La campagna di odio che sta investendo Liliana Segre pone la questione del razzismo in modo grave ed urgente. Del resto, attestata da una lunga e serpeggiante serie di altri episodi. Non ultimo il pallone calciato da Balotelli sulla curva degli “ultra’” a Verona. Vicenda che segnala l’ insediamento preferenziale del razzismo tra i più giovani.
In particolare, in aree della tifoseria estrema di cui spesso sembra rappresentare un elemento identitario. Peraltro, tifoserie in cui – come mostra quel che ne è seguito – è frequente l’ insediamento della destra estrema.
Connessione certo non casuale.
Due versanti accomunati nel segno di un estremismo fanatico che – secondo la regola per cui prima si è o si diventa fanatici, cioé si assume questo abito mentale, solo poi si sceglie l’oggetto su cui scaricare questa particolare postura psicologica – trovano il loro punto di congiunzione nel razzismo.
Così si creano e si spiegano i corto- circuiti che mettono insieme politica, tifo calcistico e razzismo – campi tematici ognuno dei quali dovrebbe, nel bene o nel male, rappresentare un dominio separato – in un nesso inestricabile, cementato da un elemento comune che riconduce ad una ricerca tanto affannosa quanto inconcludente di un qualche fattore di identità personale che evidentemente non si è riusciti ad elaborare altrove, a cominciare dal contesto affettivo ed educativo della famiglia.
Dietro fenomeni del genere sembra di cogliere un mare di solitudine ed i suoi effetti devastanti soprattutto su tanti giovani.
Convergono su un surrogato identitario – ad esempio, i colori di una squadra di calcio o, peggio ancora, le insegne di una ideologia politica devastante – lo trasformato in un feticcio, al suo cospetto si affastellano gli uni sugli altri come volessero rompere la crisalide che li imprigiona e li separa, eppure restano sostanzialmente e reciprocamente impermeabili.
La violenza verbale e fisica, l’ingiuria, la derisione dell’avversario, anzi del nemico, fino alla punta estrema dell’odio razziale, hanno molto a che vedere con questa profonda solitudine interiore e sono difficilmente estirpabili nella misura in cui finiscono, purtroppo – altro che goliardia – per rappresentare la degenerazione ed una sorta di avvitamento retrogrado di una domanda vitale di relazione e di reciprocità, disattesa e tradita dal contesto civile in cui viviamo.
Dovremmo chiederci perché processi del genere persistano in società secolarizzate ed aperte, dotate di straordinarie opportunità’ e strumenti di comunicazione, arricchite (?) dalle nuove percezioni di spazio e tempo offerte dalla globalizzazione, orientate verso quegli sviluppi scientifici e tecnologici che dovrebbero dar conto dell’intrinseca razionalità del mondo. Al contrario – e non solo da aree di disagio sociale o economico – esondano incontenibili tempeste emotive che evidentemente attestano frustrazioni connesse a dimensioni interiori ben più intime e riposte.
Va messa in conto quella crisi della trascendenza – tipica del nostro tempo – che costringe la vita nell’orizzonte circoscritto di una immanenza spesso asfittica, soprattutto a fronte di quella vitalità sorgiva e prorompente dei giovani che evidentemente e contro ogni apparenza, non e’ soddisfatta dalla logica dei consumi. Cavalcare questi sentimenti, sfruttarli, strumentalizzarli, manipolarli è un gioco da ragazzi; tanto facile quanto da irresponsabile.
Eppure, il populismo si nutre anche a queste sorgenti. Sfrutta la fragilità psicologica di chi, sentendosi esposto ad una sorta di precarietà ontologica, cerca un ancoraggio e crede di trovarlo in un capo carismatico oppure in una dottrina che spaccia per vera una semplificazione fasulla di situazioni e processi di cui, al contrario, si dovrebbe essere educati a comprendere l’intensità e la ricchezza, per quanto ammantate da una complessità che, a prima vista, scoraggia e respinge.
Una certa destra in questi stati d’animo ci sguazza e non si rende conto di quante vittime lasci sul campo.
Ma spetta a tutti interrogarsi a fondo sulla condizione esistenziale dei giovani e sulle politiche necessarie ad assicurare loro le condizioni di una maturazione equilibrata e sicura in un mondo oggettivamente difficile.
Domenico Galbiati