Quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’inaugurazione del Frejus, primo traforo ferroviario, delle Alpi che con 12,3 km, a doppio binario, collega Bardonecchia con Fourneaux (Modane). E’ stata un’opera veramente eccezionale che può essere paragonata per importanza e difficoltà al Canale di Suez realizzato negli stessi anni.

E’ stato il primo traforo ad utilizzare una “perforatrice meccanica” ad aria compressa anziché la sola forza delle braccia con scalpelli e martelli. La perforatrice fu progettata da tre illustri ingegneri del Genio Civile del Regno di Sardegna: Germano Sommeiller, Sebastiano Grandis e Severino Grattoni. I lavori di scavo durarono tredici anni, dal mese di settembre 1857 alla notte di Natale del 1870, quando fu abbattuto l’ultimo diaframma. La perforatrice fu utilizzata a partire dal sesto anno e consentì un avanzamento tre volte superiore a quello ottenuto solo con gli scalpelli: nei primi cinque anni l’avanzamento complessivo dai due imbocchi fu di 400 metri/anno, nei restanti otto anni fu mediamente di 1.250 metri/anno e addirittura nell’ultimo anno fu di oltre 1.600 metri. Senza la perforatrice sarebbero stati necessari oltre trent’anni per realizzare lo scavo.

Il progetto del traforo fu sostenuto da Camillo Cavour che nel mese di giugno del 1857 con un celebre discorso ottenne dal Parlamento l’approvazione del disegno di legge per il finanziamento dell’opera: “Signori, l’impresa che vi proponiamo, non vale il celarlo, è impresa gigantesca; la sua esecuzione dovrà però riuscire a gloria e vantaggio del Paese. Le grandi imprese non si compiono, le immense difficoltà non si vincono che ad una condizione, ed è che coloro cui è dato di condurre queste opere a buon fine, abbiano una fede viva, assoluta nella loro riuscita. Se questa fede non esiste, non bisogna accingersi a grandi cose né in politica, né in industria. … Non ci sono mezze misure e vi invitiamo a librare sulle vostre bilance i due soli sistemi razionali: quello dell’esecuzione, oppure il rinvio ad altri tempi di questo ardimentoso tentativo. … Se dividerete la nostra credenza, votate risolutamente con noi, se un dubbio vi tormenta, rigettate la legge, ma non ci condannate ad adottare una via di mezzo. …. Io nutro ferma fiducia che voi coronerete colla più grande di tutte le imprese moderne, deliberando il perforamento del Moncenisio (Frejus)”.

La Camera approvò a larga maggioranza e pochi giorni dopo seguì anche il voto favorevole del Senato ed il 15 agosto 1857 il re Vittorio Emanuele II° promulgò la legge n. 2380 che autorizzava il Governo a realizzare l’opera e ne disponeva il finanziamento di 41,6 milioni[1]. I lavori non furono appaltati perché Cavour annunziò che questi sarebbero stati diretti e svolti direttamente “in economia” dagli ingegneri e dagli operai del Ministero dei Lavori Pubblici, gli unici in grado, secondo Cavour, di realizzare l’opera. Pertanto, fu possibile, solo 15 giorni dopo l’emanazione della legge, iniziare i lavori. Il re Vittorio Emanuele il 1° settembre volle presenziare, accompagnato da Cavour, dal ministro Paleocapa, dal conte Nigra e dai generali  Cialdini e Menabrea, alla cerimonia di inizio lavori allestita a Modane e lui stesso fece brillare la prima mina. Dai fascicoli del “Giornale del Genio Civile”[2], si possono trarre tutte le informazioni sui lavori eseguiti, a partire da quelli preparatori, fino al loro compimento.

I lavori preparatori furono alquanto complessi: adattamento delle vie di accesso al traforo a partire da Susa che comportarono la fortificazione o il rifacimento di numerosi ponti; la costruzione degli alloggi per gli operai che per molto tempo dovettero dormire nelle stalle; la costruzione di canali per l’utilizzo delle acque dei torrenti Melezet e Rochemolle a Bardonecchia e del fiume Arc a Modane; la costruzione dei compressori per la produzione dell’aria compressa necessaria sia al funzionamento delle perforatrici che per il ricambio di aria all’interno del traforo. Tra i compiti più difficili vanno citate anche le operazioni di “tracciamento” dell’asse del traforo attraverso misurazioni trigonometriche su entrambi i versanti della montagna che richiesero numerose scalate dai 1.300 m di Bardonecchia o dai 1.100 m di Fourneaux ai 3.100 m della vetta del Frejus. Le misurazioni furono eseguite dagli ingegneri del G.C. Coppello e Borelli sotto la guida dell’ing. Sebastiano Grandis e risultarono precisissime perché, al momento dell’abbattimento dell’ultimo diaframma, dopo un avanzamento di 7.080 m dal lato sud (Bardonecchia) e 5.153 m dal lato nord (Fourneaux) si riscontrò uno scarto di allineamento di soli 60 cm in altezza e di 40 cm in orizzontale. Scarti che ancora oggi, nonostante l’uso di mezzi più moderni e comodi, sono da considerarsi eccezionali. Il Giornale del Genio Civile riporta anche le “Relazioni tecniche” dei direttori dei lavori che forniscono tutte le informazioni sulle operazioni di scavo che comprendevano tre distinte operazioni: la perforazione di 80 fori sulla parete da scavare (nei primi anni eseguita con gli scalpelli, poi con le perforatrici meccaniche), lo sparo delle mine dopo averle collocate nei fori, ed infine lo sgombro di tutto il materiale prodotto dall’esplosione. Con il termine “muta” si comprendevano tutte e tre le operazioni.

Dalle relazioni tecniche si evince che le lavorazioni si svolgevano tutti i 365 giorni dell’anno, senza soste nelle giornate festive e per l’intero arco delle 24 ore. Naturalmente ci furono, specie nei primi anni diverse giornate in cui i lavori di scavo dovettero essere sospesi per eseguire altre lavorazioni all’esterno o per fattori atmosferici particolarmente avversi che non consentivano l’approvvigionamento del materiale o per effettuare esperimenti senza alcun utile avanzamento degli scavi. Senza l’uso delle perforatrici l’avanzamento medio da ciascun fornice era inferiore a 0,50 metri/giorno, mentre, con l’uso delle perforatrici, ha superato i 2 metri/giorno.  Ciò era dovuto non solo alla riduzione dei tempi delle perforazioni degli 80 fori di ciascuna muta (circa 4 ore con le perforatrici meccaniche, mentre con gli scalpelli occorrevano più di 10 ore), ma anche alla maggiore lunghezza dei fori che si poteva ottenere con le perforatrici (circa 1 metro, mentre i fori con gli scalpelli non superavano i 40 cm). L’utilizzo delle perforatrici richiese diversi mesi di sperimentazioni, ma gli ingegneri non si persero d’animo anche perché erano seguiti e confortati direttamente da Cavour; in nota si riporta il testo di una lettera che Cavour scrisse a Sommeiller l’11 gennaio 1861[3].

Le relazioni tecniche erano molto dettagliate e forniscono anche mese per mese non solo il numero delle mute realizzate, ma anche il numero degli scalpelli o delle perforatrici che si sono dovuti sostituire, la quantità di polvere da sparo consumata, ecc. Questo dimostra quanto fosse attenta e costante l’attività di sorveglianza da parte degli addetti alla direzione dei lavori. I dati forniti consentono anche di poter rilevare il miglioramento della qualità del lavoro da parte degli operai che misero a frutto anno dopo anno una notevole esperienza che gli ingegneri si adoperarono per ottenere maggiori fondi non solo per costruire gli alloggi e migliorare il vitto ma anche per far premiare tutti gli operai con un congruo aumento di stipendio. Leggendo le Relazioni della direzione lavori viene evidenziato un forte legame tra operai e la direzione lavori che assisteva a tutte le operazioni, fornendo le indicazioni più opportune. Si ha notizia che durante l’epidemia di colera che colpì in cantiere di Bardonecchia nell’anno 1865 causando la morte di 18 operai, il direttore dei lavori ing. Borelli ed i sui assistenti si prodigarono come infermieri a curare gli operai malati. Complessivamente durante i lavori morirono 48 operai, compresi i 18, già citati, deceduti a causa del colera e 8 operai che morirono a seguito di risse sorte fuori del traforo durante le pause del lavoro. Sono, comunque, tanti anche se consideriamo solo i restanti 22 morti, che corrispondono a 2 morti/km durante i lavori di scavo nel traforo o a seguito di esplosioni. Dobbiamo però anche riconoscere che queste cifre sono di gran lunga inferiori a quelle che si verificarono, dieci anni dopo nella costruzione del traforo del San Gottardo in Svizzera (lungo 15 km) dove morirono 200 operai con una media per chilometro di gran lunga superiore: 13 morti/km.

Purtroppo lo spazio a disposizione molto limitato non consente di descrivere altre importanti informazioni di natura tecnica o scientifica e illustrare dettagliatamente l’opera compiuta dai progettisti e dalla direzione dei lavori che ottenne riconoscimenti su tutte le riviste scientifiche di tutto il mondo che unanimemente considerarono l’opera come la più grandiosa di tutto l’800. E’ importante aggiungere un’altra informazione di natura politica. Negli anni in cui fu approvato il progetto e si dette inizio ai lavori, la Savoia e l’intera linea ferroviaria apparteneva al Regno di Sardegna. Durante il corso dei lavori, nel marzo del 1860, la Savoia fu ceduta alla Francia in cambio del sostegno francese nella seconda guerra d’indipendenza. Il governo francese in un primo momento comunicò che i lavori potevano proseguire anche in territorio francese nel cantiere di Modane con gli stessi operai e la stessa direzione dei lavori ma precisò anche che la Francia non intendeva condividere con il governo piemontese le spese occorrenti per l’ultimazione dei lavori, mentre pretendeva di condividere gli utili dei pedaggi al termine dei lavori in quanto metà del traforo ricadeva in territorio francese e diventava automaticamente di loro proprietà.

Il governo piemontese riuscì a convincere i francesi sulla necessità di contribuire al 50% alle spese che rimanevano da sostenere per completare l’opera, minacciando, in caso contrario, la sospensione immediata dei lavori. Il Governo francese accettò di pagare l’importo di 19 milioni, ovvero la metà del costo di 38 milioni calcolato per ultimare i lavori, ma impose di inserire nella “Convenzione franco-italiana” una penale di 500.000 franchi/anno per ogni anno di ritardo sull’ultimazione dei lavori calcolata utilizzando l’avanzamento medio annuo ottenuto nei primi quattro anni, ovvero con scadenza nel 1886, dopo 25 anni. Addirittura, pretesero che la penale fosse elevata a 600.000 franchi per ogni anno di ritardo dopo il decimo.  Sostanzialmente i francesi non credevano che si sarebbe potuto completare l’opera e non erano affatto convinti che l’utilizzo delle perforatrici meccaniche (non utilizzate nei primi anni) avrebbe portato un risparmio nei tempi. Il fatto fu riferito a Cavour che, perfettamente convinto dell’accelerazione che si sarebbe potuta ottenere con le perforatrici meccaniche, fece inserire nella Convenzione anche un premio, dello stesso importo della penale, per ogni anno di anticipo nell’ultimazione dei lavori  rispetto alla scadenza del 1886, anch’esso elevabile in caso di anticipo superiore ai dieci anni. Grazie all’uso delle perforatrici meccaniche ideate da Sommeiller i lavori nel traforo terminarono nel dicembre 1870 e l’inaugurazione avvenne nel settembre del 1871, ovvero con 15 anni di anticipo rispetto a quello indicato nella Convenzione. In definitiva il governo francese divenne proprietario di metà del traforo ma dovette pagare, oltre al costo convenuto di 19 milioni per completare i lavori anche oltre 7 milioni di premio per l’anticipo di 15 anni nell’ultimazione dei lavori rispetto al tempo pattuito. !!!

L’inaugurazione del traforo il 17 settembre 1871 fu occasione di grandi festeggiamenti a Torino che sono descritti da diversi autorevoli autori[4] e fu pubblicata sulle più importanti riviste in tutte il mondo[5]. Il libro di Palmero (citato in nota 4) riporta anche i discorsi che furono fatti durante i festeggiamenti.

Come si può constatare gli interventi, con applausi e brindisi erano rivolti prevalentemente ai tre ingegneri ma, ad avviso dello scrivente il riconoscimento più importante per gli ingegneri progettisti e direttori dei lavori fu tributato dalle Società operaie che promossero e parteciparono alle spese di un grande monumento a loro dedicato che fu posto a piazza Statuto a Torino il 26 ottobre 1879 con la partecipazione del re Umberto I°, venuto appositamente da Roma. Breve , ma molto significativo fu il discorso del rappresentante delle Società operaie, Ubaldo Cassone: “Salve Maestà! L’operaio italiano per mia bocca vi ringrazia per aver voluto presiedere questa festa che io dirò del lavoro e del sapere. Sotto l’auspicio del vostro grande genitore si compì l’unione di due gran popoli col traforo del Frejus e l’operaio che sa apprezzare l’opera dei grandi ingegni volle che fosse innalzato un monumento a coloro che collo studio fecero sì che il pensiero del Padre della Patria, dei Cavour e dei Paleocapa fosse realtà. In oggi vediamo realizzato in nostro voto, cioè che un degno monumento segna al forestiero che “volere è potere” e che un popolo quando è retto da un principio di sana libertà compie delle opere titaniche come quella del traforo del Frejus”.

Colpisce molto l’attaccamento e la riconoscenza che le società operaie nutrivano per gli ingegneri che avevano progettato e diretto i lavori e la costruzione del monumento di piazza Statuto lo testimonia e ne fornisce imperitura memoria. Al tempo stesso non si può non rammentare quanto riportato da Roberto Antonetto nel libro “Frejus – Memorie di un monumento”, scritto in occasione del centenario dell’erezione del monumento, dove tristemente ricordava: “Nessuno si è curato di tramandare i nomi delle vittime del Frejus, mentre abbiamo un’infinità di informazioni sugli avanzamenti, il numero delle perforatrici cambiate, il numero dei fioretti consumati ed una quantità di altre statistiche”. Antonetto proseguiva citando Enea Bignami che già, oltre cento anni prima, al tempo dell’inaugurazione del traforo manifestava l’esigenza di “una pubblica riconoscenza” anche per gli operai: “Non sarebbe il caso di dare una medaglia commemorativa a quanti vi avranno lavorato? Non sarebbe bene che l’operaio, anch’esso con la sua medaglia , aumentasse nel popolo il rispetto e l’amore al lavoro e non si perdesse mai la memoria di un’opera che non meno delle patrie battaglie è fatta per rialzare la dignità della nazione?”. Anche il sottoscritto, nel libro pubblicato nel 2011, in occasione del 140° anniversario del “Primo traforo delle Alpi” aveva proposto che nell’ambito delle commemorazione in corso per il 140° o in quelle successive per il 150° anniversario venisse dedicata una targa in ricordo degli operai caduti sul lavoro e più in generale per tutti gli operai che avevano lavorato senza sosta in condizioni difficilissime e con disagi immaginabili anche quando erano fuori del traforo al freddo e senza alcun tipo di svago e per lunghissimi periodi lontani dagli affetti dei propri cari. Senza di loro l’opera non si sarebbe potuta mai realizzare. Lo scrivente così concludeva: “La targa, oltre che ricordare tutti i lavoratori del Frejus, dovrebbe avere anche lo scopo, suggerito 140 anni fa dal Bignami, di suscitare nelle nuove generazioni il rispetto e l’amore per il lavoro su cui la nostra bella Repubblica è fondata”.

Finalmente, quest’anno la proposta è stata accolta dagli ingegneri e da tutti i soci dell’Associazione del Genio Civile e del Collegio Ingegneri ferroviari, e dai dipendenti di Rete Ferroviaria Italiana e di TELT (Tunnel Euralpin Lyon Turin) che hanno predisposto la lapide riportata in figura per ricordare i 48 operai morti durante la realizzazione del traforo del Frejus e, seppur con molti decenni di ritardo, esprime agli operai la stessa riconoscenza e la stessa stima che loro avevano manifestato per gli ingegneri. Al tempo stesso la lapide vuole anche essere di stimolo per le nuove generazioni di ingegneri e di operai con l’augurio che possano trarre esempio da coloro che 150 anni fa realizzarono la straordinaria impresa. Nel corso di questo mese di settembre sono stati programmati anche diversi eventi per mostrare al pubblico la lapide.

La prima occasione che si è colta è stata la cerimonia organizzata lo scorso lunedì 6 settembre sul binario 1 della stazione di Torino Porta Nuova in occasione dell’arrivo del treno “Connecting Europe Express” che sta attraversando tutti gli Stati dell’Unione Europea nel quadro delle manifestazioni per celebrare l’Anno Europeo del Treno. Alla presenza di Iveta Radicova[6], della Sindaca Chiara Appendino e di altre autorità[7], Mario Virano, direttore generale TELT, ha presentato la lapide e le motivazioni che hanno spinto le Associazioni degli ingegneri alla sua costruzione. Poi la lapide è stata benedetta da padre Mauro Filippucci s.m. Nei prossimi giorni di settembre la lapide sarà trasferita al Museo del Risorgimento dove è stata allestita una sala per ricordare il grandioso evento dell’inaugurazione del Frejus con fotografie e documenti dell’epoca. Poi alla fine di settembre la lapide sarà appesa definitivamente all’ingresso della stazione di Porta Nuova accanto ad altre importanti testimonianze.

Non si può che essere lieti di questa lapide e delle cerimonie che sono state programmate dagli ingegneri, che ricambiando l’affetto ed il rispetto che le Società operaie ebbero nei confronti dei loro colleghi dell’800 e nel ricordo della grandiosa opera del Traforo del Frejus, hanno inteso rendere omaggio imperituro agli operai caduti sul lavoro. Certamente questo servirà anche ad attirare maggiormente l’attenzione di tutti i cittadini sul rispetto norme sulla sicurezza sul lavoro. Da ultimo, ci sia consentito di esprimere l’auspicio che gli organi di stampa e radio-televisivi possano dare nei prossimi avvenimenti più spazio alla lapide e alle sue motivazioni di quanto non abbiano fatto lo scorso 6 settembre per la cerimonia sul binario 1 dove, purtroppo, non le hanno dedicato nemmeno un rigo sui giornali o un minuto di trasmissione sui mezzi radiotelevisivi, mentre si sono soffermati a lungo solo a descrivere la richiesta della rappresentante dell’UE, Radicova al vice ministro dei trasporti Morelli di accelerare l’inizio dei lavori sul territorio italiano per la realizzazione della nuova linea ad alta velocità/capacità Torino-Lione che è considerata prioritaria dalla Commissione Europea.

Pasquale Cialdini

 

[1] L’importo di 41,6 milioni era così ripartito: 14,4 (per i tronchi a semplice binario da Susa a Bardonecchia e da Modane a Fourneaux); 20,6 (per lo scavo ed il rivestimento delle pareti del traforo); 3,67 (per l’armamento ferroviario); 2,93 (per imprevisti calcolati nella misura dell’8%). La legge n. 2380/1857  prevedeva inoltre che 20 milioni sarebbero stati recuperati al termine dei lavori con il subentro della Società Vittorio Emanuele che avrebbe gestito il traffico ferroviario sull’intera linea da Susa a Modane.

[2] Il Giornale del Genio Civile, a partire dalla costituzione del Corpo del genio Civile nel 1816 e fino agli ultimi anni del secolo scorso, pubblicava mensilmente le relazioni degli ingegneri del Genio Civile e del Ministero dei LL.PP. sui lavori eseguiti con il finanziamento dello Stato. I fascicoli sono raccolti e custoditi nella Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici in via Nomentana 2 a Roma e sono ancora consultabili da chiunque ne sia interessato.

[3] Ecco il testo della lettera di Cavour a Sommeiller: “Caro Ingegnere, se l’anno 1860 è trascorso senza che siasi potuto attivare il sistema perforatore nel traforo, ciò non è motivo sufficiente perché Ella lasci che il 1861 cominci e s’inoltri senza più pensare a me. Questa sua dimenticanza mi accora. Venga quindi a vedermi, e troverà che la mia fede non è ancora abbattuta e che la mia amicizia per lei non è scemata a motivo degli impreveduti ostacoli che l’erculea impresa ha incontrato. Suo aff. Camillo Cavour”.

[4] Vedi: Giuseppe Palmero “Cronaca del traforo delle Alpi Cozie e memorie di Torino e Bardonecchia nei giorni 17, 18 e 19 settembre 1871”, ed. Torino 1872 ; Enea Bignami “Cenisio e Frejus”, ed. Barbera (Firenze) 1871.

[5] Queste sono solo alcune delle numerose riviste che pubblicarono articoli entusiastici sul traforo del Frejus: Moniteur Universel, Pariue Britannique, Bruxelles; Haeper’s New Monthly Magazine, New York; L’Illustration Européenne, Bruxelles, L’Illustration, Journal Universel, Paris; Le Monde illustré, Paris; Le Vie du Rail, Paris;

[6] Coordinatrice del Corridoio Mediterraneo della Direzione Generale Trasporti della Commissione UE

[7] Tra le autorità presenti sul binario 1 di Porta Nuova si segnalano: Anna Rossomando, Vice Presidente del Senato, Alessandro Morelli vice ministro del MIMS Alessandro Morelli, Marco Gabusi Assessore per i Trasporti della Regione Piemonte e i direttori di Trenitalia e di RFI.

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