidature. Come quelle nate all’interno di quei “salotti televisivi”, di cui parla Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ), che oggettivamente, probabilmente non se ne accorgono neppure gli interpreti e i sodali di quello schema, si pone come uno svuotamento del sistema democratico e del ruolo che tanti soggetti vi svolgono. Per non parlare poi della necessità che chi è chiamato a dirigere la cosa pubblica rappresenti almeno un po’ della realtà vera del Paese che si esprime attraverso il gioco elettorale e parlamentare.
I giornalisti che intendono mettere al servizio del Paese devono farlo facendo bene il proprio mestiere, non candidandosi addirittura a fare i presidenti del consiglio solo perché rappresentano ristretti circoli editoriali o d’interessi. E’ questa confusione di ruoli che continua a preoccupare nel rapporto tra politica e informazione, ammantata magari da poco convincenti riferimenti storici, a quando ci sono stati importanti presenze di uomini della stampa e della comunicazione in Parlamento o al Governo, ma perché rappresentavano partiti e forze vive della società culturale e civile e non si prestavano certo per coprire operazioni poco chiare e dal corto respiro.