Nel nostro paese da troppo tempo ci siamo abituati a scegliere il “meno peggio”. A sceglierlo nella vita privata, nella vita personale, nello studio, nel lavoro, nelle relazioni umane, ed anche nella vita politica, nelle elezioni politiche.
Quante volte gli Italiani hanno votato “turandosi il naso”? Ci siamo abituati a rinunciare alle mete umanamente legittime, non solo a quelle ambiziose, a rinunciare all’impegno, specie quando esso è rischioso. Ci siamo abituati a sotterrare l’unico talento che avevamo, per paura del rischio. Così, abbiamo però finito per sotterrare, insieme al talento, anche ciò che è più umano. Ma non l’avevamo notato. Solo con la pandemia ce ne siamo accorti. E se un giorno cominciassimo invece a fare il contrario? A sforzarci cioè di fare il “meglio possibile” che sia effettivamente realizzabile, invece del “meno peggio”? E se cominciassero a farlo i grandi elettori che sceglieranno il Capo dello Stato, proponendo non un profilo caratterizzato dal fatto di non dispiacere a nessuno o dalla capacità di tenere insieme i punti di vista diversi, ma un profilo di grande ambizione e di indiscusso rilievo politico?
Chiedendo addirittura non soltanto un presidente “patriota”, ovviamente nel senso vero e profondo del termine, garante dell’Unità nazionale, della continuità istituzionale, della stabilità, degli impegni con l’ Europa, ma addirittura un presidente all’altezza straordinaria dei tempi che viviamo, una “viva vox Constitutionis”, “voce vivente della Costituzione”, per riprendere una espressione di Piero Calamandrei e una interpretazione, controversa e discussa, ma illuminante, e forse oggi in qualche modo attuale, avanzata alla metà del secolo scorso da un grande giurista come Paolo Barile ? Sarebbe chiedere troppo, sarebbe chiedere l’assurdo o chiedere qualcosa di ovvio ? Io credo che sarebbe il massimo del realismo politico possibile, non solo per i cittadini comuni, ma addirittura anche per le forze politiche. E cerco di dimostrare perché.
Partiamo dal contesto dell’attualità pandemica. Inutile spendere parole sulla incertezza in cui si apriranno le elezioni per il presidente della Repubblica. E’ noto che potrebbe aggiungersi ai problemi anche quello del numero degli elettori presenti, con le difficoltà accresciute a raggiungere i quorum. Anche la frammentazione e litigiosità delle forze politiche e il contrasto degli interessi partitici, le tensioni crescenti entro un governo che dovrebbe essere di unità nazionale, sembrano non far prevedere niente di buono.
E’ evidente a tutti che l’ Italia si trova oggi in una crisi pandemico-economico-politica di dimensioni epocali, per certi aspetti più grave di quella che ha colpito l’ Europa e il mondo. La nostra crisi non è una qualsiasi, è una crisi di sistema. Il caos politico, non sarebbe la prima volta nella storia, potrebbe spingere anche a cercare la “via d’uscita” in uno “sbrego” alla Costituzione, spingere magari a introdurre di fatto “un semi presidenzialismo” eversivo e incostituzionale(CLICCA QUI), che qualcuno, non solo per scherzo, sembra adombrare (un Presidente della Repubblica con una “succursale” a Palazzo Chigi ). Certo revisioni della architettura costituzionali sono opportune e sono anche state anche proposte (ad es. la “sfiducia costruttiva”), ma per la via costituzionale dell’art. 138.
Altri aspetti della Costituzione sono poi a rischio: non c’è solo il rischio di uno “sbrego” costituzionale. La pandemia, di colpo, ha sollevato il velo di Maya che oscurava i limiti di un modello economico neo-liberale percepito, per un trentennio, come «privo di alternative», e impediva di vedere la distanza siderale della globalizzazione imprevidente e deregolata dalla realtà concreta delle persone. Come è stato scritto da Sabino Cassese su Il Corriere della Sera, la crisi pandemica, in Italia, ha evidenziato i disastri prodottisi non nel complesso delle strutture sociali politiche o economiche, ma solo nei tre settori, la sanità (e la tutela dell’integrità e incolumità delle persone, a partire dai lavoratori), l’istruzione, la giustizia, che più direttamente sono legati alla cura delle persone in concreto.
La pandemia ha così evidenziato le ferite inferte nel tempo ai diritti sociali e individuali enunciati nella prima parte della carta. Non ce ne eravamo accorti. Tutti noi, governanti ma anche governati, ci siamo allontanati dalla realtà sociale concreta, ci siamo allontanati dalla Costituzione, abbiamo dimenticato o posposto alle utilità immediate o agli obiettivi affascinanti, ma astratti ( la globalizzazione, la libera circolazione, i diritti dei consumatori ecc.) le
finalità umane e umanizzanti della nostra comunità politica, quelle che sono scritte in Costituzione.
Abbiamo tutti dimenticato, in misura maggiore o minore, la Costituzione! Abbiamo scoperto così, all’improvviso, come governi e rappresentanze parlamentari fossero stati distanti “anni luce” dalla realtà concreta delle persone comuni. Non era stato evidentemente sufficiente a mostrarcelo il solo crollo del Ponte Morandi. In quale altro paese decentemente governato è successo un fatto del genere nell’ultimo secolo?
Le conseguenze di questa situazione sono ormai drammatiche. Gli italiani sono oggi un popolo impaurito, scoraggiato, amareggiato, disilluso, deluso, e rabbioso. La rabbia che emerge dalle proteste dei “no vax” non è solo frutto della follia irrazionale di chi rifiuta il ragionamento scientifico, ma anche di paura, scoraggiamento, isolamento, disperazione. Tutti poi avvertiamo confusamente paura del futuro per un pericolo che deriva dalla triplice emergenza che ci pesa sulla testa come una spada di Damocle. Vi è un triplice “stato di necessità” che mette a rischio crescente diritti di libertà e diritti sociali. Si tratta dell’emergenza pandemica, dell’emergenza ecologica, dell’emergenza finanziaria (che presto si delineerà quando l’Europa ripristinerà i vincoli di bilancio).
Lo “stato di necessità” è sempre una prospettiva terribile, che minaccia il diritto e i diritti, esso è “la scriminante della tirannide”(1)  configurandosi come uno stato di eccezione che mette in discussione la stessa capacità umana di progettazione del mondo, subordinandola a poteri astratti e impersonali, che si esprimono in regole, come fanno la tecnologia, l’economia, la “scienza” e quindi sostituiscono la realtà umana del diritto, che si basa sulla discrezione e sulla saggezza, sostituendo il diritto “umano” con un diritto “funzionale”.
Già oggi ci si fa capire che “non possiamo permetterci tutto”, che dobbiamo rinunciare a qualche diritto. Il meccanismo di regolazione non è più il bilanciamento dei diritti tra loro, ma l’esclusione reciproca dei diritti, un diritto al posto dell’altro. O il diritto delle generazioni future (i cosiddetti “figli costituenti” evidentemente in rivolta contro i “padri costituenti”) o il diritto delle generazioni anziane. Non c’è via di mezzo. Non ci possiamo “salvare” tutti insieme: una selezione è necessaria. Si comincia così lentamente anche a sacrificare i diritti, partendo da quelli dei più deboli, i “clandestini”, i malati gravi, gli anziani che hanno “abusato del welfare”. Si rinuncia ai diritti dei più
deboli, e, coadiuvati dalle intelligenze artificiali, si rinuncia alla progettazione umana del mondo in cui viviamo. Si rinuncia a costruire collettivamente il futuro. Qualcuno comincia anzi a pensare che il futuro proprio non ci sarà. L’ Italia è ai primi posti nel mondo per le “culle” vuote, argomento mai toccato dalla propaganda politica. Lo ripeto ancora : abbiamo dimenticato nei fatti l’applicazione dei principi costituzionali. Questa è la prima radice del male.
Per questi motivi nel profilo del nuovo presidente della Repubblica dovrebbe essere inclusa anche quella responsabilità che, secondo la lettura interpretativa data tanti anni fa da Paolo Barile, dovrebbe conferirgli ad un tempo potere di garanzia e potere di impulso all’attuazione costituzionale. Come scriveva Barile, il Presidente della Repubblica è custode della Costituzione, ma «custode della Costituzione non è soltanto chi dice no alle violazioni della Costituzione, ma anche chi spinge al rispetto attivo della Costituzione da parte di tutti gli altri organi politici» (2).
C’è bisogno non solo del rispetto della carta costituzionale, ma dell’impulso a implementare quei principi e quelle disposizioni che a lungo abbiamo trascurato e quindi a innovare e aggiornare, sulla base di quei principi, ciò che deve essere innovato. La Costituzione non si può contrapporre al progresso. La “voce” della Costituzione deve essere infatti una “voce vivente”, una voce dinamica e intelligente, non una voce prigioniera di un passato che è costretta a ripetere. Si tratta di un profilo di Presidente non nuovo, che è già comparso in alcuni momenti della nostra storia repubblicana (ovviamente il riferimento di origine è quello alla figura di Giovanni Gronchi).
Oggi un profilo del genere non servirebbe a completare la costruzione costituzionale – come era nel 1955- ma servirebbe soprattutto a ricostruire i fondamenti culturali di una comunità politica che, di fronte alla straordinaria pressione degli eventi mondiali, delle crisi ecologica e finanziaria ed alla forza separatrice della globalizzazione (e del virus), ha bisogno di ritrovare le proprie ragioni di esistere, ha bisogno di riscoprire l’esistenza della Costituzione non come astratta dichiarazione di volontà politica, ma come norma giuridica che non si impone attraverso sanzioni e obblighi, ma attraverso la condivisione, proprio come veniva intesa nell’accezione di Barile, per cui essa è norma in quanto “può contare sulla condivisione collettiva della sua vincolatività , in quanto diritto” e, aggiungeva Barile,
“la convinzione rende viva la norma di ogni genere, ed è la sola che può farlo; quando essa raggiunge il più alto grado, la collettività ritiene la norma vincolante come diritto; in tal caso, le norme sono giuridiche; se codificate vengono osservate come leggi, in caso contrario, come consuetudini“(3) ). La comunità politica potrà così tornare ad alimentarsi di quella “legge della fiducia” (4) che fa nascere insieme diritti e doveri e che costituisce il fondamento invisibile, ma essenziale, di ognuna di esse, senza bisogno di sanzioni o vincoli esterni, ed è la sua vera ragione di vita.
La nostra Costituzione può alimentare, meglio di altro, questa “fiducia di base” perché essa mai perde di vista l’essere umano come entità relazionale, “soggetto inserito in un suo contesto culturale sociale economico e fornito di una sua carnalità storica”, motivo per cui essa, “a differenza delle carte giusnaturalistiche … si occupa distesamente, nei principi fondamentali e nella prima parte, di religione, di arte, di cultura, di economia, di educazione, di paesaggio, di salute” (5). Essa delinea, come meglio non si potrebbe, ciò che oggi definiamo “società della cura”.
I partiti, o quello che resta dei partiti, i grandi elettori, potrebbero mai accordarsi apertamente su un simile profilo? A prima vista no. Sembra molto più logico un compromesso fondato su convenienze più spicciole e immediate e sottoscritto nelle segrete stanze. Però c’è qualcosa che i grandi elettori, specie i parlamentari, non dovrebbero dimenticare.
Di qui a poco ( il 2023 non è lontano) si andrà ad elezioni politiche. Chi aspira alla rielezione, in conseguenza della riforma “taglia poltrone” dovrà faticare per avere i voti. Meglio presentarsi stavolta con qualche fatto compiuto. Le modalità e le finalità ufficiali e reali con cui sarà scelta la più alta carica dello Stato anche in un paese di debolissima memoria storica non saranno facilmente dimenticate dagli elettori.
Il Capo dello Stato è oggi l’organo più solido e riconosciuto della Repubblica. I proclami sulle riaperture in epoca
Covid, sulla apertura delle scuole in presenza, o sulla rottamazione delle cartelle non credo invece saranno memorizzati con altrettanta solidità. Eleggere un Presidente che per comportamenti assunti, dichiarazioni fatte, opere scritte, coerenza di vita possa profilarsi come un garante della Costituzione per tutti gli Italiani, per le forze di governo, come di opposizione, sarebbe, a mente lucida, la scelta più conveniente per tutti. Come è stato osservato da L. Dellai (CLICCA QUI) l’attuale Presidente Mattarella sarebbe la scelta ideale, se vi fosse una sua accettazione della rielezione. Ma in mancanza di questo, il profilo di un presidente davvero “voce vivente della Costituzione”, a chiunque appartenga la “voce”, sarebbe ancora la scelta migliore. Migliore per tutti, non per una sola parte politica. E soprattutto per i cittadini comuni.
Umberto Baldocchi
(1) John Milton, in Paradise Lost,IV, 393-394, lo fa così definire da Satana
(2) P. Barile, Relazione di sintesi, in G. Silvestri (a cura di), La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano. Atti del Convegno, Messina- Taormina, 25, 26 e 27 ottobre 1984 , Giuffrè, Milano, 1985, pp. 258 ss.

(3) Paolo Barile, La Costituzione come norma giuridica, Barbera, Firenze, 1951. Pp. 27-28)

(4) Tommaso Greco, La legge della fiducia- Alle radici del diritto,  Laterza, 2021
(5) Paolo Grossi, L’invenzione del diritto , Laterza 20i7, p. 14

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