Era evidente (tranne per chi si rifiuta di fare i conti con la realtà delle cose) che la guerra di Putin non era una “contesa territoriale” e men che meno una forma estrema per difendere i cittadini “russi” del Donbass. Era invece evidente che Putin intendeva giocare il tutto per tutto allo scopo di determinare un “nuovo ordine internazionale”. Dopo cinque mesi di guerra e di eroica resistenza degli ucraini, forse, la cosa risulta più chiara.
Putin scommette sul declino definitivo dell’Occidente e sulla dissoluzione dell’Unione Europea. E noi occidentali ed europei gli stiamo dando una grossa mano.
Medvedev, già Presidente fantoccio per conto di Putin, e eminente uomo di potere del Cremlino (dalle mie parti si dice: sempre ascoltare il più stupido in famiglia per capire la verità!), ha pubblicato sui social una foto emblematica.
Si vedono i volti di Boris Johnson e di Mario Draghi e, poi, un riquadro vuoto con un grande punto interrogativo: chi sarà il prossimo leader occidentale anti Putin a cadere? Mentre le truppe russe continuano imperterrite a bombardare città, villaggi, ospedali, scuole, università, depositi alimentari ucraini e in Russia la stretta illiberale contro oppositori e giornalisti si fa sempre più stretta e il consenso al leader autocratico aumenta?
Noi siamo in democrazia, appunto. E per rimuovere un leader come Mario Draghi basta che un gruppo di ciarlatani, guidati da un ciarlatano, gli tolga la fiducia in Parlamento con la ridicola scusa di un inceneritore destinato ad una metropoli sommersa dai rifiuti. La democrazia, appunto. La cosa più preziosa che i nostri Padri ci hanno lasciato, frutto di lotte eroiche e di generose fatiche. E che noi oggi buttiamo alle ortiche (per inconsapevole insipienza o per doveri di gratitudine verso Mosca importa poco): vogliamo coltivare l’illusione dell’ultimo ballo sul Titanic.
La drammatica preoccupazione non riguarda tanto la generazione alla quale appartengo: in qualche modo ce la caveremo. Riguarda invece i nostri figli e nipoti. Quanto delle nostre incertezze e delle nostre pavide complicità di oggi condizioneranno la loro libertà e la loro prospettiva di vita? Cosa resterà per loro delle grandi conquiste da noi utilizzate?
Parlo della democrazia liberale (oggi erosa da una tremenda caduta di carisma); della fiducia nella scienza (oggi messa in crisi dalla prepotente strategia dei nuovi sciamani della rete); dei principi di uguaglianza (oggi messi a rischio dal fatto che una globalizzazione non governata potrebbe essere sostituita da un sistema di egemonie imperialiste fondate sulla negazione stessa dei diritti dei singoli). Parlo del valore della “laicità”. Talvolta mi succede di captare in macchina Radio Maria: molti ascoltatori affermano di tifare per Putin perché persegue l’idea di un mondo “Cristiano” contro l’Occidente “senza Dio”. Non sono purtroppo voci isolate in tutti i paesi occidentali.
Alla pervasiva strategia cinese (con i suoi campi di detenzione rieducativa recentemente riportati alle cronache da una coraggiosa inchiesta giornalistica) e alla violenta e brutale strategia di Mosca, fa riscontro un Occidente in piena crisi d’identità e di prospettive. E di fronte a tutto questo, l’Italia licenzia Draghi per le pulsioni irrazionali di un clan di patetici ciarlatani e di un personaggio mediocre come Conte che si credeva (e purtroppo lo credevano anche altri) il nuovo De Gasperi? È la democrazia, appunto. Ma una democrazia molto malata.
Non sono mai stato e non sono un “renziano”. Neppure mi sono mai nascosto i limiti politici dell’attuale Governo, ma – a titolo personale – ho sottoscritto l’appello di Italia Viva per la continuità della leadership di Mario Draghi sulla base di una sua proposta “senza vincoli” al Parlamento. Non sarebbe certo la soluzione di tutti i problemi (senza la rigenerazione della Politica e la nascita di nuovi assetti di rappresentanza – ad iniziare da un “Centro” che non sia la somma di vecchiume, nostalgia, furbizia equidistante, egocentrismo leaderistico  – nulla sarà risolutivo), ma almeno eviterebbe al Paese una figuraccia internazionale; farebbe rimettere in frigorifero le bottiglie di Champagne al Cremlino; darebbe all’Italia la sicurezza di una gestione all’altezza dei prossimi mesi (manovra di Bilancio compresa); consentirebbe un tempo supplementare per provare a impostare una minima strategia di futuro in vista delle elezioni politiche a scadenza naturale. E sarebbe una parziale risposta al virus populista (almeno nella sua variante – non l’unica, ma la più perniciosa – rappresentata da Conte e da ciò che resta del grillismo).
Lorenzo Dellai

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