L’alta considerazione e la gratitudine che, da parte di tutti gli italiani, a prescindere dal colore politico, merita il settennato di Sergio Mattarella, suggerisce a molti – al di là delle ripetute affermazioni in senso contrario che giungono dal Quirinale stesso – l’opportunità di auspicare, anzi di ancora insistere ed invocare la rielezione, per un secondo e pieno mandato, dell’attuale Presidente. Aggiungendo, altresì, come la permanenza di Mattarella al Quirinale favorirebbe la continuità del governo in carica. Per quanto non sia difficile immaginare che, al di là delle capacità maieutiche con cui Draghi sa trarre il meglio dalle forze che lo sostengono in Parlamento, una siffatta maggioranza sia inevitabilmente esposta al rischio di una progressiva, crescente tensione interna; destinata a minarne la stabilità, via via l’avvicinarsi del momento elettorale, sia pure nel ‘23, vedrà crescere il nervosismo e la competizione tra i diversi partiti che, oggi, a tale particolarissima maggioranza concorrono. Del resto, le prime avvisaglie in tal senso, anzi qualcosa di più, già si avvertono.

Se le cose dovessero andare in questo modo, l’Italia sarebbe quanto mai garantita. Sul piano dell’ imparzialità della più alta carica dello Stato, delle garanzie costituzionali, della rappresentanza e della tutela dell’unità nazionale, della “intelligenza” politica per la lettura degli eventi che si succederanno nei prossimi difficili anni, della considerazione e del prestigio internazionale.

Senonché, tale soluzione sarebbe inevitabilmente letta come una supplenza che, di fatto, l’ accoppiata Mattarella-Draghi sarebbe chiamata ad esercitare nei confronti di un sistema politico-parlamentare decotto e manifestamente non in grado d’adempiere ai suoi compiti istituzionalmente più rilevanti: dare all’Italia un Capo dello Stato e un Governo espressione di una chiara dialettica parlamentare. Piuttosto che, come succede in questo fase, frutto addirittura di una temporanea sospensione di una più precisa e puntuale connotazione politica.

Un tale sistema politico, preso atto della propria inettitudine, dovrebbe avere il buon senso di trarne le necessarie conseguenze e, anziché intristirsi nella propria inerzia, resistendo ad oltranza nel “ridotto” del bipolarismo maggioritario, liberare gli italiani da un tale giogo attraverso una nuova legge elettorale e porli nella condizione di scegliere tra quelle forze in grado di esprimere una chiara “visione” della prospettiva di sviluppo intenzionata a proporre.

Del resto, l’ impasse in cui siamo finiti è dovuta, oltre che all’obbligata forzatura di una contrapposizione polarizzata, che nulla ha a che vedere con la ben più ricca articolazione di una società plurale come la nostra, al fatto che ognuno dei due poli è, a sua volta, sostanzialmente privo di una propria specifica identità culturale e, semmai, incardinato solamente su di un’opportunità elettorale comune. In definitiva, la proporzionale rappresenterebbe non solo una opportunità di partecipazione effettiva per i cittadini, ma, altresì, di riscatto per le singole forze e le culture politiche di cui sono espressione, oggi confusamente assemblate le une nelle altri, in ciascuno dei due schieramenti.

Bisogna evitare, pur mossi dalle migliori intenzioni, e in virtù della qualità politico-istituzionale che gli appartiene, di scivolare nell’ equivoco di addossare a Mattarella – e, nel contempo, per altro verso a Draghi – quei panni di “salvatore” della Patria, ultima chance della Repubblica, che alludono a quel concetto di forzata personalizzazione leaderistico-carismatica del potere, nel mentre, per quanto rivesta un ruolo istituzionale assolutamente monocratico, essa non sembra appartenere all’abito mentale di un Presidente che intende essere rispettosissimo della lettera e dello spirito della Carta Costituzionale.

Insomma, spetta ai partiti ed alle loro espressioni parlamentari farsi carico del particolare momento politico-istituzionale e la stessa indisponibilità di Mattarella al reincarico, in definitiva, suggerisce come non possano sfuggire alle loro responsabilità. Riscoprano, se sono in grado di farlo, quell’attitudine al confronto autentico e alla mediazione di alto profilo da cui si evince la loro capacità o meno di concorrere all’interesse generale dell’Italia e degli italiani.

Domenico Galbiati

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