Educazione, istruzione, formazione, conoscenza e competenza, merito nella selezione delle risorse umane sono il perno dello sviluppo.

“Quali prospettive potrà avere questo Paese senza i giovani e le giovani donne, risorse inutilizzate e trascurate che lasciamo, inerti, andar via e che invece rappresentano il nostro futuro?”. “Voi avete avuto un futuro, dovremmo e vorremmo averlo anche Noi”. “I ragazzini ci ascoltano, anche quando a noi sembra che non lo facciano. Ed è ciò che sentono, non solo con le orecchie, l’unica eredità che riusciamo a trasmettere” (Massimo Gramellini).

L’attuale grande difficoltà dei giovani, dopo i 25 anni, aggravata dalle decisioni assunte dal Governo nell’ambito della strategia anti pandemica, soprattutto ad inserirsi nel mondo del lavoro li porta a patire marginalità sociale, a vivere uno status che riguarda non solo il lavoro, ma anche capacità a formare una stabile famiglia, abitazione, reddito, ricchezza, credit crunch, e previsioni che tendono a compromettere anche il loro futuro.

Una dirigenza politica idonea e competente, attenta a diritti, doveri, giustizia e riduzione delle diseguaglianze dovrebbe concentrarsi sul rapporto tra “giovani e lavoro” con laicità, caparbietà, capacità di ascolto: l’attuale Governo, in questa difficile fase della nostra vita pubblica, lo saprà fare? Lo vorrà fare? Lo farà? Attendere, prego.

Serve ricordare che, contemporaneamente agli investimenti, deve venire la spasmodica attenzione sul capitale umano seguendo il percorso virtuoso composto da sei fasi: “Educazione, Istruzione, Formazione, Specializzazione, Selezione ed infine Azione” quale ottimale risultato del processo.

Quello che ci si attende, adesso, da una dirigenza politica e da una classe imprenditoriale responsabile non è il catalogo inventariale dei problemi irrisolti; quanto piuttosto la proposta in merito alle linee di un disegno organico di interventi, da sistema Paese, che sia percepibile dall’opinione pubblica, che sappia misurarsi sull’orizzonte di una fine legislatura e determini il massimo di condivisione e velocità su un cammino di effettiva indispensabile messa a regime di misure funzionali a politiche di sviluppo e di crescita, nonché equa ripartizione della ricchezza per il Paese nella sua interezza con attenzione alla sostenibilità ed al Bene Comune.

Per poter accedere ai Fondi del Next EU generation dovremo, come sistema Paese, compiere due specifici sforzi: il primo programmatico, fare proposte di riforma credibili e concrete ed il secondo attuativo, realizzarle nei tempi che avremo indicato. Programmaticamente; purtroppo, di proposte serie, programmatiche e condivise, alla data di stesura delle presenti note (12 luglio 2020), non c’è traccia (Maurizio Ferrara, I Giovani e la lista d’attesa, Corriere della Sera, 11 luglio 2020) . L’unica strada non ancora percorsa appare a chi scrive quella più opportuna: ascoltare e far proprie le indicazioni concrete provenienti dall’Unione Europea.

E’ la formazione di una visione che, diventando progetto, consenta, con realismo, di traguardare i risultati che si vogliono ottenere con la execution, rispondendo alle cinque domande: “Cosa, come, quando, con chi, con quali risorse?”

Chi scrive ritiene che questo progetto dovrebbe prevedere che le risorse tutte, ma quelle di provenienza europea in particolare, vengano usate, coerentemente con obiettivi tematici e criteri puntuali, contestualmente sia per contribuire a risolvere i problemi dell’emergenza sanitaria, economico\finanziaria, sociale sia per affrontare i costi delle iniziative\prospettive che si devono individuare.

Obiettivo strategico di questa visione: rifarsi alla cifra distintiva del dopoguerra basata su crescita economica generata da una diffusa imprenditorialità e distribuzione sociale della ricchezza, ispirata dalla rinnovata Dottrina Sociale della Chiesa teorizzata da Giovanni XXIII° e Paolo VI°; (da una riflessione di Antonio Piraino su Politica Insieme CLICCA QUI ); tornare ad una vera Economia Sociale di Mercato; ottenere che chiunque, in Italia, abbia voglia e capacità di lavorare possa incontrare una offerta di lavoro compatibile con il proprio percorso di istruzione\formazione, possibilmente senza dovere emigrare rispetto alla propria regione di appartenenza; strumento strategico: l’esigenza prioritaria ed ineludibile di tendere ad eliminare la disparità tra Nord florido e Sud in affanno del Paese.  Il primo luglio 2020 la Commissione europea ha formulato una proposta che faremmo bene a recepire subito: in funzione della lotta alla disoccupazione giovanile: il rafforzamento della Garanzia Giovani, iniziativa attiva dall’anno 2014, destinata ai trentenni NEET, che non studiano e non lavorano, declinata con successo in  molti paesi d’Europa, decisamente trascurata in Italia; rafforzamento interpretato come “ponte verso il lavoro” che partendo dalla scuola secondaria favorisca alla fine del percorso, l’inserimento nel mondo del lavoro tirocini ed offerte mirate; l’Unione Europea, con questa proposta, vuole attivare un canale privilegiato di accesso ai nuovi fondi, consistenti, per questo canale, in circa 700 miliardi in Europa, ma l’Italia, con i suoi numeri, è candidata ad assorbirne quote importanti, se solo decidesse di occuparsene, per interesse; facendo di più e meglio di quanto fatto fino ad ora, magari anche, come suggerisce la Commissione, sfruttando gli incentivi fiscali, per alimentare la “domanda di lavoro”, soprattutto nel Mezzogiorno; in linea con il quarto principio del Pilastro europeo dei Diritti Sociali e con il primo articolo della nostra Costituzione.

I giovani in Italia sono sempre meno, cioè, secondo un recente studio pubblicato da Neodemos, il 34,1% della popolazione, contro una media europea del 39%; le cause: la diminuzione, ormai strutturale e l’emigrazione, dal Mezzogiorno verso il Nord, dal Nord verso l’estero, meta prediletta Londra; in Italia, nell’anno 2019, il 33% dei giovani residenti nel Mezzogiorno, tra i 20 ed i 34 anni non lavora, non studia, è fuori da qualunque percorso di inserimento o di apprendistato anche si stima a causa delle molte barriere create dagli adulti  dagli anziani; si tratta di 3.078.000 persone,  circa 728.000 sono madri, circa 100,000 sono padri; in Europa, nella stessa situazione, in acronimo inglese Neet, si trova un giovane su sei, pari al 16,5%; la percentuale di popolazione tra i 24 ed i 34 anni il cui unico titolo di studio è il diploma di scuola media in Italia è pari al 41% contro una media Europea del 20%; gli italiani tra i sedici ed i settantaquattro anni che, nell’anno 2019, dichiaravano un alto livello di competenza digitale erano il 19% a fronte di una media europea del 31%;   le quattro regioni Europee con il più basso tasso di occupazione sono ubicate nel Mezzogiorno di Italia; l’ultima è la Sicilia; tutto quanto sopra reso più complesso, come detto in premessa, non tanto dal fenomeno della immigrazione a mezzo sbarchi clandestini ma dal fenomeno della emigrazione giovanile acculturata; infatti gli immigrati clandestini dall’inizio dell’anno 2019 ai primi di Gennaio 2020 sono, secondo la UN Refugee Agency, circa 11.000;

Gli emigrati all’estero, nell’anno 2018, ultimo dato certo disponibile, secondo rilevamento Istat 2019, sono stati circa 117.000 giovani della fascia anagrafica 25\44 anni, per lo più con titoli di studio di livello superiore; (ogni giovane laureato è costato allo Stato cifra vicina ai 150.000 €; i giovani, oggi, in Italia, sembrano i soccombenti del mercato del lavoro: sottooccupati, sottopagati e Neet, con discriminazioni di genere e di territorio; per chi riesce a sfuggire alla disoccupazione, le retribuzioni italiane, rispetto a quelle dei Paesi più frequentemente destinazione di questo fenomeno migratorio, sono più basse.

Secondo altre fonti, fra i quindici ed i trentaquattro anni negli ultimi dieci anni hanno lasciato l’Italia quasi duecentomila ragazzi, secondo il Rapporto 2019 della Fondazione Leone Moressa; la ragione identificabile nella ricerca di merito e nella percentuale di occupazione; in Italia il tasso di occupazione dei giovani di età intercorrente tra i quindici ed i ventiquattro anni è pari al 17%, quello dei loro coetanei residenti all’estero si attesta al 51%; il rapporto citato stima che il mancato Prodotto Interno Lordo sommato all’investimento realizzato dalle famiglie e dallo Stato in istruzione e formazione supera ampiamente i sedici miliardi di Euro.

La situazione italiana nel luglio 2020: una popolazione che diminuisce di numero, sempre meno giovani che restano tali più a lungo, fra di loro un numero basso di laureati, tra i laureati un numero elevato di soggetti che emigrano verso altri Paesi europei alla ricerca, per lo più soddisfatta, di più favorevoli opportunità.

La compresenza dei tre fenomeni realizza una situazione di potenziale decrescita, per nulla felice, per il futuro del Paese Italia.

Che modello di sviluppo scegliere per contrastare questo trend? Grande attenzione alle cinque E: etica, economicità, efficacia, efficienza, eccellenza. Poiché oggi qualunque visione\progetto deve elaborarsi avendo come cornice le regole europee è giusto premettere che la strategia europea per l’incremento dell’occupazione è stata storicamente fondata su quattro obiettivi:

  • l’occupabilità, ovvero il tentativo di ottenere che i soggetti in cerca di lavoro dispongano delle competenze opportune;
  • l’imprenditorialità, ovvero il tentativo di agevolare da parte degli stessi soggetti la costituzione di imprese e l’assunzione di dipendenti;
  • l’adattabilità, ovvero il tentativo di sviluppare nuove e flessibili prassi lavorative;
  • le pari opportunità, ovvero il tentativo di garantire analoghe condizioni di accesso ai posti di lavoro e pari trattamento sul luogo di lavoro ad uomini e donne (Interessante ed importante il riconoscimento attribuito alla Ferrari).

Una strategia possibile potrebbe essere studiare i sistemi adottati dai Paesi europei adottabili come benchmarking, al fine di ispirarsi a misure idonee che ci consentano di invertire le tendenze sfavorevoli.

Tommaso Padoa-Schioppa, in un bell’articolo pubblicato il 21 gennaio 2001 sul Corriere della Sera, attribuiva la causa della maggiore disoccupazione rilevabile nelle aree del Mezzogiorno di allora ad errori compiuti in periodi precedenti dal sindacato e dal Governo; al sindacato imputava l’aver imposto la parità salariale ad un Mezzogiorno che, per livello dei costi, infrastrutture, livello di istruzione, servizi pubblici, sicurezza e giustizia, non era in grado di reggerla; ai governi imputava peccati di omissione in campo proprio, giustizia, sicurezza, strade, scuole, ed eccessi in campi altrui, investimenti industriali, sussidi ad imprese inefficienti; ed in entrambi i campi imputa di aver tollerato clientelismo, corruzione, sprechi.

Tornando all’attualità, il dualismo fa il resto: un Nord in cerca di operai che scommette sull’immigrazione ed un Sud ancora troppo immobile ed orientato al pubblico impiego, pur con punte di geniale eccellenza nella nuova economia; poi ci sono il sommerso (benevola distrazione, comprensione per una surrettizia scappatoia concorrenziale: così, spesso, viene vissuto questo inquietante fenomeno: invece si tratta di un prezzo altissimo che il Mezzogiorno ed i suoi Giovani pagano in termini di equità sociale), ammortizzatore sociale ipocrita di un’Italia che non vuole assumersi la responsabilità del suo status di Paese fondatore dell’Unione Europea, secondo Paese per manifattura in Europa, almeno fino allo scoppio della pandemia ad inizio dell’anno 2020 e le nuove ed eleganti forme di caporalato.

Serve, allora, concentrarsi su quello che può definirsi il paradosso italiano: quello di un Paese diviso in due, dove il Nord ha lavoro ma non ha propria mano d’opera, ed il Sud ha mano d’opera ma non il lavoro. Il dislivello di occupazione tra aree di uno stesso Paese è il più marcato d’Europa.

Il settore dei servizi, ed in particolare quelli che l’OCSE classifica come servizi al consumatore, alla collettività, alla persona, come ristorazione, assistenza agli anziani, solidarietà in Italia offre occupazione solo al 24% circa della popolazione in età da lavoro, quasi 10 punti in meno della media registrata in tutti i Paesi dell’OCSE, pari a circa il 33,6%. E’ opinione largamente condivisa che questo tipo di servizi potrebbe offrire alle economie dei Paesi Europei, importanti prospettive di incrementi occupazionali, per diverse ragioni: sono servizi relativamente protetti dalla concorrenza internazionale e da fenomeni di rilocalizzazione produttiva; alla loro produzione possono partecipare anche profili professionali relativamente poco qualificati, si tratta di servizi a domanda crescente, anche a seguito degli andamenti demografici e della nuova struttura di bisogni individuali e familiari.  Questi dati sono purtroppo, oggi, seconda metà dell’anno 2020, fortemente condizionati dagli andamenti del mercato conseguenti alle norme di contratto, Regione per Regione,  e all’emergenza sanitaria.

Quali sono i tappi che bloccano l’espansione di questo settore nel nostro Paese? Il tappo forse più resistente, pandemia a parte, è rappresentato dall’elevato cuneo contributivo e fiscale sulle retribuzioni più basse. Nelle Regioni meridionali è forte  l’incidenza dell’economia irregolare che rappresenta in termini di occupazione circa il 33% di quella regolare, contro il 13% del Centro Nord. L’economia sommersa non comporta soltanto evasione fiscale, sfruttamento dei lavoratori e concorrenza sleale tra le imprese,  comporta il venir meno dell’attività per cause conseguenti alla pandemia ed ai suoi provvedimenti di contrasto, ma allorquando sopravvive, è soprattutto il brodo di coltura nel quale si intrecciano criminalità ed economia a rappresentare il principale fattore di inquinamento della convivenza civile nel Mezzogiorno. Purtroppo, troppe, troppo parziali, incongrue, le misure adottate in questi anni per incentivare l’emersione. Il continuo mutare del quadro legislativo tende a premiare gli operatori più attendisti. Ogni intervento che voglia stimolare l’emersione deve essere percepito come duraturo da coloro i cui comportamenti si vuole modificare.

La soluzione di questo paradosso, in termini di pura convenienza per tutti gli interessati, sta nel rendere disponibili al sistema produttivo dell’intero Paese le risorse umane ad alto valore aggiunto presenti nelle aree del Mezzogiorno, prima che compiano la scelta della fuga; sta nella creazione di quel circolo virtuoso che induca le Imprese, soprattutto di più grandi dimensioni, a trovare conveniente investire nel Mezzogiorno. Per far questo, però, è, tra l’altro, indispensabile che le istituzioni facciano la loro parte rendendo appetibile, utilizzando correttamente gli incentivi disponibili, l’opzione di investire nelle aree del Mezzogiorno, attraverso un vero e proprio marketing del territorio e delle risorse umane che faccia preferire quest’area alle tante aree di altre Nazioni, oggi a caccia degli investimenti vaganti per il pianeta. Come pure è indispensabile che quelle imprese che vorranno attrarre le generazioni più giovani, e conservarle nei propri organici, debbano orientarsi ad offrire un lavoro attrattivo, che offra prospettive di carriera, possibilità di formazione, flessibilità ed autonomia, ed alla fine, compensi soddisfacenti, anche ricorrendo alla concessione di superminimi individuali.

Responsabilità frantumate fra molti Ministeri ma prive di un vero coordinamento da parte della Presidenza del Consiglio, i tempi della Pubblica Amministrazione incompatibili con le esigenze del mondo produttivo, gli elefantiaci e lentissimi controlli ex ante e l’enfasi altalenante, un giorno concentrata sulla questione lavoro e l’altro sulla questione sicurezza, stanno facendo dell’Italia il Paese schizoide con la legislazione più lungimirante d’Europa, ma anche quello dove maggiori sono le difficoltà nella gestione dei flussi regolari.

Quando si osserva anodinamente che in metà del Paese c’è una situazione di piena occupazione e nell’altra metà ci sono tassi dichiarati di disoccupazione del 30% si constata una verità che necessita di approfondimento: infatti, al Nord, la piena occupazione si accompagna ad una impossibilità per le imprese di crescere ulteriormente od ad una necessità di rivedere il modello di sviluppo di certe aree e di alcuni settori; al Sud una situazione apparentemente insostenibile è attutita, quando non pareggiata, dal lavoro nero e dagli ammortizzatori familiari (per ora, i nonni pensionati).

Contrariamente a quanto sopra osservato e proposto, ad oggi, manca quasi tutto per incrociare la domanda di mano d’opera con l’offerta: manca una politica sulla istruzione\formazione, sugli alloggi (l’ultimo Piano di edilizia popolare è stato promosso dal Governo Fanfani nel 1975), sui trasporti, ed inoltre servirebbe una rivisitazione contrattuale di tante figure che hanno bassi salari rispetto alle richieste, per ridare appetibilità a certe figure professionali; i “navigator” finora somigliano agli ectoplasmi). Poiché è, infatti, socialmente impraticabile la strada dell’emigrazione meridionale di massa, ai ritmi in cui avvenne negli anni 50 e 60, per portare i giovani dove c’è il lavoro, una delle possibilità operative è che il Governo dovrebbe farsi carico di tracciare e favorire la seconda opzione, portare, cioè il lavoro e gli investimenti dove c’è la mano d’opera disponibile, rendendo il territorio del Mezzogiorno appetibile, con congrua disponibilità infrastrutturale, con idee chiare su quale tipo di business sia opportuno sponsorizzare, nonché, se non si sa far di meglio, con vantaggi sui costi, del tipo agevolazioni fiscali e contributive; le ZES una buona idea solo se usate con questa ottica, attentamente mirata e non clientelarmente dispersa.

Secondo la più accreditata dottrina la strada maestra per tentare di risolvere il deficit di sviluppo delle regioni del Mezzogiorno, con conseguente miglioramento sostanziale della situazione occupazionale nell’area, passa dalla capacità di attrarre, per ragioni di convenienza, investimenti.

É ormai universalmente noto che le imprese multinazionali vanno a fare investimenti solo nelle aree i cui abitanti non hanno un’età media alta. Quindi la disponibilità di mano d’opera giovane del Sud dell’Italia, ove opportunamente valorizzata, potrebbe trasformarsi in opportunità. Ma solo colmando il gap in infrastrutture, formazione, selezione in base al Merito, sicurezza, costo del lavoro e carico fiscale che ci separa dalle altre aree europee che competono con il nostro Mezzogiorno nell’intento di attirare quote della massa di denaro che si sposta in cerca di investimenti convenienti, si può sperare di agganciare la ripresa internazionale ed uscire dalla fase in cui per raggiungere l’obiettivo bisogna usare le leve meno qualificanti.

La qualità delle relazioni internazionali è, oggi, in media, molto più elevata che in qualunque epoca precedente; mentre in passato i Paesi si limitavano a commerciare materie prime e prodotti finiti, oggi, praticamente tutte le fasi del ciclo di produzione sono esportabili ed importabili e, quindi, sono esportate ed importate.

Altro tema di rilievo, a livello nazionale italiano, come rilevato da molti osservatori,  è quello del reperimento di un criterio di misurabilità del valore aggiunto ottenuto dal lavoro nel pubblico impiego; valore aggiunto che dovrebbe far smettere di considerare il pubblico impiego, ancorché formalmente privatizzato, a seconda dei punti di vista, un peso per l’erario, una sinecura, una remora allo sviluppo, un porto per quanti non abbiano voglia di confrontarsi con le difficoltà delle altre forme di lavoro, una vacanza durante lo smart working, a tutto svantaggio di quei pochi che con il loro impegno consentono che non si verifichi la paralisi.

Ad alcuni osservatori e studiosi è sembrato che in tutte le iniziative e riflessioni sviluppatesi a più livelli, sia mancato un riferimento esplicito e un coinvolgimento dei cosiddetti millennials, della generazione z. Sono loro che avranno in mano questo nostro Paese tra non molti anni, e, forse, qualche idea utile potrebbero suggerirla; per la maggior parte, hanno idee nuove, capacità imprenditoriali differenti, modalità di presenza nel mondo del lavoro e dell’economia in grado di svecchiare procedure e ritmi. Stante quanto sopra, un proposito dovrebbe essere quello di aiutare i giovani a dare vita a nuove start up, impegnandoli e coinvolgendoli nelle scelte economiche, nei piani di sviluppo regionali e nazionali. Progettare per i giovani e le future generazioni e tendere alla competitività\produttività e coesione futura del Paese in termini di infrastrutturazione è politicamente più complesso che distribuire soldi a coloro che li richiedono

La dirigenza di un Paese quale l’Italia, di democrazia liberale rappresentativa operante in libero mercato nell’ambito della società occidentale, pungolato dalle proposte operate dalle task force interne, dovrebbe adesso superare i propri dualismi; dovrebbe far funzionare bene i propri meccanismi civili; dovrebbe saper ripristinare una maggiore flessibilità relativamente a lavoro, professioni, mestieri, casa, trasporti, servizi alla persona; nonché, dovrebbe smettere di considerare emigranti quanti si spostano all’interno dei propri confini, per evitare di compiere scelte politiche errate; in altre parole deve impegnarsi a garantire un’omogenea qualità della vita ai propri cittadini, a prescindere dall’area geografica nella quale si trovino ad abitare ed operare, dovrebbe tendere ad abbattere significativamente la percentuale dei disoccupati\inoccupati rispetto agli abitanti, tendere alla compressione del lavoro sommerso. E’ sul raggiungimento di questo obiettivo che deve chiedere di essere valutata

Il grande nemico da sconfiggere è la cultura dell’attesa: ci sarà qualcun altro che risolverà il problema. Bisognerebbe augurarsi che l’attuale Governo, deciso un modello di sviluppo, spinto da una visione di futuro, spinto dalla necessità di presentare pochi grandi progetti per macro aree e piani concreti all’Unione Europea per intercettare le somme del MES e del Recovery Fund, Next EU Generation, capace prima di rispondere alle domande “cosa, come, quando, con che, con chi?, divenga capace, infine, di realizzare la fase più impervia e divisiva: quella della execution, sulla quale dovrebbe chiedere di nuovo di essere valutato.

Bisognerebbe tentare di sensibilizzare quanti più possibile fra i decisori affinché il tema sociologico della marginalità dei giovani italiani entri nell’agenda del Governo: una legge quadro, che parta dalla reimpostazione del tema “Scuola,”in TUTTE le sue sfaccettature (non solo dal punto di vista della docenza, come spesso è avvenuto in passato, a scopo clientelare), prosegua con l’esame puntuale delle misure in vigore e da mettere in campo su Giovani, incremento delle conoscenze e competenze e lavoro, occupabilità, imprenditorialità sarebbe un buon inizio.

L’invito da fare alla dirigenza politica: “Tra il dire ed il fare c’è di mezzo soltanto il decidere”. Al riguardo, il vero problema consiste, oggi, nel fatto che, preso atto di questi dati terribile per la popolazione del Mezzogiorno e calabrese e siciliana in particolare, la dirigenza politica non resti chiusa in conclave per trovare i rimedi VERI, decidendo di uscirne soltanto allorquando avesse trovato ipotesi di proposte per soluzioni concrete, fattibili, definite nei tempi, nei modi e nelle compatibilità finanziarie; ed esse soluzioni abbia deliberate in dettaglio; invece tutto è continuato a trascorrere come prima, riscaldando panni tiepidi, aspettando Godot;  nessuna nuova idea, nessun modello, nessuna visione, nessun progetto, nessun piano, nessuna proposta, molti annunci proiettati in tempi biblici; nel frattempo le èlites e la società civile, media compresi,  tacciono per rispetto per il proprio “particulare”;

Sarà la dirigenza politica capace di un accordo interno talmente solido da convincere i partner europei a contribuire e finanziare le proposte di dettaglio predisposte alla bisogna? Quale la ragione VERA? Incapacità strutturale consapevole? Viltà? Servilismo? Becere tattiche elettorali? Complicità?

Un incubo. Sarà possibile scongiurarlo? Forse più facilmente possibile se la selezione del prossimo personale politico consentisse di attingere a nuovi serbatoi di Giovani “aristoi”, come Politica Insieme da temo propugna.

Massimo Maniscalco

 

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