Il 6 gennaio 1994 Giovanni Paolo II scrive, da Vescovo di Roma, una lettera ai vescovi italiani ( CLICCA QUI )  per confermare l’importanza di un pensiero e un agire pubblico parte di una lunga tradizione storica, peculiare dell’Europa e dell’Italia: una politica ispirata cristianamente. Quella del Papa polacco costituisce una missiva destinata a lasciare il segno e a perpetuarsi nel tempo nonostante sia stata abbastanza dimenticata. Ora si tratta di riannodare i fili interrotti.

La questione di una politica d’ispirazione cristiana, laica, libera, autonoma, programmatica e popolare è, infatti, il nostro tema cruciale. Essa giustifica il nostro impegno pubblico in un momento in cui s’avverte la necessità di riscoprire la forza e la profondità di quella che Papa Wojtyla definisce “eredità di valori umani e cristiani che rappresenta il patrimonio più prezioso del popolo italiano”. Così, la rilettura che oggi facciamo di quella missiva non ha solo il valore di un ricordo celebrativo svolto in occasione di un anniversario. Di essa, infatti, si apprezza la vitalità e la freschezza visto che, di nuovo ai giorni nostri, molto congiura per la riemersione di un filone ideale alla cui presenza operosa sono stati legati i momenti migliori del progresso e della crescita dell’Italia moderna.

Purtroppo, dobbiamo riconoscere che quelle riflessioni di san Giovanni Paolo II vennero disattese quasi subito. Il mondo cattolico interessato alla politica le ha lasciate sommerse in  profondità nel corso dei venticinque anni che  chiamiamo della “diaspora”. Una stagione durante la quale è stato perso il senso dell’unità che il Papa polacco ritiene un “valore”  che, egli precisa, “si misura non sugli anni, ma su lunghi secoli di storia”. Un’unità che nella visione di papa Wojtyla non è una generica e indistinta unità politica dei cattolici, ma il riferimento ad un’esperienza culturale e politica storicamente sostanziata nell’adesione alla Dottrina sociale della Chiesa, il che significa impegno coerente per la solidarietà, la sussidiarietà, il rispetto della dignità umana e la ricerca di un’autentica Giustizia sociale.

Giovanni Paolo II con quel messaggio entra senza infingimenti nel merito dell’attualità politica italiana dei suoi giorni. Anche di “tangentopoli”, le cui tante vicende in quel gennaio del 1994 hanno oramai quasi due anni di vita e già si sono caratterizzate e fanno intravedere il rischio, dice il Papa, di rivelarsi “l’occasione per una dannosa manipolazione dell’opinione pubblica”.

Appena pochi giorni dopo la stesura della lettera, si dimette il Governo di Carlo Azelio Ciampi. Il Paese s’incammina verso le elezioni del successivo 27 marzo destinate a segnare la fine della cosiddetta Prima repubblica e il passaggio più emblematico  della trasformazione del sistema politico italiano in uno schema bipolare.

Non sfugge al Vescovo di Roma il contesto internazionale, soprattutto europeo, in cui si sta definendo un cambio d’epoca. Egli teme che ciò possa significare la perdita dell’eredità spirituale e politica  dei “padri dell’Europa contemporanea”, a proposito dei quali cita espressamente Alcide De Gasperi in Italia, Konrad Adenauer in Germania, Maurice Schuman in Francia. Dunque, avverte le gravi conseguenze che le trasformazioni italiane possono comportare per il resto del consesso europeo.

Giovanni Paolo II non esita neppure a entrare nel merito di ciò che valuta punto cruciale per la continuità della presenza concreta di una politica ispirata cristianamente: la sopravvivenza della Democrazia cristiana. Wojtyla scrive : “In particolare, la caduta del comunismo nell’Europa centrale e orientale ha provocato anche in Italia un nuovo modo di guardare alle forze politiche e ai loro rapporti. Si sono così udite delle voci secondo le quali, nella nuova stagione politica, una forza di ispirazione cristiana avrebbe cessato di essere necessaria. Si tratta però di una valutazione errata, perché la presenza dei laici cristiani nella vita sociale e politica non solo è stata importante per opporsi alle varie forme di totalitarismo, a cominciare da quello comunista, ma è ancora necessaria per esprimere sul piano sociale e politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana. I laici cristiani non possono sottrarsi alle loro responsabilità”.

Il Pontefice affronta persino la questione di Mani pulite: “Certamente oggi, egli scrive, è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico. Accanto a coloro che, ispirandosi ai valori cristiani, hanno contribuito a governare l’Italia nel corso di quasi mezzo secolo, acquistando innegabili meriti verso il Paese e il suo sviluppo, non sono mancate purtroppo persone che non hanno saputo evitare addebiti anche gravi: persone, in particolare, che non sempre sono state capaci di contrastare le pressioni sia delle forze che spingevano verso un eccessivo statalismo, sia di quelle che cercavano di far prevalere i propri interessi sul bene comune. Alcuni, inoltre, sono accusati di aver violato le leggi dello Stato. Proprio queste accuse, rivolte per il vero alle diverse forze politiche ed anche ad istanze operanti nella stessa società civile, hanno provocato iniziative di carattere giudiziario, che attualmente stanno modificando in modo profondo il volto politico dell’Italia”.

Il bilancio che fa Giovanni Paolo II, però, non segue supinamente la vulgata corrente che approfitta di vicende giudiziarie ancora in itinere per forzare verso un cambio di sistema politico: ” Un bilancio onesto e veritiero degli anni dal dopoguerra ad oggi non può dimenticare, però, tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche, hanno fatto per il bene dell’Italia. Non si possono dimenticare cioè tutte quelle significative realizzazioni che hanno portato l’Italia ad entrare nel numero dei sette Paesi più sviluppati del mondo, né si può sottovalutare o scordare il grande merito di avere salvato la libertà e la democrazia. Tanto meno si può accettare l’idea che il Cristianesimo, e in particolare la dottrina sociale della Chiesa, con i suoi contenuti essenziali ed irrinunciabili, dopo tutto un secolo dalla Rerum novarum al Concilio Vaticano II e alla Centesimus annus, abbiano cessato di essere, nell’attuale situazione, il fondamento e l’impulso per l’impegno sociale e politico dei cristiani”.

Giovanni Paolo II è fortemente preoccupato da quelle ” tendenze corporative” e dai “rischi separatisti” presenti nel Paese. “In Italia, per la verità, da molto tempo esiste una certa tensione tra il Nord, piuttosto ricco, e il Sud, più povero,  dice il Papa. Ma oggi questa tensione si fa più acuta. Le tendenze corporative ed i rischi separatisti vanno però decisamente superati con un onesto atteggiamento di amore per il bene della propria nazione e con comportamenti di rinnovata solidarietà. Si tratta di una solidarietà che dev’essere vissuta non solo all’interno del Paese, ma anche nei riguardi dell’Europa e del Terzo Mondo”.

La risposta a tutto ciò sarebbe dovuta venire soprattutto dai laici, ma è evidente che il Papa si rivolge soprattutto a quei vescovi e a quella parte del mondo cattolico che sta per adagiarsi e partecipare allo schema del bipolarismo e che accetta l’idea della contrapposizione portata alle estreme conseguenze.

Non si tratta adesso di attardarsi su quanti disattesero le sollecitazioni di Giovanni Paolo II e lasciarono cadere la sollecitazione a difendere e rafforzare un patrimonio di idealità, di metodo politico, di presenza democratica e popolare. In alcuni casi, si tratta degli stessi che oggi negano la validità e la necessità di una partecipazione pubblica organizzata dei cattolici.

La vera questione oggi per noi è, però, la capacità di  rendere attuale l’appello di Giovanni Paolo II consapevoli che il Paese ha bisogno di riscoprire quei contenuti e quei metodi propri di una cultura e un fare politico che per anni si è voluto emarginare e rendere irrilevante.

Giancarlo Infante

 

 

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