L’attuale fase ascendente, anche nel nostro paese, di una quarta ondata dell’epidemia di Covid-19 rende più che mai urgente, se si vuole impedire il ripetersi dei lutti già subiti, una disamina seria e completa delle lezioni che abbiamo già appreso con le ondate precedenti. O almeno, delle lezioni che avremmo dovuto apprendere, se gli eventi dei dolorosi ultimi due anni fossero stati analizzati criticamente, esaustivamente e senza partito preso.

Ed è per questo che non si può nascondere, pur nella tragedia che stiamo vivendo, una certa soddisfazione quando capita, come a volte capita, che dalla meschinità del dibattito pseudo politico che caratterizza le società europee, emergano riflessioni di spessore diverso, che ci parlino del lungo periodo e non solo del contingente.

Tra queste, interessante e gravida di significati è stata, nei giorni scorsi, quella del Senatore Gaetano Quagliariello (che però è anche Professore Ordinario d’Università), che ha saputo trarre una significativa lezione dal fatto che la pandemia, nel nostro Paese, sia stato “un fenomeno per lo più urbano, legato alle grandi metropoli”. E che esso si sia “diffuso laddove il sistema economico si basa prevalentemente sulle fabbriche e non sul terziario, elemento che a livello di interazione sociale implica grandi aggregazioni”.

Egli sottolinea come l’impatto della Covid segni il fallimento di un modello sociale fondato su relazioni umane ridotte all’essenziale, “ispirate più all’efficienza che non all’affettività”, modello in cui in genere l’assistenza dell’età fragile è gestita fuori dall’ambito familiare. Il che ha portato, tra l’altro, alla proliferazione delle residenze per anziani. Mentre è invece indiscutibile “che nei contesti nei quali le strutture familiari hanno retto e funzionato, certamente la pandemia è stata affrontata meglio”.

Al fine di mettere a frutto la lezione della pandemia, e mutuando da Levi Strauss il concetto di “società calda”, ci si può dunque chiedere se fra i tanti fattori per i quali il virus ha prodotto al Nord danni sanitari superiori al resto d’Italia, “non vi siano anche il modello sociale e la struttura economica.”

Si tratterebbe ovviamente di una domanda retorica. Non è infatti un segreto per nessuno che, specie nelle fasce più “avanzate” della popolazione, l’immagine e il ruolo dell’anziano si sono enormemente degradati. Fino a farne un rifiuto, che solo perché la legge lo punisce non viene portato a una discarica, o abbandonato in autostrada, come avviene per i cani al momento delle vacanze estive.
In questa ingombrante sovrabbondanza di anziani (gli ultra-65enni sono circa il 25% degli Italiani) il mercato del lavoro  ha subito provveduto ad offrire, per le famiglie più abbienti, una soluzione alternativa alla casa di riposo: le badanti. Che consentono alle famiglie di andare in vacanza, senza eccessivi scrupoli o pensieri. Ovviamente, reclutate tramite agenzie che non effettuano nessun controllo e quasi mai offrono referenze. Queste presentano qualche inconveniente, come quello verificatosi a metà ottobre scorso a Sassuolo (Modena), dove una signora 89enne, Carla Gorzanelli, affidata appunto ad una badante, è stata sbranata da due cani di razza Amstaff che una coppia di vicini aveva – ben più efficacemente – posto a guardia di una bambina di dieci anni. Un caso estremo certo, meno “normale” rispetto a quello visto a “La vita in diretta” ai primi di novembre, della badante che aveva sposato l’ottantenne affidatole e lasciato la famiglia senza un soldo in banca.
Giuseppe Sacco

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