Un fiore all’occhiello sempre più avvizzito. Un mito che cade? O è già caduto e non si ha il coraggio di prenderne atto? Quesiti che pone spontaneamente l’immagine della Sanità nelle regioni in mano alla Lega.

Gli italiani, all’immediato apparire delle più gravi conseguenze del Coronavirus, oltre che  con il Capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, avevano familiarizzato con Attilio Fontana e Giulio Gallera, rispettivamente Presidente e Assessore al welfare della Regione Lombardia. Prodighi di dati, grafici, dichiarazioni che davano davvero l’impressione di trovarsi di fronte a due che sapevano il fatto loro. Poi, abbiamo assistito a quel che abbiamo assistito. Ascoltato il lungo stillicidio di numeri che hanno, e stanno interessando la Lombardia. Purtroppo anche i numeri dei morti.

Lo sfacelo della Sanità della regione più avanzata d’Italia ha finito per emergere in maniera sempre più evidente. Decenni di eccessivo trasferimento di ruolo e di risorse alla Sanità privata e abbandono della medicina di prossimità con il territorio, hanno ovviamente fatto cadere rovinosamente un modello di cui la Lega è andata orgogliosa per anni. Tacendo peraltro un’altra verità confermato dal  Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero  pubblicato dal Ministero della Salute nel luglio scorso con i dati riferiti al 2018( CLICCA QUI ). Cioè che anche la Lombardia gode delle disfunzioni della Sanità nelle altre regioni, soprattutto di quelle del Mezzogiorno visto che oltre 100 mila pazienti, ogni anno provenienti da queste ultime, sono curati nelle strutture lombarde. In totale, questo “turismo sanitario” riguarda circa 76o mila persone con un volume finanziario relativo ai rimborsi tra le regioni di poco più di quattro miliardi di euro, di cui oltre 800 milioni di euro sono incassati dalla Lombardia.

La situazione della Sanità lombarda è arrivata al punto che il duo Fontana – Gallera si è fratturato. La Lega ha appena “sfiduciato” l’Assessore di Forza Italia per le giustificazioni da lui accampate sui ritardi del piano di vaccinazioni che non sono piaciute  a nessuno. In effetti, l’aver spiegato che il vaccino non sia ancora in distribuzione per le ferie concesse ai medici hanno avuto un certo effetto: “Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa”. Vedremo ora gli sviluppi di quel che è sembrato essere un vero e proprio avviso di sfratto da parte del Carroccio per un assessore destinato a svolgere un ruolo cruciale nel pieno della pandemia.

Non sta bene neppure Luca Zaia, per mesi e mesi portato sugli scudi per come la Regione Veneto sembrava essere riuscita, dopo i  primi bollettini drammatici, a ridurre la morsa del Coronavirus. Ne abbiamo già parlato recentemente soprattutto in merito alle scarse precauzioni adottate per garantire ai medici un alto livello di sicurezza visto che Zaia si ostina a sottoporli ai più semplici e sbrigativi test rapidi che non assicurarono gli stessi standard di certezza di quelli molecolari che Zaia s’intestardisce a non utilizzare. A questo riguardo abbiamo registrato numerose voci di critica e il lancio di appelli cui non sembra sia stata data ancora una risposta adeguata ( CLICCA QUI  e QUI).

Ad un certo punto è scoppiata una polemica tra il Presidente Zaia e il prof  Andrea Crisanti, di cui pure inizialmente erano stati elogiato i meriti a piene mani, che si è tentato di farla diventare quasi una questione di carattere personale. In realtà, è in atto una vera e propria ribellione  tra medici e personale sanitario di cui non si parla molto perché pare che non ci si pensi due volte a mettere in atto ritorsioni che possono giungere anche al licenziamento in tronco di chi osa criticare il sistema sanitario regionale veneto.

Che la questione con Crisanti non abbia invece nulla di personale viene confermato da un altro autorevole intervento. Quello del prof Gian Antonio Danieli, illustre biologo e genetista, accademico dei Lincei. Per di più è veneto, perché padovano. Egli ha preso carta e penna e sulla Tribuna ( CLICCA QUI )per sostenere il  sostanziale fallimento nel Veneto della ” operazione “track and test” (rintraccia e analizza), per tre ragioni: adozione di un procedimento analitico inadatto, tardiva applicazione dell’app IMMUNI e fallimento dell’isolamento dei positivi”.

Il prof Danieli ha sviluppato un ampio e articolato ragionamento su queste tre questioni e la sostanza delle sue conclusioni sono le seguenti: ” la Sanità regionale non è stata in grado di mettere in campo un numero adeguato di punti di prelievo e di laboratori di analisi in grado di eseguire i test RT-PCR; preoccupata dal numero dei test da eseguire (e forse dai costi), la Sanità regionale ha creduto di poter risolvere il problema con i cosiddetti “test rapidi”, che aveva iniziato a sperimentare fin da Maggio-Giugno. In un primo tempo è stato usato un prodotto di importazione (RAPIGEN) che presentava scarsa affidabilità,  pericoloso perché, essendo  in grado di accertare la presenza del virus soltanto nel 60% dei soggetti infettati, dichiarava negativi anche alcuni portatori potenzialmente contagiosi. Soltanto successivamente la Regione ha cominciato a usare altri prodotti come quelli della americana Abbott, con migliore efficienza del RAPIGEN, ma comunque significativamente inferiore a quella del test RT-PCR. Conclusione: Non solo l’Autorità sanitaria regionale non ha potenziato il sistema diagnostico per rintracciare i positivi asintomatici, ma ha  adottato una strategia che molto probabilmente ha portato  a un alto numero di falsi positivi, in grado di continuare ad alimentare l’aumento del contagio nell’arco dei quattro mesi considerati”.

Sulla tardiva attivazione dell’app IMMUNI, il prof Danieli così prosegue: ” Al di là dei giudizi, rimane il fatto che fino a metà di ottobre nel Veneto (in quel momento la quarta regione Italia per numero di persone che avevano scaricato l’applicazione) IMMUNI non ha funzionato. Nello stesso periodo, dall’inizio di Settembre alla metà di Ottobre, si era passati da 2538 a 7858 positivi, segnale certamente non tranquillizzante. Se  queste informazioni vengono accostate alla tambureggiante e continua insistenza sui test rapidi (nonostante la loro scarsa efficienza, oggi sotto gli occhi del pubblico per esperienza diretta), alla alla pubblicità di test rapidi “fai da te” di origine cinese (con validità apparentemente “certificata” dalla Microbiologia dell’Ospedale di Treviso) ed alla pubblicità della disponibilità di test rapidi (a prezzo fisso) presso alcune farmacie, si comprende che probabilmente la Sanità regionale si illudeva (e forse ancora si illude) di poter arginare in questo modo la seconda ondata di contagi; avrebbe dovuto invece potenziare immediatamente il sistema di “contact track & cecking” e l’attività diagnostica tramite test RT-PCR (test “molecolare”). Forse si pensava  di limitare i costi di una nuova campagna di contrasto alla diffusione del contagio. Più di una volta, in televisione nel TG RAI Regionale, il Dr. Rigoli ed il Presidente Zaia hanno sottolineato il minor costo dei tamponi rapidi come un elemento molto importante. Non bisogna dimenticare che  la prima “propaganda” dei test rapidi iniziò nella seconda metà di Luglio, quando ai cittadini ignari veniva consentito di andare  in spiaggia, al bar, al ristorante ed in discoteca, ma alle Autorità regionali non poteva essere sfuggito quello che risultava dagli stessi bollettini emessi dalla stessa Regione: il pericolo di contagio non era scomparso e, anzi, c’erano segnali di ripresa nei ricoveri ospedalieri”.

Terza questione: l’isolamento dei positivi. Il prof Danieli denuncia che l’autorità sanitaria regionale “non ha organizzato, all’inizio della nuova ondata dell’epidemia, strutture per ospitare temporaneamente i positivi, preferendo ordinato al soggetto positivo di rimanere nella propria abitazione per 14 giorni e controllando per via telefonica il suo effettivo isolamento e le sue condizioni di salute. In un primo tempo questa modalità ha avuto una gestione abbastanza efficace, ma si è dimostrata insostenibile con l’aumentare vertiginoso del numero dei positivi. Le telefonate si sono rarefatte e, da ultimo, approfittando della circolare ministeriale del 12 Ottobre 2020, che ridefinisce i termini della durata degli isolamenti, è stato effettuato un “allineamento dei dati”, ossia, utilizzando un apposito algoritmo, sono stati cancellati dalla condizione di “isolamento” tutti coloro che vi erano entrati 21 giorni prima. Una prima volta, il 10 novembre sono stati  cancellati dal numero degli  “attualmente positivi” 2312 casi, e una seconda volta l’1 Dicembre 11.673 casi.

Così il prof Danieli scrive : ” Si può pensare che l’Autorità sanitaria, consapevole che il controllo con test rapidi non sarebbe stato in grado di rilevare basse concentrazioni del virus, abbia preferito optare per la…sanatoria, risparmiando tempo e denaro”, per aggiungere: “Come si è già detto, questi test, nonostante le affermazioni tranquillizzanti del responsabile regionale (non comprovate da alcuno studio pubblicato su riviste scientifiche, dove invece studi segnalano il rischio dovuto alla percentuale elevata di falsi negativi) sono adatti soltanto per situazioni di analisi urgenti (es. arrivo di viaggiatori in aeroporti) e non certamente per una ricerca sistematica dei positivi tra i contatti di ammalati o di positivi. (questa affermazione-avvertenza é disponibile sia sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità sia su quello dell Ospedale S.Raffaele di Milano). Una gravissima responsabilità deve essere attribuita alle Autorità sanitarie della Regione quando hanno obbligato le strutture ospedaliere ad utilizzare i test rapidi anche per il monitoraggio del personale medico e paramedico, non tenendo conto di un dovuto principio di precauzione (derivante dai dati di letteratura che ne sconsigliavano l’impiego).

Il risultato, conclude il prof Danieli è che ” la situazione è precipitata rapidamente: all’inizio di novembre si registravano 1146 casi sintomatici ricoverati in ospedali per acuti, corrispondenti  a  qualcosa come 34.380 (1146 x 30) positivi asintomatici. Al 14 Dicembre i ricoveri in ospedale per acuti erano saliti a  2950  e si cominciavano a contare decine di morti al giorno. Il numero dei positivi poteva essere  circa 90.000. Nella conferenza stampa del 23 Dicembre è stato comunicato che negli ospedali del Veneto 2.888 pazienti Covid erano ricoverati in area non critica e 381 in terapia intensiva, 116 erano i deceduti e quasi 50.000 i tamponi in 24 ore che avevano dato 3.547 nuovi positivi, mentre gli “attualmente positivi” erano 103.326. Nel mese di Ottobre la situazione epidemiologica era visibilmente peggiorata anche in altre regioni italiane. Il DPCM del 3 Novembre 2020 adotta quindi una serie di restrizioni a livello regionale, proporzionata alla situazione oggettiva del contagio. Alla Regione Veneto viene assegnato il codice giallo nonostante un preoccupante numero di ricoverati (il giorno 2 Novembre erano registrati 949 ricoverati in area non critica, 138 in terapia intensiva), dei deceduti ( 22 nelle 24 ore). e un Rt superiore a 1″.

 

 

 

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