APERITIVO INSIEME GIOVEDI 18 FEBBRAIO 2021

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Sono figlio e nipote d’arte ed ho una profonda stima e rispetto per la funzione esercitata dalla magistratura. Preciso quaesto per evidenziarvi che sia per cultura personale che per insegnamenti familiari non ho alcuna posizione preconcetta nei riguardi dei magistrati e dell’attività da loro svolta. Una domanda si pone: qual è oggi in Italia la situazione della giustizia?

La prima risposta che mi sento di dare e che la legislazione d’emergenza per contrastare il contagio da virus non ha reso un grande servizio al sistema giustizia italiano, sistema già in crisi da diversi decenni per la lungaggine dei processi civili e penali, per la carenza negli organici di magistrati, cancellieri ed ufficiali giudiziari e per il numero di cause pendenti, dovute alla litigiosità congenita nel popolo italiano.

Nel corso degli ultimi dieci anni molteplici sono stati gli interventi per deflazionare il ricorso alla giustizia o meglio per ridurre il contenzioso davanti alla magistratura ordinaria nonché per alleggerire il lavoro degli uffici:

ricordo le notifiche in proprio da parte degli avvocati, l’aumento dei contributi unificati (vedi il ricorso al Presidente della Repubblica prima gratis ed ora con un contributo di €600,00), l’introduzione della mediazione obbligatoria, della negoziazione  assistita, del processo telematico e per ultimo, notizia di questi giorni, il ricorso alla intelligenza artificiale con la giustizia predittiva: software che predice l’esito del contenzioso sulla scorta di precedenti pronunce.

Sono tutti istituti che sebbene finalizzati alla riduzione delle cause nonché alla contrazione dei tempi di giustizia che non hanno dato il risultato sperato.

Come dicevo la situazione è peggiorata nell’ultimo anno.

E’ di pochi giorni fa l’inaugurazione dell’anno giudiziario durante la quale, la dr.ssa Ines Marini,  Presidente della Corte di Appello di Venezia, ha reso noto che nel primo periodo 10.3. – 11.5 sono stati rinviati il 52% dei processi civili ed il 96% di quelli penali; mentre nel secondo periodo 12.5 – 30.6 sono stati rinviati il 32% dei processi civili ed il 30% di quelli penali.

Ciò naturalmente ha come effetto l’aumento del già corposo arretrato: stiamo parlando di circa tre milioni di cause pendenti nell’ambito civile.

Nel dettaglio, secondo i dati del ministero della Giustizia, i procedimenti civili in corso al 30 giugno 2020 sono 3.320.000 in aumento rispetto ai 3.290.000 del 31 dicembre 2019. La crescita è “solo” dello 0,8%, ma rappresenta un dato storico perché è il primo segno più da dieci anni.

Secondo i dati riportati dal Ministero della Giustizia, al primo semestre 2019 i procedimenti penali in corso risultano essere 1.493.253 (oggi siamo a 1.619.00). Nel dettaglio: 20.450 sono fermi in Cassazione, 163.918 in Appello e i restanti stazionano tra tribunali ordinari e tribunali per minori.

Per affrontare questa situazione che a ben vedere è una situazione di denegata giustizia nei confronti del cittadino, le proposte di riforma che si sono succedute nel tempo sono sempre le stesse: dall’aumento degli organici, alla abolizione dell’azione penale obbligatoria, alla depenalizzazione dei reati bagattellari per finire secondo il progetto del ministro Buonafede alla riduzione del numero dei componenti le Corti di Appello che da tre giudici dovevano ridursi ad uno.

Le soluzioni proposte sono tutte di rilievo, ad esse se ne aggiungono altre quali, nell’ambito penale, la separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti nonché la responsabilità civile dei magistrati che può sembrare un’azione contro la magistratura ma a mio avviso è solo l’esplicazione del principio di legalità: tutti i cittadini sono sottoposti alla legge.

La riforma della giustizia è dunque necessaria e ciò non solo perché ce la richiede la Comunità Europea ma anche perché ha un’incidenza importante sull’economia. Il neo Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi già in passato ha evidenziato che il ritardo della giustizia italiana incide per un punto percentuale sul pil.

Fatta questa breve panoramica tecnica sullo stato della giustizia in Italia, passiamo ora al dato più politico.

Tutti sappiamo che la separazione dei poteri, nel diritto, è uno dei principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale. Consiste nell’individuazione di tre funzioni pubbliche principali nell’ambito della sovranità dello Stato e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello Stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario, in modo da garantire il rispetto della legalità ed abbattere eventuali distorsioni democratiche dovute ad abusi di potere e fenomeni di corruzione.

Lo stato di diritto si fonda dunque su tre pilastri: come un tavolino a tre gambe.

Ma cosa succede se una delle tre viene meno? Il tavolino o cade per terra oppure se le altre due gambe sono così forti da sorreggerlo, resta in piedi ma in equilibrio precario ed instabile.

Orbene è dagli anni 1992 – 1993 e cioè dai processi di Mani Pulite che a causa della debolezza del potere politico, quello giudiziario ha preso il sopravvento sugli altri due, svolgendo quasi un’opera surrogatoria e\o in alcuni casi di contrasto politico.

Il tutto favorito da una classe politica debole che impaurita dal clima forcaiolo dell’epoca, si automutilò escludendo, con la riforma del 1993,  dall’immunità parlamentare il caso in cui un deputato dovesse essere perseguito in virtù di una sentenza di condanna passata in giudicato e soprattutto eliminò la necessità dell’autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza per sottoporlo a procedimento penale.

Tutto ciò ha avuto un impatto importante sul sistema dei tre poteri con conseguenze spesso fatali per il potere esecutivo.

Faccio alcuni esempi: vi ricordate l’invito a comparire – spesso erroneamente scambiato per un avviso di garanzia – recapitato a Silvio Berlusconi il 22 novembre 1994 e annunciato il giorno prima dal Corriere della Sera con un vero e proprio scoop, proprio nei giorni in cui il presidente del consiglio presiedeva una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli?. Il primo governo Berlusconi cade il 17.1.1995!

L’arresto con detenzione domiciliare del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, indotto a dimettersi e poi assolto nel merito per uno dei due reati contestati ed assolto per prescrizione per il finanziamento illecito dei partiti!

Ed ancora l’avviso di garanzia del 21.1.2021 a Lorenzo Cesa, Presidente dell’Udc, proprio nel momento di massima crisi politica del governo Conte ed in cui si discuteva dell’appoggio al governo dell’UDC?

Il procuratore di Reggio Calabria Gratteri nella sua intervista al giornalista del Corriere della Sera che gli chiedeva se non avrebbe potuto aspettare la conclusione della crisi di governo prima di inviare l’avviso a Cesa, ha risposto: «Io fino all’altra sera gli ho sentito dire in tv che lui e l’Udc non sarebbero entrati in maggioranza, quindi questo problema non si è posto. Se ora qualcuno vuole sostenere il contrario, lo faccia. Ma io l’ho sentito con le mie orecchie».

Ed ancora l’intercettazione del dr. Luca Palamara sulle iniziative da intraprendere contro l’allora ministro Salvini.

Nessuno pensa che il potere giudiziario non debba espletare le proprie funzioni ma in passato la diffusione ai mass media di notizie di reato, l’uso della detenzione preventiva fuori dei casi di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di fuga, hanno avuto conseguenze importanti e spesso fatali per il potere politico\legislativo.

Come dicevo sul caso “Cesa”, il prevalere del potere giudiziario su quello politico – legislativo, non accenna a diminuire, sebbene soprattutto negli ultimi due anni, con il caso “Palamara”, abbiamo scoperto che anche il potere giudiziario soffre in maniera evidente di quella crisi di valori che nel 1993 aveva già colpito i partiti, facendo crollare la Prima Repubblica.

Tutto ciò però al momento, sembra, non abbia prodotto un’approfondita riflessione ed un’autocritica da parte del CSM che ha preferito liquidare in brevissimo tempo (questo si è un processo durato poco più di un anno), Luca Palamara ex presidente dell’ANM radiandolo dalla magistratura, senza tuttavia promuovere una riforma importante per l’avanzamento di carriera dei magistrati e per la distribuzione degli incarichi dirigenziali né tanto meno sembra che il CSM voglia perseguire con la stessa celerità tutti quei magistrati che si rivolgevano al dr. Palamara per essere “promossi”. Le cronache giornalistiche riportano che i primi tre casi disciplinari, giunti sul tavolo del CSM, sono stati archiviati.

Sembra quasi che l’atteggiamento assunto dal CSM sia quello di cercare di circoscrivere il fenomeno al comportamento di singoli magistrati, senza affrontare il problema di fondo e che va ben oltre la condotta di Palamara.

Mi ricorda molto quanto disse l’On.le Bettino Craxi in merito all’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio: un mariuolo. Tutti sappiamo come è andata a finire.Ma tutto ciò non fa bene né alla politica né alla magistratura e soprattutto non fa bene al sistema Italia.

Sul tema relativo ai rapporti tra una politica “debole” e la magistratura, vi invito a leggere l’articolo di fondo del Corriere della Sera del 12.2.21 a firma di Ernesto Galli della Loggia, dove l’articolista evidenzia l’impossibilità dell’attuale parlamento di approvare una riforma della giustizia articolata e profonda.

Altro tema d’attualità è quello sulla prescrizione. L’art. 1, co. 1, lett. e) della Legge n. 3/2019 denominata “spazzacorrotti” ha introdotto al secondo comma dell’art. 159 c.p. la seguente disposizione: “…il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna…”.

Così facendo la riforma Bonafede ha adottato quell’impostazione propria di altri ordinamenti (quali quello tedesco) per la quale la prescrizione del reato può maturare soltanto prima della sentenza di primo grado, e non anche dopo.

Dal punto di vista pratico ciò comporta che per tutti i fatti commessi dopo l’1° gennaio 2020 la prescrizione del reato non potrà più verificarsi nei giudizi di Appello e di Cassazione.

Una prima evidente criticità è sorta con riferimento al contesto nel quale la riforma de qua ha avuto origine, essendo stata emanata – sostituendola – a poco più di un anno di distanza dalla precedente riforma Orlando[3], e dunque prima ancora che se ne potessero osservare gli effetti pratici in materia di prescrizione[4].

A tale criticità se ne è aggiunta un’altra di tutta evidenza: la necessità di predisporre degli interventi strutturali a tutela della ragionevole durata del processo (di cui agli artt. 111 Cost. e 6 Cedu), lungamente compromessa dall’eccessivo protrarsi e dall’inefficienza processuale dei gradi di giudizio successivi al primo, non essendo più tali Autorità Giudiziarie interessate ad accelerare il processo in virtù dell’imprescrittibilità – innanzi a loro – dei reati[5].

Alla luce delle critiche sollevate da tale intervento normativo, è stata inserito nel disegno di legge sulla riforma del processo penale il c.d. “Lodo Conte bis”. Tale provvedimento, presentato al Consiglio del Ministri il 13 febbraio 2020, è volto ad introdurre –mantenendo inalterato il nuovo dies ad quem della prescrizione adottato con la riforma Bonafede – un doppio binario tra imputati condannati e imputati mandati assolti in primo grado.

Si andrebbe, dunque, incontro alla sospensione vera e propria della prescrizione in primo grado soltanto nei casi di sentenza di condanna; in caso di assoluzione, invece, non si applicherebbe lo stop della prescrizione, i cui termini continuerebbero a decorrere normalmente (salvo il caso in cui la prescrizione scada entro un anno e il Pubblico Ministero appelli il provvedimento).

Il punto critico e, per lo meno in via pratica, più complesso dell’intervento riformatore è rappresentato dalla necessità di un rimedio per tutti quei processi (che si stimano essere circa 12.000 all’anno) nei quali la sentenza di appello – riformando quella emessa in primo grado – mandi assolto l’imputato: in questi casi si prevede un sistema di ricalcolo in grado di restituire a quest’ultimo il tempo di prescrizione perduto dalla data della sentenza di condanna di primo grado a quello di assoluzione in appello.

Se, dunque, il lodo “Conte-bis” si è preoccupato di dare alla normativa dedicata alla prescrizione una coerenza, provando a sanare – in armonia con i principi fondamentali del nostro ordinamento – le criticità sorte con la riforma Bonafede, non altrettanto sembra potersi dirsi per quanto riguarda il possibile problema della lunghezza dei giudizi successivi al primo grado, quale probabile diretta conseguenza del nuovo dies ad quem della prescrizione.

Sossio Vitale

 

Appunti sul convegno giustizia del 18.2.2021

APERITIVO INSIEME GIOVEDI 18 FEBBRAIO 2021

ORE 18,15-20,00 link https://meet.google.com/stt-vwgm-hzy

               LA SITUAZIONE DELLA GIUSTIZIA

                E PROPOSTE DI CAMBIAMENTO

SILVANA ARBIA

(già Procuratore internazionale Onu e Capo dell’Organo

amm.vo della Corte Penale internazionale)

SOSSIO VITALE  (Avvocato civilista)

PRIMO FONTI

(Avvocato, legale ass.ne Giovanni XXIII – Oreste Benzi)

Valorizzando l’opera Corruzione al palazzo di giustizia (1944) di Ugo Betti

(magistrato e drammaturgo) partiamo dalle gravi contraddizioni

della giustizia umana quando essa si separa dalla sua legittimazione etica,

per elaborare INSIEME azioni concrete di efficace e positivo cambiamento.

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