La forte passione ecologica che spinge in piazza i ragazzi è un fenomeno “mondiale” solo se pensiamo il mondo ristretto a quello che chiamiamo occidente industrializzato. Con qualche venatura di colonialismo (“sono le economie emergenti quelle che inquinano di più”) e qualche confusione di obiettivi, che accomuna sotto l’etichetta “inquinamento” fenomeni molto diversi tra loro per manifestazione, cause e possibili rimedi: dal riscaldamento globale alla tutela ambientale.
La sensibilità verso l’ambiente è certamente positiva, fino a quando non sconfina nell’assolutizzare l’intangibilità dell’ambiente, anche a scapito dell’uomo, considerato quasi una presenza “abusiva”. Si profila forse una terza visione culturale? Oltre quella teocentrica e quella antropocentrica, l’era post-umanista delle macchine lascia spazio solo a una visione ecocentrica, più funzionale a un mondo in cui l’opzione preferenziale vada ai robot, che “non inquinano”?
Non si può non notare una forte sovraesposizione mediatica (qualcuno potrebbe leggerci una strumentalizzazione), che “spinge” i ragazzi fuori da scuola nei “venerdì climatici”, mentre vengono ignorate, da sempre, le Giornate Mondiali della gioventù, che hanno avuto costantemente presenze di milioni di giovani. Con un pizzico di malizia si potrebbe osservare che le nuove forme di protesta giovanile seguono un modello culturale che rinchiude nell’economia la visione del mondo, mentre le giornate giovanili cattoliche si propongono di offrire alle nuove generazioni una prospettiva più ampia, comprensiva della dimensione spirituale e trascendente.
La passione ecologica spinge verso nuovi modelli economici, capaci di superare le produzioni industriali in crisi per saturazione di mercato e aprire nuove possibilità di sviluppo. C’è oggettivamente il rischio di dividere il mondo in due, tra le nazioni occidentali che sono in fase di maturità produttiva e le nazioni emergenti, facendo aumentare le disuguaglianze, sia all’interno dell’occidente, che registra un numero crescente di poveri, sia negli Stati emergenti, in cui pochi oligarchi controllano l’intera economia mentre larghe fasce di popolazione sono nell’indigenza. Chi ha avuto la pazienza di leggere fino a questo punto, si starà forse chiedendo: che c’entrano i social network?
Guardando dall’esterno, si potrebbero considerare, come ai tempi delle “primavere arabe” un fattore di promozione delle idee e delle iniziative che promuovono nuove forme di libertà, di aggregazione, di democrazia.
Invito a riflettere su due punti: il primo è la forza della rete nel diffondere “parole d’ordine”, mobilitazioni intorno a sentimenti presenti nella cultura diffusa. Se i giovani temono (purtroppo a ragione) per il loro futuro, che vedono incerto e destrutturato sia nel lavoro che nella costruzione delle relazioni familiari, offrire un obiettivo asettico e motivante come la protezione dell’ambiente può servire a distogliere da obiettivi più stringenti. La risposta della politica, con programmi che prevedono tempi decennali per “curare” l’ambiente, evita di doversi confrontare con le sfide immediate e concrete riguardanti la cura dell’uomo, nelle sue attese di lavoro e nel suo diritto di essere sostenuto nelle fasi della vita di maggior fragilità.
Il secondo punto è che i social network stanno in questo momento verificando il loro potere di orientare comportamenti di consumo e di controllare allo stesso tempo il grado di risposta delle singole persone, attraverso sofisticati strumenti di profilazione. Il “nuovo modello di sviluppo” sarà determinato in funzione degli interessi economici di alcuni grandi centri di influenza. E’ superfluo ricordare che poche decine di persone detengono il 90% dell’economia mondiale?
Un’ultima osservazione: come già al tempo della chiusura delle centrali nucleari, e più recentemente riguardo al dibattito sui termovalorizzatori, i giudizi che le persone maturano confrontando le proprie opinioni attraverso la rete sono molto di più frutto di proiezioni emotive, di convinzioni culturali e ideologiche, che di razionalità e acquisizione di conoscenze accurate. E tutto questo prospetta un futuro in cui la libertà personale e la partecipazione democratica diminuiranno, pur nella cornice di una apparente maggiore autodeterminazione personale.
Andrea Tomasi