Fino al 15 settembre del 2008, chi non fosse un addetto ai lavori del mondo finanziario non aveva idea di cosa fossero i subprime. Dopo il crollo di Lehman Brothers, quella parola è entrata nel linguaggio comune e nell’immaginario collettivo, immediatamente rimandando al concetto di pericoloso, tossico. Un fenomeno prettamente statunitense quello della cartolarizzazione allegra e di massa dei mutui erogati a clientela con rating di credito traballante, le cui conseguenze sono state pagate però dal mondo intero, in nome della cosiddetta catena di controparte e della finanziarizzazione del sistema.

Oggi conviene fare la conoscenza con anticipo di quello che potrebbe essere il prossimo nemico pubblico numero uno, i Clo o Collateralized debt obligations. Di fatto, obbligazioni garantite da collaterale nella forma di crediti originati da prestiti.  Tanto che quel tipo di securities recitano la parte del leone sia nel portfolio degli hedge funds che dei fondi pensione, garantendo ritorni decisamente interessanti.

Il problema comincia a porsi quando le componenti più a rischio impacchettate in quei prodotti vanno talmente sotto stress da alzare bandierine rosse: “I Clo hanno subìto downgrade a ritmi così frenetici da arrivare a minacciare le stesse salvaguardie che sono poste in essere per per assicurare la forza di resistenza finanziaria di quelle
securities, sopraffacendole”, sentenziava Bloomberg. La quale, raccontando la dinamica, dava conto di quanto accaduto a metà aprile a un hedge fund statunitense, talmente disperato nel tentativo di sbarazzarsi di 100 milioni di dollari di controvalore di Clo europee da accettare di liquidarle a un quinto del loro valore facciale. Ovvero, già oggi, nel silenzio generale sul fenomeno, alcune tranche di quei prodotti viaggiano su prezzature di 20 centesimi sul dollaro. Di qui, la fretta della Bce di approntare un programma in stile Fed designato all’acquisto di debito junk.

Tanto i subprime erano questione statunitense, tanto i Clo rischiano di essere una grana sostanzialmente europea. Una conferma di questa rischiosa realtà l’ha offerta sempre Bloomberg dando conto di quella che viene definita “una mossa senza precedenti”: due fondi, infatti, hanno liquidato i prestiti acquistati dalle banche per essere collateralizzati e trasformati in pacchetti di bond prima ancora che questo processo di alchimia finanziaria avvenisse. Insomma, difesa preventiva alla luce di rischi sempre crescenti.

Nel mese di marzo, il mercato del leveraged loans ha patito un netto calo delle valutazioni. ( … )  un tonfo senza precedenti da almeno un decennio che ha visto sempre più soggetti operanti nel settore fare sempre più fatica nel trovare acquirenti di quei prodotti così remunerativi ma anche sempre più simili a bombe a mano con la spoletta allentata.

Ed ecco quindi che Steele Creek Investment Management, fondo specializzato con sede a Charlotte, in North Carolina, ha deciso di mettere in vendita l’intero pacchetto di prestiti parcheggiato nella sua warehouse per un controvalore di 177 milioni di dollari. Ma attenzione, perché un altro soggetto ne ha seguito le orme: la francese Axa Investment Managers. Da un lato, la mossa appare cautelativa e quasi prudenziale: le warehouses in cui parcheggiare i CLO sono infatti spesso finanziate in parte da capitali di investitori esterni, i quali quindi rischiano di incorrere nella cosiddetta first loss, ovvero perdita immediata in caso qualcosa andasse storto con quel debito. ( … )

Dagli abissi di marzo oggi il prezzo dei Clo è un po’ risalito, passando da 76 centesimi a 87 centesimi sul dollaro, quindi scaricare ora può appunto avere una doppia valenza. Da un lato capitalizzare un rimbalzo e dall’altro evitare di incorrere in guai futuri, operando il conseguente processo di impacchettamento dei prestiti. E in effetti, ecco come Yannick Le Serviget, responsabile mondiale per i leveraged loans di Axa ha giustificato la mossa con Bloomberg:
“Dato l’ampio riprezzamento in atto sul mercato dei prestiti, soprattutto quelli relativi a portfolio di qualità, ha un senso prendere beneficio dell’attuale dinamica rialzista“. Non fa una piega, in punta di logica. Peccato che chi conosce quel mondo, sa che la gran parte delle warehouses di Clo non hanno alcun obbligo statutario di vendite dei prestiti, in caso il loro prezzo cali sotto un certo livello predeterminato. E visto che quelle facilities normalmente vanno a maturazione nell’arco temporale di 12-18 mesi, c’è ampio spazio temporale per i fund managers al fine di decidere se liquidare o procedere con il processo di Clo.

( … )  Le Serviget ha parlato di pressione crescente anche e soprattutto su portfolio di buona qualità creditizia. Perché l’azione impietosa delle società di rating degli ultimi mesi – forse un mettere le mani avanti ed evitare di incorrere nelle stesse accuse di lassismo che piovvero loro addosso dopo il crollo Lehman e il caso subprime – ha molto a che vedere con la natura stessa di gran parte di quei prodotti finanziari, quella che a Wall Street viene definita la big
alchemy, la grande alchimia. Ovvero, trasformare un prodotto sostanzialmente composto al 90% da prestiti junk in un portfolio obbligazionario investmnent grade. Di fatto, nascondendo i rischi. I quali restano bassi in periodo  di calma sui mercati ma quando un elemento destabilizzante e inatteso come la crisi da Covid-19 arriva a operare da accelerante o reagente del danno, possono moltiplicarsi esponenzialmente e a macchia d’olio.
( …) Insomma, quella di trovarsi con in mano un Clo che il venerdì valeva 70 centesimi sul dollaro e che il mercoledì dopo vale 35 non è poi così peregrina come ipotesi. Almeno in tempi come questi.

( … ) Per attirare clientela serve infatti un duplice amo: un buon rendimento e, soprattutto, garanzie di relativa sicurezza. Il primo è semplice, maneggiando ampi strati di securities con valutazione di rating bassa. Una logica da normale premio di rischio. Più difficile è invece offrire il principio precauzionale del rischio calcolato. Ecco quindi entrare in scena la logica del “fruttivendolo disonesto”. Ovvero, esattamente come certi esercenti che mettono le
fragole più belle e rosse sopra il cestino – nascondendo sotto quelle un po’ passate o del tutto marce – così chi impacchetta e vende Clo, priorizza nel processo di securitization le tranches di prestiti con rating maggiore, ponendole più in alto e in evidenza e poi offrendo una cromia a scalare a livello di sicurezza e conseguente maggiore return.

( … ) Il problema? Che la crisi di liquidità nel sistema innescata dalla pandemia unita all’attività censoria senza precedenti delle agenzie di rating sta portando a un generale processo di piazza per quei prodotti, una sorta di grido collettivo e quotidiano sul fatto che il Re sia nudo. Anzi, che nonostante le vesti da lontano appaiano sfarzose, in realtà il monarca è coperto di tessuti di pessima qualità e rivestiti di toppe e rammendi.

Problema ulteriore? Il sistema bancario francese è pieno di questa roba. Come conferma il dato di Axa e anche il recente aumento record dell’esposizione di Bnp Paribas al business della securitisation, appunto la cartolarizzazione di debito e prestiti a leva.

Questa volta, a differenza della crisi subprime del 2008, l’epicentro dell’esplosione della bolla da finanza creativa rischia di essere l’Europa. E madame Lagarde, dall’alto della sua condivisione di passaporto con alcuni protagonisti del caso e alla luce delle sue ultime mosse, pare esserne del tutto cosciente e preoccupata. Molto.

Liberamente tratto da un intervento di Mauro Bottarelli pubblicato su Businnes Insider

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