Se i sondaggi dicono il vero, la fiducia degli italiani nel nostro sistema di giustizia non è alta. E’ certo che a determinare la crisi di fiducia è anche, per non dire soprattutto, l’apparato organizzativo dell’intero ordine giudiziario e, in particolare, il Consiglio Superiore della Magistratura che impone cambiamenti radicali e senza compromessi.

Si tratta di un problema interno che riguarda la “ qualità” della giustizia per la realizzazione di un processo “giusto” ( anche se non necessariamente per una sentenza “ giusta”), mentre la diversa visione dell’Europa vuole che i processi non incidano negativamente sull’andamento dell’economia.

La questione di maggior rilievo è posta dai magistrati in politica. La loro discesa o salita in politica ha contribuito non poco alla perdita di prestigio della magistratura e con esso la fiducia degli italiani nel sistema di giustizia.

In gioco vi è il principio costituzionale dell’autonomia e indipendenza della magistratura,  che è la miglior garanzia dei diritti e dei doveri perché sia effettiva e non solo formale l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

L’indipendenza presuppone da un lato l’esercizio delle funzioni giurisdizionali senza vincoli di subordinazione e con adeguate tutele perché l’autonomia sia effettiva e, dall’altro, equidistanza dagli interessi delle parti.

La Costituzione, secondo cui la magistratura ( inquirente, requirente e giudicante) appartiene a un unico “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” ( artt.104) , i giudici amministrano la giustizia “ in nome del popolo e sono soggetti soltanto alla legge ” ( art.101) e  “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” (art.111) , ha voluto che fosse un organo autonomo a tutelarne l’indipendenza e l’autonomia con competenze sulle assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari ( art.105),in nome di una comune cultura della giurisdizione esattamente come voleva Pietro Calamandrei.

Quindi, indipendenza e autonomia della giurisdizione sono i pilastri su cui (ri)costruire la fiducia dei cittadini nella giustizia.

Le reiterate violazioni del principio costituzionale , come mostrano da troppo tempo le note vicende, impone di individuare strumenti efficaci per evitare la dichiarazione di fallimento del sistema giudiziario.

In primo luogo merita attenzione il sistema elettorale del CSM al quale, tuttavia, non si possono attribuire effetti taumaturgici. La migliore garanzia di autonomia e indipendenza del magistrato risiede nella sua formazione  non solo giuridica ma culturale, nell’etica del limite e del dubbio , nella professionalità e responsabilità.

Ciò nonostante è senz’altro necessario superare il vigente sistema correntizio con l’adozione di un sistema elettorale proporzionale in collegi di ampiezza media ( quattro-cinque seggi)  valorizzando “ fortemente il potere di scelta dell’elettore, eliminando il fenomeno del voto inutile, grazie al trasferimento ad altri candidati delle preferenze espresse dagli elettori di candidati già eletti o giunti ultimi nel confronto elettorale” ( tratto dalle conclusioni della Commissione Luciani)

Poi si deve porre mano al fenomeno degenerativo delle cosiddette “porte girevoli”. E’ di immediata evidenza che come non è possibile essere ad un tempo uomo di parte  e uomo universale, cioè Giudice, così non deve essere consentito a un giudice divenuto uomo di parte di tornare ad essere giudice o accusatore. Il dettato costituzionale (art.51) , secondo cui chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro, può ben essere superato ponendo limiti, dissuasori e divieti.

E’ in gioco la credibilità di organi che partecipano all’amministrazione della giustizia, avvelena l’opinione pubblica e  mette in pericolo l’equilibrio dei poteri dello Stato perché il Potere giudiziario potrebbe condizionare l’Esecutivo o viceversa.

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