Adenauer, De Gasperi, Schuman, padri fondatori dell’idea d’Europa, accomunati dalla stessa fede, hanno trasmesso alle nostre generazioni una testimonianza ed una responsabilità.
L’unità politica del “vecchio continente” rappresenta un obiettivo che va oltre i confini di questo lembo estremo della grande placca euro-asiatica che, a mo’ di penisola, si proietta verso Occidente e nel Mediterraneo incontra la placca africana di cui le terre del nostro Paese rappresentano l’ultima propaggine. Se la geologia avesse qualcosa da insegnare alla coscienza dei popoli ed alla politica, il “destino” dell’Europa – nel senso del suo “compito originario” come lo chiama Edith Stein – risulterebbe immediatamente evidente.
L’Europa ha senso nella misura in cui trascende sé stessa, va oltre i suoi confini ed ha consapevolezza che la responsabilità che incombe sulle sue spalle riguarda il pianeta ed il domani dell’ intera umanità. Senza rinverdire la coscienza della funzione storica che oggi, qui ed ora, le compete, senza il coraggio di osare e di credere in se stessa, difficilmente l’Europa potrà risollevarsi dalla spirale in cui da troppo tempo si è avvitata e dal cui torpore, forse, solo dopo la scossa della pandemia, sembra accennare a riprendersi. Come chi, spintosi fin sul ciglio di un baratto esistenziale, solo a quel punto, sul quel sottile crinale che lo separa dalla morte, riscopre la lucidità necessaria a ritrarsi per riprendere il cammino della vita, piuttosto che lasciarsi risucchiare dal vuoto.
Occorre, dunque, tornare alle origini e riconoscere che la prospettiva dell’unità politica dell’Europa nasce e si stabilisce sull’aspirazione, anzi su un compito di pace, sull’affermazione che la pace non è un vago disegno utopico ed irraggiungibile, un faro morale che illumina un cammino nobile, eppure destinato a smarrirsi nelle sabbie del nulla, bensì un progetto storico concreto che la politica può e deve perseguire.
Dopo due conflitti mondiali ferocemente combattuti sul suo suolo, di fatto come “guerre civili” del vecchio continente e addirittura intestine a singoli paesi, intervallate solo dai vent’anni funestati dalle drammatiche dittature e dalle ideologie anti-cristiane del cosiddetto “secolo breve”, dai genocidi che hanno ispirato, il compito di ristabilire la pace interna e tracciarne il possibile percorso globale appare, ancor prima che un progetto politico, un imperativo morale. Che, non a caso, ha, nella sua stessa sorgente ideale, molto a che vedere con la coscienza religiosa dei suoi padri fondatori, con la convinzione profonda della incontrovertibile, inalienabile dignità di ogni uomo, in quanto soggetto capace di quella libertà in cui prende corpo quel suo essere fatto “ad immagine e somiglianza di Dio”.
Al nostro Paese, in modo particolare, spetta il compito di mantenere viva la coscienza della dimensione “mediterranea” dell’Europa, secondo l‘ ammonimento del Presidente Moro che ci ricorda come: “Tutto il Mediterraneo è in Europa, perché tutta l’Europa è nel Mediterraneo”.
Da queste considerazioni derivano concrete ed attualissime questioni politiche che ci accompagneranno nel corso dell’Assemblea costituente del “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cui vogliamo dare vita, i prossimi 3/4 ottobre. Soprattutto nella successiva fase di suo ampliamento e di suo radicamento territoriale, cui stanno dando vita gli amici che intendono riscattare la presenza politica dei cattolici italiani da quasi trent’anni di sudditanza alla destra o alla sinistra. Questioni che vanno dalla collocazione internazionale del nostro Paese nel contesto delle democrazie occidentali, al rapporto dell’Europa con il continente africano, soprattutto al tema inaggirabile delle migrazioni e, non ultimo, anche se non è cosa che attenga subito ad una forza ancora in embrione, la sua collocazione nella grande famiglia cristiano-democratica europea.
Domenico Galbiati

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