Il Coronavirus ha rimescolato tutto. Eppure, la politica e i politici continuano a leggere e, soprattutto, a parlare delle cose del mondo secondo i vecchi schemi.

Sappiamo tutti bene, invece, di ritrovarci tra i flutti sconosciuti della potenziale depressione economica e dell’arrivo di una diversa qualità delle relazioni interpersonali e sociali. Speriamo che almeno queste vedano un rinnovamento improntato alla solidarietà e all’amicizia umana, sociale e politica. Anche alla conoscenza e, cosa che riguarda particolarmente l’Italia nel suo complesso, all’intenzione di collocare l’innovazione al centro della necessaria, indispensabile ripresa, dopo l’esperienza maturata durante la costrizione imposta dal Coronavirus.

Traslato sul piano politico questo significa riscoprire il valore sociale dell’impresa, della dignità del lavoro, di tutto il lavoro e di tutti i lavoratori, dell’educazione delle nuove e delle vecchie generazioni.

Educazione personale, ma anche civica. Pure quella imposta dai nuovi strumenti digitali e produttivi. Tutte carenze che la pandemia hanno fatto venir fuori in maniera drammaticamente straordinaria.

Partito con il  Pio Albergo Trivulzio, il dopo Prima Repubblica arriva al capolinea proprio a seguito di ciò che riguarda la stessa casa di riposo milanese. E’ tornata ad essere l’emblema di tanti mali che continuano ad affliggerci. Se non fosse una cosa seria verrebbe spontaneo esclamare: chi di Trivulzio ferisce, di Trivulzio perisce.

Se allora furono le mazzette di Mario Chiesa a far precipitare un intero sistema, adesso sono le tante morti di anziani a richiedere l’urgente revisione di un metodo politico, di un regionalismo esasperato che ha contribuito non poco ad aumentare il debito pubblico e a mettere in seria crisi l’assetto istituzionale. Cosa confermata dal fatto che la mole più  considerevole del contenzioso portato dinanzi alla Corte costituzionale riguarda proprio leggi e decisioni  assunte a livello regionale.

Siamo di fronte ad un regionalismo da rivitalizzare perché fortemente politicizzato. Come fu per quelle cosiddette “rosse”, il leghismo ha provato e prova, nonostante gli evidenti insuccessi, a farne un strumento alternativo al modello nazionale. Un grimaldello dirompente, insomma, per riprendere la trama secessionista e provare a scardinare l’unità del Paese, seguendo una logica di parte, piuttosto che esplicitare l’ente regionale come effettiva occasione di partecipazione popolare e recepimento delle sacrosante istanze territoriali.

E’ soprattutto la gestione della salute pubblica a farci ritrovare con 20 sistemi diversi, un’infinità di spendaccioni centri di spesa, disequilibri tra le diverse aree del paese e, persino, con il cosiddetto “turismo” sanitario. Su tutto, emerge l’immagine della privatizzazione tradotta in un gran vantaggio per pochi e nella perdita di qualità per i molti.

Purtroppo, i problemi della sanità lombarda, adesso esplosi tra le mani della Lega meneghina, ma per certi versi è ragionamento che riguarda anche il Veneto, risalgono alla gestione di Roberto Formigoni. Un cattolico. Non uno qualunque. Uno, anzi, che avviò la propria ascesa politica ponendosi in maniera molto critica con la gestione della cosa pubblica da parte della Democrazia cristiana. Eppure, solo per restare in tema, proprio la Dc, grazie a Tina Anselmi, dette vita a un Sistema sanitario pubblico universale che molti altri nel mondo vorrebbero avere a disposizione.

Dopo Formigoni, la Lega ha proseguito su quella strada e ampliato un modello. Oggi letteralmente esploso sotto i colpi micidiali di un virus che ha fatto trovare impreparato il Servizio pubblico sanitario e, a maggior ragione, quello privatizzato.

Ovviamente, non ho alcuna intenzione di crocifiggere alcuno né, tanto mento, godere del fallimento di un modello tanto esaltato. A causa di quel fallimento, in effetti, si è sopraffatti nel vedere le bare, nel non riuscire a lenire pianti e sofferenze destinate a protrarsi nel tempo.

La magistratura farà il proprio lavoro, probabilmente doppio o triplo per non averlo fatto prima. Penso che anche la coscienza dei singoli interverrà a portare una parola di realismo e verità.

La mia è, e vuole restare, una valutazione politica. Una riflessione che porta a dire, proprio oggi che il nostro movimento è sempre più espressione di presenza nei territori, e con la determinazione di dare vita ad un “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana, come non basti dirci cattolici per avviare una presenza pubblica che si richiami alla Dottrina sociale della Chiesa.

Come diciamo nel nostro Manifesto ( CLICCA QUI ) vogliamo partecipare ad un processo di trasformazione, aperto a credenti e non credenti, sulla base del convincimento che quella Dottrina ha una forza universale. Tanto è articolata la sollecitazione e prendersi cura della cosa pubblica con la partecipazione di tutti, che abbiano o meno una credo religioso di riferimento.

Proprio perché la crisi morde come non mai,  e mostra i limiti dei vecchi punti di riferimento, con crescente insistenza sentiamo parlare di dare vita alla nascita di una nuova presenza politica. Partito cattolico, si continua a semplificare sui giornali ostili.

Su questo siamo stati chiari da tempo. Noi crediamo che sia più corretto, più storicamente e politicamente motivato, guardare ad una forza d’ispirazione cristiana capace di muoversi laicamente e, quindi, in grado di partecipare all’inclusione con altri mondi, altre sensibilità, altre provenienze culturali, persino religiose.

Per questo colleghiamo sempre l’adesione al Pensiero sociale della Chiesa alla Costituzione in cui quel Pensiero venne trasfuso con l’apporto del meglio di altre posizioni ideali ed ideologiche. Grazie a quella Carta, non solamente il popolo italiano sposò pienamente e finalmente la democrazia moderna, ma andò oltre e avviò  un processo di riconoscimento reciproco tra forze potenzialmente deflagranti  tra di loro.

Abbiamo bisogno, dunque, di tornare a quel punto e a quello spirito.

Ora, questo termine di partito cattolico  è utilizzato da degne persone, cito solo padre Cavalcoli per tutti, sicuramente animate da spirito costruttivo. A loro semmai sfugge che, a maggior ragione nell’era della comunicazione diffusa, è necessario non sottovalutare anche il peso della storia e, quindi, neppure lontanamente lasciare intravedere che ci si possa perdere dietro ipotesi integraliste.

Vi sono altri, però, che usano questa formula in maniera molto meno cristallina. Parlano del dare vita ad un partito cattolico o dei cattolici mentre il loro obiettivo, in realtà, è solo quello di ottenere i voti di chi si dice cattolico. Per come la cosa è presentata, si avverte un impulso gregario e subalterno e l’ossessione della ricerca di un leader, indipendentemente da una valutazione della sua storia e della sua coerenza.

E’ cosa che, per certi versi,  rischia allora di riproporre quella lunga fase, in cui siamo stati precipitati per oltre 25 anni, segnata dalla sudditanza in case altrui e definita con il termine irrilevanza. Cosa che ha portato a quella grave piaga della democrazia che si chiama indifferenza, fortemente espressa dall’astensionismo.

Questa ipotesi di partito, cui spesso vengono associati i nomi più disparati, ultimamente anche quello del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dovrebbe servire a costituire il tanto agognato “centro”. I propugnatori di questo progetto sembrano convinti che, per ottenere un gruzzolo di voti, basti dichiarare una propria collocazione. Si sottovalutano del tutto sia la richiesta di veder avviare un processo ben più sostanziale e sostanzioso, perché in grado di smuovere le coscienze e richiamare energie fresche o sopite, sia la necessità della verifica di una pregressa coerenza.

In realtà, si tratta  di costruire le premesse perché gente “nuova” rivolti questo Paese come un calzino per fargli ritrovare non una posizione mediana tra una destra sconsiderata che spaccia il “sovranismo” per un sano sentimento nazionale, talché si rivela, alla fine, contrario agli stessi interessi nazionali, e una sinistra che in effetti non esiste più se non attraverso il perpetuarsi di stanchi apparati elettorali e di potere.

Una novità autentica può venire, lo abbiamo detto più volte, solo da una revisione del metodo politico, dal linguaggio, dal pensare e dall’agire  politico. Questa revisione richiede che s’intenda quale ricerca del “centro” la “centralità” delle questioni che riguardano la  Persona, la famiglia, le aggregazioni naturali di ordine culturale, sociale ed economica, oltre che religiose.

Il ragionare politico, non quello viscerale o ideologizzante, deve pure riguardare  la politica internazionale, la collocazione da riproporre in e per l’Europa, la creazione di una Giustizia giusta ed equanime, una ricomposizione tra le forze sociali, una Scuola che produca sì degli istruiti, ma nelle condizione di aggiungere alla competenza un’autentica educazione.

Abbastanza lungo è l’elenco di quanti sono indicati come pronti a mettersi a capo di una qualche forma di novità politica di cui facciano parte alcuni cattolici. Sì alcuni, perché in questo caso, altri resterebbero a destra e altri ancora a sinistra.

Il nostro intendimento è allora quello di definire e sostanziare un’effettiva autonomia, sulla base di un’ispirazione che significhi chiarezza e lealtà, verificare la capacità progettuale e il convincimento di tutti i disponibili alla creazione di un nuovo progetto. Pronti al confronto e alla collaborazione con tutti, ma altrettanto pronti ad accettare solo ciò che significhi davvero il voler rigenerare completamente l’Italia, a partire dal ritrovare la via verso il “bene comune”.

Giancarlo Infante

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