Senza storia non sappiamo chi siamo. E’ stato commovente ascoltare Liliana Segre. Ha riscattato la memoria del nostro Paese.

A cento anni dalla marcia su Roma, il dolore di una bambina cacciata dalla scuola perché ebrea, è stato ricordato, anzi rivissuto – ed è molto di più – dallo scranno parlamentare più alto, la Presidenza del Senato. E’ lecito cogliere in tutto ciò un forte significato simbolico e comprendere, dunque, come vi sia, nel corso degli eventi, un senso sotteso, un valore, un’ energia morale che non può non manifestarsi ed anche oggi deve essere un monito, un motivo di speranza e di fiducia, al di là dei momenti oscuri che viviamo?

Non a caso, Liliana Segre ha sottolineato come tutto ciò sia il frutto di una serie di accadimenti imprevisti ed imprevedibili, che, ben oltre l’apparente casualità dei fatti, si intrecciano a distanza di molti decenni. Le sue parole sono state un inno alla forza ed al valore della democrazia che ha consentito all’Italia di risalire dal baratro di leggi razziali che l’hanno moralmente compromessa con il più orrendo delitto che la storia abbia conosciuto.

La storia non è un riferimento temporale inerte, ma una cosa viva che, quando – come nel caso di Liliana Segre – fa tutt’uno con il vissuto personale, giunge a livelli straordinari di intensità emotiva, appunto perché mostra come, anche nei frangenti più bui, non siamo abbandonati alla furia dell’irrazionale, bensì stiamo dentro un ordine delle cose che aspirano ad un senso e, via via, lo compongono.

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