Passato un anno dall’insediamento del governo Meloni e con la prospettiva ripetutamente dichiarata dalla sua Presidente che questo debba essere un governo di legislatura, è sempre più importante portare la riflessione sulle scelte più serie che l’esecutivo dovrebbe fare. Diciamo subito che in una prospettiva non di parte, ma del paese, la durata del governo (di questo o di un altro) per una intera legislatura è di per sè un dato positivo. Un governo che abbia davanti una prospettiva di medio termine può affrontare i problemi del paese (che non mancano) con
maggiore tranquillità e serietà. Ma la durata è solo una prima condizione: un governo che si trascinasse nell’inerzia e senza compiere scelte importanti per cinque anni si trasformerebbe in un netto pregiudizio per il paese, che vedrebbe i suoi problemi incancrenirsi. Ancor più se facesse scelte sbagliate.

Quali sono allora le scelte importanti che il governo Meloni si trova davanti? In estrema sintesi direi scelta europea e scelta interna di politica economica. Sul piano europeo, in un momento estremamente critico a livello internazionale e quando l’Unione Europea deve affrontare sfide importanti che toccano in profondità il suo “stare nel mondo” (sostegno all’Ucraina, crisi mediorientale, rapporti con la Cina, risorse per affrontare la sfida climatica, inflazione e gestione dell’economia), il governo Meloni deve decidere con chiarezza da che parte stare.

Le elezioni polacche con la sconfitta del partito conservatore PIS e la probabile formazione di un governo di centro europeista e a trazione Partito Popolare Europeo indicano che la prospettiva di una Commissione Europea orientata verso la destra sovranista dopo le elezioni se mai aveva avuto una qualche remota possibilità oggi è sicuramente esclusa. Meloni deve allora decidere se seguire in Europa la “logica di partito” (e dunque rimanere strettamente legata al Partito conservatore europeo le cui forze principali resteranno ai margini delle coalizioni UE) o se seguire una più saggia “logica di governo” che chiede all’Italia di stare in una maggioranza europea a guida Partito
Popolare che conterrà i liberali di Macron e probabilmente anche il partito socialista europeo.

In questo caso l’Italia potrà giocare un ruolo attivo insieme ai due grandi paesi – Francia e Germania – che sono più rilevanti per molti degli interessi italiani (in materia di immigrazione irregolare, e di politiche economiche e di bilancio). Qualche segno in questa direzione Meloni lo sta dando nonostante l’azione contraria del suo partner di governo, la Lega, ma occorre più coraggio, per esempio chiudendo finalmente con la ratifica la partita del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) per poter poi operare più liberamente e in modo cooperativo sugli altri dossier aperti (come la revisione del Patto di Stabilità e Crescita e i programmi per i migranti) sui quali i partiti sovranisti europei non ci daranno nessun aiuto. L’Italia ha bisogno dell’Europa, ma anche l’Europa ha bisogno di una Italia pronta a giocare un ruolo positivo e cooperativo: questa dovrebbe essere la bussola per il governo.

Ma anche sul piano interno ci sono scelte importanti da fare. Qui il tema, peraltro di lunga data e che anche governi precedenti di diverso colore non hanno mai seriamente affrontato, è quello della crescita economica troppo lenta dell’Italia e in stretto collegamento con essa del peso del debito pubblico e dei suoi costi. Finora il governo Meloni ha mostrato, nelle due prime manovre di bilancio, da un lato una certa prudenza complessiva rinunciando anche a qualche cavallo di battaglia tipico della destra (come le demagogie leghiste in materia pensionistica e di flat tax) per
non incorrere nelle critiche dell’Europa e negli strali dei mercati finanziari, dall’altro ha cercato di venire incontro a qualche domanda del suo elettorato come con il taglio del cuneo fiscale, e qualche aiuto alle famiglie con figli.

Per lo più si è trattato di interventi temporanei (e a debito) e poco suscettibili di incidere sui problemi fondamentali del paese. Mancano invece anche se solo in termini di prospettiva le indicazioni di interventi più strutturali e di lunga portata per ridurre i deficit del paese in materia di investimenti nei settori tecnologicamente avanzati, nella ricerca. O per liberalizzare ambiti dove prosperano rendite monopolistiche. Il PNRR darà un contributo se sarà positivamente condotto a termine. Ma un governo di legislatura deve esprimere con chiarezza una linea di fondo e non limitarsi al cabotaggio dei piccoli interventi a pioggia. Spetta anche alle opposizioni incalzare senza sconti il governo Meloni con proposte che siano all’altezza dei problemi del paese.

Maurizio Cotta

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