Ultimo arrivato nella lunga lista dei progetti di riforma, riusciti e no, della legge elettorale, il cosiddetto Germanicum rappresenta la chiusura di un cerchio. Si iniziò quasi trent’anni fa per abolire il proporzionale con la preferenza multipla, e nacque la Seconda Repubblica. Ora si cerca di superarla e si torna al proporzionale. Salvo, come si dice, intese. Nel caso specifico: un conto è la presentazione di un progetto di legge, tutt’altra cosa la sua approvazione. Chissà se questo Parlamento diviso e rissoso ce la farà mai.
Il progetto prevede questo principio: hai tanti seggi quanti sono i tuoi consensi in rapporto al totale dei voti espressi. Ma per vederteli assegnati devi superare lo sbarramento del 5 percento. O hai almeno quella percentuale, o al massimo ti devi accontentare di una rappresentanza senza poteri decisionali. Hai dei parlamentari che stanno a guardare, in altre parole, mentre gli altri decidono. Una rappresentanza “di tribuna” che il modello tedesco, cui questa legge parrebbe ispirata, non ha: lì sei dentro o fuori. In fondo tra l’assistere senza fiatare e lo stare fuori la differenza non è così grande. Inoltre il modello tedesco prevede anche la possibilità di aumentare il numero dei parlamentari per adeguare il più possibile la rappresentanza del Bundestag ai voleri del corpo elettorale. Da noi sarebbe impossibile. Ultima caratteristica: non ci sono le preferenze, che nel sistema proporzionale puro in vigore in Italia fino al 1991 invece c’erano, ed erano plurime. Qua si assegnerebbero i seggi sulla base di liste bloccate presentate dai partiti, su scala nazionale.
Due considerazioni, a questo punto. La prima: sostengono i critici che tornerebbe l’instabilità. Facile la risposta: quella che abbiamo avuto negli ultimi trent’anni è stata una stabilità veramente poco stabile. E se quel sistema politico ci ha stancato, un motivo ci sarà. Diceva Aldo Moro che la politica è proprio il momento in cui si riflette insieme per trovare soluzioni condivise. Insomma, è la fatica di parlarsi. Agitare lo slogan “la sera delle elezioni dobbiamo sapere chi governa” vuol dire cercare una scappatoia dalle proprie responsabilità in direzione della cattiva politica. Seconda considerazione: il proporzionale – anche questo, che non è certo puro – ridà al cittadino la possibilità di votare nel nome di ciò che vuole, non della necessità di bloccare quello che si ritiene il male peggiore. Per troppe volte abbiamo votato l’uno per evitare l’altro, e l’offerta di politica è andata via via impoverendosi. Senza considerare che la rinascita di partiti a spiccata identità culturale aiuterebbe a riportare la gente a votare, e quindi ad identificarsi con le istituzioni democratiche. Anche se l’idea, strampalata, delle liste chiuse e del collegio unico nazionale impedirebbero un vero radicamento dei partiti sul territorio. Ma il percorso è solo all’inizio, e si può sempre migliorare.
Nicola Graziani
Pubblicato da Interris il 14 gennaio 2020