Voglio spiegare perché, a mio giudizio, da parte di due autocrati imperialisti e pericolosi per la pace e la democrazia (Trump ed Erdogan), con la connivenza silenziosa di un terzo simile sodale (Putin,) e nell’acquiescenza volgarmente dovuta a ‘ragioni economiche’ dei paesi liberi dell’Europa, si è messo fine a un importante esperimento di pacifica coesistenza multietnica (divide et impera).
Mi riferisco alla brutale aggressione turca contro la regione curda abitata da circa cinque milioni di persone: il Rojava, occidente in curdo, riferendosi alla sua posizione geografica. È il territorio più ad ovest del grande Kurdistan, la madrepatria dei curdi, che insiste su aree di Turchia, Iran, Irak e Siria (vi vivono in totale circa 30 milioni di curdi).
Nel 2012, all’inizio della guerra civile siriana, i curdi hanno gettato le basi di una forma di organizzazione politica basata su comunità confederate e autogovernate. Questa realtà è documenta da Debbie Bookchin, in molti articoli sul New York Review of Books e nel libro, da lei curato, degli scritti di suo padre (The next revolution), il filosofo Murrray Bookchin morto nel 2006, al cui pensiero ha anche attinto il leader curdo Abdullah Öcalan.
I curdi hanno aperto la strada “a un sistema politico pluralista e multietnico, unico nella regione, in cui arabi, siriaci, turcomanni, curdi e altri gruppi etnici condividono i posti di potere e governano le comunità autonomamente all’interno di una più ampia rete democratica, Considerano questo modello (che chiamano Il Progetto) l’unica speranza per una pace e una stabilità durature e cercano di lavorare con Damasco per ottenere il riconoscimento all’interno di una Siria confederale”. Infatti nel Rojava si è verificata, come mai prima in questo territorio, una vera collaborazione tra le varie comunità, invece di contrapposizioni degli uni contro gli altri , politica favorita in passato dagli Assad.
Del resto il citato motto latino del «dividi e conquista» vuole significare che la divisione, la rivalità, la discordia dei popoli soggetti giova a chi vuol dominarli. Ieri il regime degli Assad , oggi i citati politici che giocano sulla vita delle popolazioni e probabilmente ancora Assad. E poi diciamolo: in una crisi economica mondiale costruire e vendere armi…è un volano di sviluppo per gli stati produttori (per inciso: lo facciamo anche noi italiani con Leonardo e le imprese bresciane, oltre che in Sardegna con una ditta tedesca. A proposito che fine ha fatto il promesso blocco di vendita di armi italiane ad Erdogan?). “Non abbiamo più occhi per piangere per quanto sta avvenendo”, ha affermato sulla vicenda curda il 15 ottobre scorso il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. “In questo momento invece di raggiungere scopi di pace”, ha affermato, “finiscono per concentrarsi armi, guerre e lotte”.
“Il Progetto dei Rojava –ricordava la Bookchin su Internazionale del 24 maggio 2019- si basa su una idea di uguaglianza economica, politica, culturale , di genere ed educativa, che un giorno potrebbe trasformare la società siriana. Diritti delle donne, coscienza ecologica e democrazia dal basso sono i tre pilastri su cui si basa il «contratto sociale»”
Da aggiungere che i leader del Kurdistan siriano hanno sempre invocato in passato un supporto al progetto da parte degli stati che hanno combattuto, tramite principalmente loro, il cosiddetto califfato dello stato islamico. E il supporto si è visto: un brutale tradimento e l’interruzione di un esperimento di convivenza confederale tra diversi (plura in unum, diceva La Pira). Come si può fidarsi di tali voltagabbana, seminatori di morte e sofferenze di innocenti, che perseguono la diabolica politica della divisione? E il diavolo, si sa, è colui che divide o, in senso metaforico, calunnia. E purtroppo sappiamo che in politica è frequente questa attitudine (si pensi anche alle fake news). Inoltre tali leader curdi hanno sempre detto che se l’occidente democratico non avesse aiutato la loro politica inclusiva lo stato islamico sarebbe tornato con maggior forza di prima. Del resto cellule ‘dormienti’ dell’ Isis sono molto attive. Lo sanno bene in Iraq dove dal dicembre 2017, quando lo stato islamico fu ufficialmente sconfitto, hanno condotto centinaia di attacchi, con morti, rapimenti, distruzioni.
Infine voglio ricordare che le guerre in Iraq e Siria hanno portato ad un’altra conseguenza. La scomparsa della maggioranza dei cristiani e la loro probabile estinzione futura se le cose vanno avanti come sembra.
Cito i dati dell’associazione tedesca per le popolazioni minacciate (GfbV), con sede a Göttingen, come da rapporto reso pubblico il 19 giugno scorso.
In Iraq, nel periodo anteriore alla prima guerra del 1991, costituivano il 10% della popolazione. Nel 2003 erano circa 1.500.000 e rappresentavano poco più del 6% degli abitanti del paese. Oggi si stima siano soltanto 150 mila, lo 0,4% della popolazione. I cristiani, dopo la caduta di Saddam Hussein in Iraq, sono stati costantemente oggetto di rapimenti e di omicidi da parte delle bande terroristiche musulmane. Dal 2003, migliaia di cristiani sono stati uccisi. Almeno 70 chiese sono state completamente distrutte dai bombardamenti. Delle 500 chiese in Iraq ne sono rimaste aperte soltanto 57. Lo Stato non protegge i cristiani, anzi, attraverso le leggi e le politiche scolastiche, favorisce l’islamizzazione del paese.
In Siria – sempre secondo il rapporto – vivono attualmente tra i 500 e i 700 mila cristiani, con una diminuzione del 50% rispetto al 2010. Si sono trovati al centro dei due fronti contrapposti, dell’esercito siriano e dei gruppi di opposizione tra cui gli islamisti armati, sostenuti in parte dalla Turchia, che sono intervenuti contro di loro brutalmente con esecuzioni, omicidi e stupri. Secondo l’associazione, il regime del presidente Bashar al-Assad garantisce ai cristiani il diritto al libero esercizio della religione, ed è questa la ragione per cui la maggioranza di loro preferisce una vittoria delle truppe governative sull’opposizione dominata dai Fratelli musulmani sunniti radicali.
Carlo Parenti