Nei limiti del dato locale, la vicenda umbra è piuttosto istruttiva circa la concezione del ruolo delle forze politiche e la natura dei loro rapporti coltivata dal M5Stelle, nel segno della cosiddetta “scelta civica”.
Almeno così come la intende Di Maio che sembra concepire il rapporto con la società civile non come una risorsa – in effetti, a nostro avviso preziosa ed irrinunciabile per una effettiva rigenerazione del tessuto democratico e del suo stesso tenore morale – ma piuttosto come una polarità da contrapporre al sistema politico-istituzionale, secondo una forzatura dialettica tale per cui l’esaltazione della virtuosità della prima significhi di per sé scontata denigrazione del secondo.
Al contrario – soprattutto oggi per risalire la china della “disintermediazione” e dell’umiliazione dei corpi intermedi – è necessario creare, tra ambienti responsabili ed attivi della società civile e forze politiche, una relazione aperta e virtuosa in direzione biunivoca.
I partiti possono e devono attingere dal contesto civile una freschezza nuova, una maggior capacità di decifrare il tempo che viviamo, i timori, ma anche le speranze da collocare in una “visione” oggi smarrita.
Singole personalità o gruppi aggregati che si affacciano all’impegno istituzionale devono saper mutuare dai partiti criteri di valutazione, capacità di analisi, di lettura integrata degli eventi e di sintesi operativa che costituiscono la grammatica elementare della buona politica. Senza, peraltro, cadere in una concezione “naïf” che immaginando la società civile come una sorta di Eden, ne assuma un’immagine poco realistica e poco utile.
A sentire Di Maio parrebbe che – movimento o partito che sia – la prima funzione di una forza politica sia curiosamente quella di farsi da parte. A favore, appunto, della “società civile”, rappresentata, di volta in volta, da una persona competente, magari pure autorevole, ma nel contempo, immune da ogni contaminazione partitica ed, anzi, meglio se sufficientemente anodina dal punto di vista politico.
Non a caso, infatti, la ricerca del candidato diventa una sorta di gioco “a mosca cieca” dove i possibili attori della vicenda compaiono e scompaiono “ad horas”. Una qualche evidente connotazione di appartenenza ad un mondo ideale – soprattutto se tale da lasciare intuire una propensione politica già ben definita – può rappresentare il motivo di elezione al rango di candidato e, poche ore dopo, rovesciarsi nella ragione di superamento di tale ipotesi.
Si intuisce come sullo sfondo persista la convinzione che non esistano piu’ ne’ destra, ne’ sinistra. Assunto più volte rivendicato da Di Maio, ma che fortunatamente almeno il PD non condivide, per quanto debba stare al gioco della “scelta civica”.
Eppure tutto ciò non farebbe una grinza se accettassimo che la politica si risolva ( e si dissolva) nel teatrino delle apparenze e della comunicazione. Senonché tale andazzo – cui il PD plaude con animo grato, dopo la vicenda della Giunta Regionale pregressa – nasconde, invece, una abbondante, inaccettabile dose di ipocrisia. Presuppone una interpretazione manichea del rapporto tra classe dirigente politica e società civile gravemente diseducativa, soprattutto per i giovani che vengono frustrati ed allontanati da una concezione pregiudizialmente “sporca”
della politica ed, in definitiva, delle stesse istituzioni democratiche.
Da una parte la “casta”, il potere, il conflitto di interessi, l’agguato della corruzione, l’arroganza: dall’altra, la competenza, l’affidabilita’ la trasparenza, l’onestà.
Il sistema politico-istituzionale – salvo ovviamente gli “elevati” moralmente sopra le parti – è considerato la sentina di tutti i mali, una carta assorbente che ha attratto a sé ogni macchia, cosicché la società civile risulti, a maggior ragione, immacolata.
Senonché, a sua volta, è giustamente attraversata da interessi, conflitti e competizioni che fortunatamente concorrono alla sua vitalità.
Si tratta chiaramente di una lettura pretestuosa e, dunque, ingannevole, sorretta da un pregiudizio moralistico.
Del resto, quest’ultimo diventa necessariamente il “convitato di pietra” ogni qual volta la proposta politica e’ cosi’ evanescente da esigere un surrogato da sventolare per nascondere il vuoto.
La “scelta civica” alla Di Maio, d’altra parte, presiede non solo al rapporto tra forze politiche e societa’ civile, bensi’ anche alla relazione tra movimenti o partiti.
C’è chi intravede o preconizza una sintonia tra 5Stelle e PD tale da condurre ad una complessiva unità d’azione e qualcuno immagina perfino di più. Senonché, se non siamo ancora allo schema del famigerato “contratto”, ci siamo molto allontanati da un simile modello nel rapporto tra i nuovi compagni d’avventura?
Una “alleanza politica” contempla normalmente che gli elettorati dei soggetti politici in campo debbano
essere invitati a riversare il loro consenso su un candidato che sia espressione dell’una o dell’altra delle forze in gioco.
Nel caso specifico, però, pare che la “scelta civica” per i 5 Stelle sia stata funzionale anche ad evitare quella necessaria convergenza su un eventuale candidato del partito alleato che sarebbe stata avvertita come una contaminazione dell’ originaria purezza adamantina del Movimento.
Se son rose fioriranno e, del resto, una strategia “inclusiva”, se il PD ce la fa, nei confronti dei 5 Stelle, sarebbe meritoria. Infatti, se ci stanno, la difesa della tenuta democratica del Paese ha bisogno anche di loro.
Domenico Galbiati