La nostra Zebretta due giorni fa ha preso atto di quello che sta emergendo nel Palazzo ( CLICCA QUI ). Ritorna un termine costante della politica italiana: rimpasto. Alcune smentite, però, vengono direttamente da Luigi Di Maio che, di fatto, pone un veto all’ingresso in maggioranza a Berlusconi e, indirettamente, dal Presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che fa sapere di lavorare a una “cabina di regia” mista fatta da alcuni ministri e da immancabili tecnici.

Per la terza volta di seguito, Giuseppe Conte deve “sgusciare” tra gli scogli che in Parlamento gli si pongono dinanzi. L’ennesimo zig zag che egli, con grande disinvoltura, politico acquisito e Presidente del Consiglio ” per caso”, può permettersi a differenza di tanti suoi predecessori costretti a seguire le regole della “buona educazione” politica, ammesso che questo termine abbia mai avuto un qualche significato.

“Primum vivere, deinde … pensare alla coerenza”. Del resto, la tragedia del Coronavirus costringe a restare al timone di un Paese che la pandemia ha solo trovato sgangherato. Non l’ha ridotto così il Covid-19. E’ una cosa che, a futura memoria, faremmo bene a ricordarci tutti noi italiani, anche se sembra che entrando nel seggio elettorale essa ci si appanni e si finisca così a votare per chi ha contribuito a sfasciare l’intera Penisola.

Noi d’Insieme possiamo permetterci di fare questi ragionamenti che, in un’altra stagione, avrebbero potuto essere definiti “populisti” e demagogici. Si dà, infatti, il caso che la necessità di porsi in alternativa a tutto il sistema politico, l’idea di avviare una “trasformazione” completa del Paese l’abbiamo espressa nel nostro Manifesto in tempi non sospetti e con chiarezza ben prima che arrivasse il Coronavirus ( CLICCA QUI ).

Così, non ci facciamo per niente convincere dalla smemoratezza che ogni volta dimostrano il centrodestra e il centrosinistra che pensano di cavarsela con il rimproverarsi reciprocamente le questioni del presente dimenticando le comune responsabilità nel pregresso. La sanità sono loro che l’hanno sfasciata nelle regioni da sempre controllate da questo o da quell’altro schieramento. Hanno messo in piedi il comune e connivente controllo sulla Conferenza Stato – regioni, organo non costituzionale che, però, impone le decisioni al Parlamento e ai partiti in esso rappresentati. Finiscono, bene o male, per spartirsi la gestione della cosa pubblica.

I Cinque Stelle hanno chiuso gli occhi su tutto ciò nonostante si fossero presentanti sulla scena con un “vaffa” perentorio e diretto contro tutti. Lo devono fare per restare al Governo, per uno stato di necessità reso oggi ancora più forte dalla pandemia? Domanda rimasta inevasa al momento di allearsi con Matteo Salvini, cosa per fare la quale hanno sottoscritto un Patto per il Governo del cambiamento servito a non cambiare molto, e un anno dopo con il rovesciamento di alleanza che ha finito per premiare un “moribondo” Pd.

Dall’altro lato che c’è? Una destra in confusione. Per dirla alla Diaz, i resti di quella che sembrava una delle più potenti coalizioni dichiarano tutto e il contrario di tutto e ora, questo vale soprattutto per Matteo Salvini, risalgono in disordine e senza speranza le gradinate delle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Berlusconi è di fatto “entrato” nella maggioranza. Matteo Salvini adesso, dopo che ha provato a farla da padrone nel centrodestra, vagheggia addirittura di unificare i gruppi parlamentari. Giorgia Meloni si rende conto di aumentare i propri voti, ma solo togliendoli alle Lega e la cosa non è sufficiente ad uscire da un cono d’ombra in cui si è cacciata quando le sembrava che, sulla scia del capo della Lega, poteva pensare di rivedersi alla guida di un dicastero, certamente più pesante di quello che, da finiana, ebbe assegnato da Silvio Berlusconi.

Una confusione che si esprime anche attraverso le vicende romane dove la Meloni che non vuole trovarsi “incastrata” con una eventuale candidatura a sindaco  ripete il suo “no” a Guido Bertolaso, che secondo alcuni sarebbe il nome ideale per rispostare a destra il Campidoglio, per proporre personaggi certamente non in grado di salire al più importante tra i “colli fatali” con quella visione universale che Roma merita.

Insomma siamo al piccolo cabotaggio. Lo stesso che impedisce all’opposizione di offrire un’autentica alternativa a un quadro politico e istituzionale che la pandemia da Coronavirus ha portato in sala di rianimazione, ma senza che si vedano delle cure in grado di rianimare alcunché.

Adesso c’è da parlare di cose serie, come quelle relative al Next Generation Ue, come si chiama il piano straordinario europeo di ripresa, a proposito del quale c’è da augurarsi che la gestione dei progetti del Recovery Fund non si realizzi attraverso un “dipendente” e vincolante rapporto con le Regioni com’è avvenuto durante la pandemia. Il Governo deve misurarsi sulla capacità di esercitare la dimensione nazionale della sua funzione e della propria responsabilità. Questo il punto dirimente, non quello del rimpasto.  La cabina di regia, ammessa che poi non diventi una misteriosa e fugace meteora come  accadde alla “task force” di Vittorio Colao, non può essere lo strumento attraverso cui i progetti europei vengono “extraparlamentarizzati”, cioè “scippati” al Parlamento e al confronto che deve vedere la partecipazione delle forze vitali della intera società italiana, con la scusa di delegarli ai tecnici.

Giancarlo Infante

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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