Il 70% degli italiani considera il ruolo dei corpi intermedi strategico per uscire dall’attuale situazione di emergenza e permette al Paese di ripartire. A dirlo è la prima indagine sui corpi intermedi realizzata da Ipsos e promossa dalla Fondazione Astrid e dalla Fondazione per la Sussidiarietà, che stanno conducendo un più ampio lavoro di studio che sarà pubblicato nei primi mesi del 2021 – e a cui sta collaborando anche Percorsi di secondo welfare – su ruolo, problemi e compiti dei corpi intermedi nella società e nella democrazia italiana. La ricerca di Ipsos è stata presentata il 15 ottobre al CNEL da Nando Pagnoncelli e Andrea Scavo, e successivamente commentata da Tiziano Treu, presidente CNEL, Giuditta Alessandrini, professore ordinario Università RomaTre e Fondazione Astrid, Franco Bassanini, presidente Fondazione Astrid, Lorenza Violini, costituzionalista e responsabile dipartimento PA Fondazione per la Sussidiarietà, e Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Di seguito qualche spunto a partire dai dati presentati.

Luci e ombre

Pagnoncelli e Scavo hanno spiegato come la visione degli italiani sui corpi intermedi presenti luci ed ombre “sia in termini di fiducia accordata sia rispetto alla percezione della loro importanza, di come questa è cambiata negli ultimi anni e di come è destinata a cambiare in futuro”. Il quadro della fiducia vede infatti la maggior parte dei corpi intermedi non riscuotere particolare consenso tra gli italiani. Con l’eccezione di tre categorie – associazioni di volontariato (in cui il 72% degli intervistati dice di avere fiducia) seguite dalle associazioni di tutela dei consumatori (61%) e nelle fondazioni culturali (58%) – i corpi intermedi – come ad esempio sindacati, partiti, ordini professionali, camere di commercio, pubbliche amministrazioni e cooperative – hanno un gradimento inferiore al 50%.

Gli italiani riconoscono comunque ai corpi intermedi numerose funzioni importanti per la nostra società, tra le quali spiccano quelle di “collegamento tra le istituzioni e la cittadinanza nella rappresentanza di interessi altrimenti inascoltati” per “contribuire alla crescita e al benessere sociale dell’intero Paese” (41% delle risposte) e “supplire alle carenze delle politiche pubbliche e dei servizi pubblici” (34,2%).

La ricerca riporta percezioni diverse sulle organizzazioni prese in considerazione. Ad esempio, mentre il Terzo settore è considerato ormai indispensabile al buon funzionamento dello Stato sociale e dei servizi ad esso correlati, sul sindacato si registrano invece posizioni polarizzate: per alcuni intervistati è tuttora decisivo, per altri troppo indebolito nel corso del tempo e oggi ininfluente. Sul fronte dell’attività degli enti pubblici, sia nazionali che regionali, sono soprattutto la lentezza dei processi decisionali (26,4%) e il costo economico percepito per il mantenimento delle istituzioni rappresentative a suscitare malcontento; in generale dell’ordinamento democratico viene però apprezzata soprattutto la tutela delle libertà fondamentali. Per quanto riguarda le associazioni imprenditoriali, benché non godano di particolare fiducia da parte degli italiani, la loro importanza è considerata in crescita negli ultimi anni e, soprattutto, si ritiene che essa aumenterà in futuro.

Partecipazione, prima e dopo la crisi del Covid-19

Più di un terzo degli italiani si dichiara “socialmente attivo” (34,5%), cioè iscritto o partecipe delle attività di almeno un corpo intermedio tra associazioni, sindacati (le voci più frequenti), ordini professionali, movimenti, partiti o associazioni imprenditoriali. A motivare la partecipazione in molti casi è il perseguimento di interessi particolari. Il dato è chiaramente influenzato dalle posizioni di chi è iscritto a gruppi di rappresentanza degli interessi organizzati (sindacati, associazioni imprenditoriali e ordini professionali), chiaramente più sbilanciate verso la motivazione della tutela dell’interesse particolare. Sono invece prioritarie tra gli iscritti ad associazioni, movimenti e partiti, al contrario, motivazioni legate all’idea della partecipazione collettiva alla vita sociale del Paese, e assume più importanza anche il desiderio di condivisione e la componente passionale. Tra gli iscritti alle associazioni, in particolare, le ragioni della partecipazione è legata al desiderio di essere utili e alla gratificazione per l’attività svolta in favore degli altri.

Il tema della partecipazione dei giovani appare particolarmente interessante e, al contempo, preoccupante. L’idea diffusa tra gi intervistati è che i giovani tendano a partecipare molto meno alla vita politica e sociale rispetto alle generazioni precedenti, mossi da una prospettiva più individualista e materialista, ed è forte la convinzione che la loro partecipazione, oltre ad avere minore intensità, assuma oggi forme del tutto inedite, in primis strutturate intorno alla rete. La situazione non cambia neanche se si considerano le situazioni di emergenza: “nemmeno in questo caso i giovani di oggi sono considerati più propensi alla partecipazione o generosi in tal senso”. Colpisce, in particolare, il fatto che” gli stessi giovani condividano queste opinioni: mettendo a confronto le loro risposte con quelle del campione complessivo non si registrano infatti differenze significative in nessuno degli ambiti testati”.

Da segnalare è anche il focus sulle nuove modalità con cui oggi si può partecipare alla vita dei corpi intermedi: “i social hanno assunto un peso crescente come canale di informazione, strumento di ascolto delle esigenze e di erogazione diretta di servizi. Tuttavia, se da un lato se ne riconoscono i meriti in termini di una partecipazione più diffusa e veloce, si sottolinea il rischio che ai social venga attribuito un ruolo sproporzionato, con l’illusione che essi possano sostituire in toto altre forme di condivisione e di rapporto diretto”.

Infine uno sguardo alla partecipazione potenziale nella fase post-crisi, in cui tende a prevalere un certo pessimismo: la quota di chi ritiene che la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale del Paese aumenterà non raggiunge infatti il 25%, mentre più del 30% prevede invece una riduzione.

Strategici per il rilancio, nonostante tutto

Nonostante le luci e le ombre sopra segnalate, guardando al futuro e alla fase di uscita dall’emergenza il ruolo dei corpi intermedi è considerato rilevante da 7 italiani su 10: il 51,7% degli intervistanti lo ritiene “abbastanza importante”, mentre il 19,9% “molto importante”; tra i “socialmente attivi” i dati salgono rispettivamente al 55,5% e al 25,3%.

Dai corpi intermedi, nonostante la poca stima di cui attualmente godono, gli intervistati si attende infatti che possano essere portavoce di bisogni ed esigenze dei cittadini che altrimenti rimarrebbero inascoltate (35,3%), integrare l’azione delle istituzioni e amministrazioni pubbliche o di supplire alle loro carenze mediante interventi diretti a favore delle famiglie e dei cittadini in difficoltà (28,3%), mediare tra le autorità di governo e i cittadini (22,2%).

Secondo il campione analizzato nei prossimi anni andranno affrontate anzitutto le conseguenze economiche del lock down e le tensioni sociali che una crisi duratura e un aumento della disoccupazione potrebbero acuire. In questo senso, gli italiani ritengono che gli ambiti in cui saranno necessari maggiori interventi saranno quelli degli aiuti alle famiglie in difficoltà economica (52,9%), dell’assistenza agli anziani (39,7%) e del sostegno alla ricerca di un lavoro (34,3%). Proprio in tali direzioni dovrebbero andare gli interventi dei corpi intermedi.

Sintesi della ricerca ( CLICCA QUI )

Pubblicato su Percorsi di Secondo Welfare ( CLICCA QUI )

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