Ho visto un Uomo solo, malfermo sulle gambe, che con volto assorto, arrancava nel salire i gradini di una Chiesa nel silenzio personale e di una Roma, spopolata e stupita …

Ho visto un Uomo vecchio, curvo, dolente nel cammino, sotto la pioggia, solo, che fendeva il silenzio del vuoto di una grande, bellissima piazza…

Ho visto un Uomo seduto su una spoglia cattedra, immobile, con volto sofferente, ma sereno ad un tempo, che mostrava, in silenzio, in una omelia senza parole, con tutta la sua fisicità, il suo affanno …

Ho immaginato Gesù nel silenzio del deserto, sulla Montagna delle tentazioni, L’ ho immaginato, in silenzio, nel Sinedrio a non rispondere alle domande dei suoi accusatori, quando tutto si stava compiendo, …

Ho ricordato l’idioma, che tante volte si usa … “non ho parole”.

È tutto eccezionale: la Pandemia con l’oscurità della poca conoscenza, con le morti, e morte senza pietas, di tantissimi, con la lotta, spesso impari, di tanti uomini, ma, anche, la benedizione Urbi et orbi e la Pasqua, di per se stessa, ed in questa condizione.

Cosa vuol e può fare un Uomo di fronte a tutto ciò, se non mostrare, con tutta la sua corporalità silenziosa, la sua sofferenza, che lo avvicina a Quella vissuta dall’ Uomo-Dio, eppoi proclamare, all’unisono col suo dolore, la sua fede sincera, la sua dedizione, la sua fiducia in Dio, nella tempesta, La sua anima di credente lo trasla sulla collina di Megiddo, e da questa a quella del Golgota, ed, ancora, ad un passo dall’ingresso del Sepolcro, con l’Apostolo, che aspetta Pietro.

Egli esclama, nel suo silenzio, e dal profondo del suo silenzio, le parole degli Apostoli: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38), ma ricorda poi la risposta di Gesù, che si desta dal suo sonno tranquillo: “Perché avete paura” ed ancor più “Non avete ancora fede?” (v.40)

Il silenzio, l’amore del silenzio, la via del silenzio, ma anche i più laici “silent parties” o “quiet parties parlano a tutti, a tutti i cuori, in tutte le lingue, in tutti i momenti, in tutti i luoghi: esso è radicato nell’intimo della coscienza umana.

Una nuova cultura antropologica e sociale, lontana dal frastuono o un’esperienza radicata nell’intimo della propria coscienza? forse ambedue e comunque una dimensione inusuale, che ci interroga molto, e dal di dentro.

Silenzio, Silentium: una teoria etimologica per quanto dubbia, ma suggestiva, come riporta il Domenicano Alberto F. Ambrosio, fa risalire il suo significato, per una metatesi, al termine exilium, e da questo ad exil-ium, quindi silex (l’austerità e la durezza del deserto di roccia). E’, il silenzio, un esilio volontario della nostra coscienza nell’ austerità e nell’essenzialità di un deserto di pietra, come quello in cui Gesù si ritirò per quaranta giorni, nella depressione del Mar Morto e che oggi si attraversa in una mezzoretta di auto, lanciata a 100 chilometri orari.

Non ci si accorge nemmeno della sua esistenza, della sua desolazione, del suo caldo soffocante, passando su una strada asfaltata, che salta pure l’oasi di Gerico, non più funzionale al tragitto rettilineo della strada ad alta velocità.

In un mondo, che abbiamo voluto frastornato di mondanità, di parole gridate, ci dovevamo fermare, ritrovarne il senso del creato e di noi uomini, come creature, non come dominatori e mi riecheggiano i versi di Mariangela Gualtieri, la poetessa, che afferma la inadeguatezza della parola.

Questo ti voglio dire/Ci dovevamo fermare/Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti/Ch’era troppo furioso/ il nostro fare. Stare dentro le cose./Tutti fuori di noi./Agitare ogni ora – farla fruttare/Ci dovevamo fermare …/E non ci riuscivamo …

“Nel silenzio della Croce, parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto fino al dono supremo”, affermava Benedetto XVI*, nei silenzi di Francesco è la Chiesa universale che esce dalle proprie comodità e si essenzializza.

Amén**: fiducia, sincerità, impegno.

Alfonso Barbarisi 

* Giornata mondiale delle telecomunicazioni 2012;

** Parola filologicamente alla radice ebraica: alef, men, nun.

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