Commentando l’esito della recente competizione elettorale, il prof. Roberto D’Agostino, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, ha espresso su “Avvenire” del 22 marzo u.s. talune sorprendenti tesi per spiegare l’insuccesso dei cattolici ( CLICCA QUA ).
Così, partendo dall’idea, alquanto ingenerosa, secondo la quale gli italiani che fanno politica sarebbero abituati a “strumentalizzare elettoralmente gli insegnamenti della Chiesa”, l’articolista si è spinto a formulare una vera e propria scriminante “antropologica” del popolo cattolico ritenuto, come tale, inidoneo ad impegnarsi, non solo in politica ma anche sul piano delle iniziative normative: auspicando, piuttosto, che esso decida di “degiuridicizzare” il suo impegno, di astenersi così dal dare “concretezza normativa” ai valori cui si ispira e, conseguentemente, di lasciare tale ruolo ai “politici di professione”.
L’unico compito che, secondo tale visione , dovrebbe restare ai cattolici, sarebbe quello di “agire per dare concretezza valoriale alle norme”, vale a dire, di prendere solamente atto, dall’esterno, del dato normativo da altri già laicamente concepito e definitivamente posto, senza poter esercitare alcuna eventuale partecipazione creativa: limitandosi, ex post, ad “elaborare visioni del mondo compatibili con le dinamiche sociali del presente” e, quindi, necessariamente minimalistiche e residuali.
Dinamiche rispetto alle quali, seguendo siffatta tesi, dovrebbe ritenersi preclusa qualsiasi possibile azione politica e normativa di carattere correttivo e/o di indirizzo dettata da preesistenti ed inderogabili “visioni del mondo” e di valori ontologicamente posti.
Ma, è proprio questo il rimedio che giova adottare per poter ovviare all’insuccesso elettorale dei cattolici? E’ utile cessare di impegnarsi in modo attivo abbandonando il campo della politica e dell’elaborazione normativa al libero dispiegarsi delle confuse, contraddittorie e, a, volte nichilistiche forze laicizzanti indotte dalla tracimante opera della tecnica, della finanza selvaggia e del mero profitto, dall’incontrollata economica globalizzata, nonché dalla lenta erosione di ogni tradizionale e “naturale” fondante identità? Si può pensare veramente di dare “concretezza valoriale alle norme” rimanendo estranei al loro concepimento ed alla loro formulazione rinunciando, così, ad infondere attivamente all’interno del loro processo formativo una preesistente immutabile “visione del mondo”?. Non si finirebbe, per ciò stesso, con il lasciare all’incontrastata azione del relativismo il governo delle “dinamiche sociali del presente” ? Non sarebbe un tale invito a”non-giudicare”, inteso, come “jus-dicere” in palese contrasto con l’idea propulsiva e di attiva militanza che ispira la stessa dottrina sociale della Chiesa?
Senonchè, a ben riflettere, il tanto lamentato insuccesso elettorale non risiede affatto nell’asserita diversità “antropologica” dei cattolici come tali bensì, al contrario, nella loro indisponibilità a porsi come soggetto politico assumendo una impostazione strategica ed una conformazione strutturale ben definita nel quadro della politica nazionale ed internazionale.
Sotto il primo di tali profili, si ritiene che solo la scoperta da parte dei cattolici “come tali” dell’autonomia e singolarità di un proprio specifico ruolo propositivo ed aggregante potrà evitare di farli restare vittime del peccato originale che, fin qui, li ha portati ad occupare solo una posizione subordinata o ausiliaria in seno ad altri partiti o ad impegnarsi in ordine sparso all’interno di contingenti e variegate formazioni politiche: finendo, così, con il condividerne l’ascesa ed il declino.
Come è stato, del resto, sottolineato nel stesso articolo giornalistico dove così si spiega, sia la disfatta del c.d. “cattolicesimo democratico” in quanto coincidente con quella della sinistra ed espressione di una “parte essenziale del progetto politico del PD”, sia il fallimento di “tutti i cattolici impegnati, in un modo o nell’altro, in politica” perché fagocitati dagli altri partiti di riferimento o condannati dall’irrilevanza delle formazioni politiche di bandiera.
Orbene, tale auspicata emancipazione “strategica-identitaria” dei cattolici in politica non sarebbe di per sé risolutiva se non fosse accompagnata dalla ristrutturazione del loro assetto operativo che tenga conto delle mutazioni intervenute nel modello generale della rappresentanza politica..
Invero, in ordine a tale prospettiva, va osservato che il sistema elettorale è stato fin qui sostanzialmente e prevalentemente governato mediante l’interpretazione elitaria e verticistica delle esigenze nascenti dalla comunità sì come vincolata dalle rigide organizzazioni dei partiti tradizionali e valorizzate da ben definite impostazioni ideologiche calate dall’alto.
Tale sistema ha lungamente resistito fino a quando la pressione esercitata dalla complessità delle nuove emergenze indotte dalla lenta erosione dell’ordine istituzionale, produttivo e commerciale ad opera della tecno-economia globalizzata, ha finito con il porre in crisi, insieme con i partiti tradizionali, anche tutte le altre entità intermedie (dagli stessi partiti alle famiglie ed alle tradizionali agenzie di socializzazione), oltre che il sistema stesso della vecchia “governance”, producendo quella che viene oramai comunemente intesa come “società liquida” come preconizzata dal sociologo Zygmunt BAUMAN.
In questo generale e nuovo contesto “evolutivo” si sono così fatte avanti nuove forme spontanee di aggregazione e di azione “politica” che, premendo alla base della comunità, sembrano destinate a condizionare, anche con l’ausilio della tecnica delle comunicazioni ed in modo pressoché stabile e costante, gli stessi organi di vertice: sia mediante un capovolgimento di “verso”del processo di elaborazione progettuale e normativo rispetto al tradizionale e statico sistema piramidale di esercizio del potere, sia attraverso una mutazione di “senso” della proposta politica, non più condizionata dalle ideologie imposte dall’alto bensì caratterizzata dalla concreta ed attuale capacità di offrire e proporre modelli normativi e progetti che consentano di dare soluzione pratica ai problemi ed ai bisogni contingenti della collettività, seppure filtrati e valorizzati sulla base di una determinata propria “visione del mondo”.
In tale prospettiva, si apre per i cattolici un vastissimo nuovo campo di azione da condividere con tutte le formazioni di ispirazione cristiana, oltre che con il mondo del laicato sensibile ai valori evangelici ed a quelli della dottrina sociale della Chiesa. A patto, però, di rinunciare a procedere in ordine sparso od a porsi in posizione subordinata e precaria all’interno dei tradizionali partiti politici: assumendo, invece, un attivo ruolo movimentista capace di veicolare dal basso le istanze e le problematiche dell’attuale dinamica sociale e di rappresentarle in concrete ipotesi economiche e normative di rinnovamento.
Perciò, non è condivisibile la tesi secondo la quale “al momento storico che stiamo vivendo” non appartenga più l’idea della diretta partecipazione politica dei cattolici “in quanto tali” e che sia addirittura doveroso “degiuridicizzare il loro impegno”.
Al contrario, sembra necessaria, la loro discesa in campo in modo ancora più penetrante, diretto e coinvolgente fino ad assumere le vesti di un vero e proprio movimento popolare che, rimanendo ben radicato su principi fondanti non –negoziabili, riesca validamente a proiettarsi in modo concreto nel sociale per ivi esercitare, non già un’azione di mera contrapposizione ideologica e valoriale, bensì una decisa opera di mediazione e di aggregazione (et, et, et): sia in generale, nel quadro politico nazionale ed internazionale, sia, più specificamente, all’interno dello stesso mondo cattolico, oltre che, come già detto, nei confronti di tutte le altre forze che convergono nel naturale ed effettivo riconoscimento di determinati comuni modelli di sviluppo della società.
Tanto più, se si tiene conto del ruolo particolarmente qualificante che un tale movimento potrebbe svolgere proprio nel “momento storico che stiamo vivendo” sul quale incombono le ombre di un inquietante processo di annichilamento e di dissoluzione di ogni differenza identitaria, di appiattimento ed unificazione delle molteplicità (di lingue, popoli, culture, tradizioni e religioni), nonchè dell’affermazione del pensiero unico universale attraverso la costante opera erosiva indotta dalla forza uniformizzante della tecnica e dell’economia planetaria.
Quindi, volendo concludere il commento allo articolo giornalistico dal quale abbiamo preso avvio, appare quanto mai improprio ed inopportuno l’invito al “silenzio” rivolto al popolo dei cattolici i quali, ad avviso dell’esimio autore, dovrebbero astenersi dal partecipare all’attività politica e “degiuridicizzare il loro impegno” .
A questo punto viene alla mente il famoso ammonimento che il giurista rinascimentale Alberico GENTILI diresse ai teologici del suo tempo (“silete theologi in munere alieno”). Solo che quell’invito perentorio, con il quale veniva suggellata la fine delle guerre di religione rivendicando il primato dei giuristi sul piano della politica e del diritto ed aprendo, così, il mondo occidentale all’affermazione dello “jus publicum Europaeum”, oggi viene incautamente rivolto agli stessi giuristi, seppure limitatamente a quelli definibili come cattolici dal punto di vista “antropologico”: ciò mentre si assiste alla drammatica scomposizione della società globale in quella che R. DANRENDORF definisce “una comunità incoerente tra individui atomizzati”. In una fase di trasformazione epocale, che ha più che mai bisogno di ri-ordino e di una nuova governance costruita su precise regole normative, appare, quindi, quanto meno paradossale voler relegare in una dimensione meramente “visionaria” e “a-giuridica” (da adattare alle contingenti dinamiche del presente) proprio i cattolici i quali, per natura e vocazione, sono ontologicamente chiamati a dare testimonianza concreta degli immutabili e non relativizzabili valori sui quali si fonda la loro identità e ragion d’essere.
Nel presente momento storico, in cui il “potere” tende sempre di più ad essere esercitato in modo da incidere sulle stesse menti degli individui, indotti a credere di scegliere liberamente quel che (parafrasando P.M. FOUCAULT), invece l’attuale “governante” giudica debba essere fatto, è divenuto quanto mai accentuato necessario l’impegno di tutte le entità collettive, in particolare dei cattolici e di coloro che trovano ispirazione nei principi cristiani, affinchè, prendendo posizione attiva nell’organizzazione della cosa pubblica, esse possano contribuire alla “creazione” di regole e normative idonee a superare quello che, già negli anni ’70, il giurista Carl SCHMITT, intravedeva come il baratro “che separa il progresso morale e dei costumi da parte dell’umanità dal suo progresso tecnico ed industriale”.
Senza, con ciò, “strumentalizzare”, bensì, fare semplicemente in modo da “concretizzare” gli insegnamenti della Chiesa.
Carmelo Rinaudo