Dunque, nella notte tra un lunedì e un martedì d’agosto, a sancire il sì della Camera al testo sulla giustizia penale sono stati i voti di fiducia su un paio di “maxiemendamenti”. Un’anomalia istituzionale, quantunque prassi divenuta usuale da decenni. E non stupisce neppure più che un Governo s’induca a ricorrervi, più che per neutralizzare tentativi ostruzionistici dell’opposizione, per fronteggiare tensioni interne a una maggioranza di forze fra loro alleate ma antagoniste, e non sedate neppure dopo estenuanti trattative svolte a latere del fisiologico confronto parlamentare. Né imbarazza il fatto che qui si tratti di riforme di normative attinenti, come poche altre, al cuore delle libertà.

Non esaltante, comunque, lo spettacolo offerto alla pubblica opinione, ulteriormente spinta a convincersi che a molti uomini di partito i contenuti delle leggi interessano assai meno delle occasioni che forniscono per avanzare divergenti richieste sulla soglia del ricatto e piantare poi, nel siglare tregue armate, bandierine su vere o presunte “vittorie”. Ne ha sofferto la stessa messa a punto della riforma, che nell’insieme e sotto tanti profili è tutt’altro che… “da buttare” o, come qualcuno ha detto, mero “fumo negli occhi”. Stretta era sicuramente l’urgenza e limitata l’area su cui ci si poteva e doveva muovere, stante l’aggancio con il Next Generation Eu e il condizionamento dell’erogazione dei fondi relativi: non vincolante nei dettagli delle soluzioni, ma pur reale quanto all’obiettivo, una riduzione della durata dei processi, da contemperare in un difficile equilibrio con una serie di esigenze d’altro genere, anche di ordine costituzionale.

Obiettivo e limiti, di cui ha mostrato di essere ben consapevole la stessa ministra Cartabia, anche nell’atto di affidare alla Commissione Lattanzi il compito di fornire una base per le proposte che avrebbe portato in Parlamento. E analoga consapevolezza ha animato il lavoro di quella Commissione, traducendosi in breve tempo in un prodotto, indiscutibilmente, di eccellente fattura.

Dispiace che di quel prodotto – in larga parte trasfuso nel testo appena votato – siano rimasti in sottofondo, per il grande pubblico, tanti aspetti qualificanti. L’attenzione si è infatti concentrata quasi per intero sulla questione, pur delicatissima, della prescrizione, principale oggetto di un complicato compromesso faticosamente raggiunto in extremis a livello politico. E ci vorrà del tempo per capire se il contesto, con i promessi incrementi di personale giudiziario e ausiliario, con la digitalizzazione di tanti adempimenti e con le riforme più propriamente procedurali, consentirà di dare davvero per vinta quella che oggi è una scommessa: quella di ridurre entro margini trascurabili il rischio che, sotto l’ombrello di un’inedita specie di ‘improcedibilità’ legata ai termini fissati per i giudizi di appello e di cassazione, l’impunità copra delitti che gridano vendetta.

E dispiace, in particolare, che pochi abbiano colto l’impegno della Commissione – in piena armonia con una linea più volte espressa, anche come studiosa, proprio da Marta Cartabia – di dare impulso a strumenti diretti a sostituire una logica “riparativa” a quella meramente “repressiva” in risposta alla massa di “microcriminalità” (che però non è tale per chi la subisce). Peccato soprattutto che nel testo votato l’altra notte sia scomparsa l’innovazione denominata, forse un po’… deamicisianamente, «archiviazione meritata».

All’estero, dove sono parecchi i Paesi che vantano in proposito decenni di esperienze fruttuose, si parla di «archiviazione condizionata». Uno strumento che consentirebbe di chiudere il conto penale con il reo a conclusione delle indagini preliminari, ossia prima del vero e proprio processo; ma, a differenza di quanto accade con altri meccanismi anche tradizionali, non con un provvedimento d’indulgenza, bensì – ed è bene sottolinearlo, ad evitare fraintendimenti su un supposto “buonismo” di basso profilo – a precise condizioni: appunto, la volontaria accettazione, e l’effettiva prestazione controllata, di condotte riparative, a beneficio della vittima e/o della collettività (risarcimento del danno, lavori di pubblica utilità…).

Accantonamento definitivo, oppure, “ce lo chieda o no l’Europa”, possiamo sperare che se ne faccia oggetto di una prossima riforma ad hoc o in connessione con quella carceraria?

Mario Chiavario

Pubblicato su Avvenire ( CLICCA QUI )

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