La pioggia di liquidità delle Banche centrali non basta a garantire che si possa uscire dalla crisi, se i soldi non
arrivano all’economia reale.

Lo ammetto, ormai c’è poco da aggiungere a quanto già non sappiate. Questo periodo, infatti, ha portato clamorosamente a galla le follie che pervadono il mercato da oltre un decennio, rendendole palesi: peccato che, in ossequio alla lotta al virus e al panico collettivo da contagio (debitamente amplificato da media mai così ansiogeni), nessuno paia accorgersene. Volete un esempio?

La Fed ha acquistato bond per 587 miliardi pari al 2,7% del Pil statunitense. In due settimane: per capirci, nell’intero QE2 nei suoi sette mesi di durata arrivò ad acquistare circa 500 miliardi di controvalore obbligazioni.

Wall Street ha messo a segno l’aumento a tre giorni maggiore dal 1931, ma come, giovedì 26, l’indice Dow Jones con i suoi 1.300 punti di aumento sia entrato nuovamente e ufficialmente in bull market, in mercato rialzista, essendo salito di oltre il 20% dai minimi. E sapete a quando risalivano quei minimi? Al venerdì precedente!

Il 26 marzo è giunta la conferma del numero record di 3,3 milioni di americani che hanno presentato la prima richiesta per i sussidi di disoccupazione, oltre il doppio degli 1,7 milioni attesi dalle proiezioni del Bureau of Labor Statistics. Tutto in 24 ore, tutto lo stesso giorno, tutto nello stesso Paese.

Come può un sistema del genere risultare sostenibile? Ma, soprattutto, come si può pensare di uscire da una crisi che si dipinge come strutturale nei capisaldi macro attraverso politiche che sono per due terzi meramente monetarie come quelle della Fed, ovvero designate per salvare per l’ennesima volta Wall Street e i suoi abusi sistemici? Signori, capite da soli che siamo entrati in un loop addirittura peggiore di quello del 2008. Perché, almeno, all’epoca il mondo era ignaro di quanto accadesse da anni sotto il pelo dell’acqua del cosiddetto investment banking e prese coscienza attraverso il sonoro schiaffone del crollo di Lehman Brothers: a quel tempo, però, i livelli di indebitamento ed esposizione alla leva erano sì altissimi, ma non certo pari a quelli attuali. I quali hanno sfruttato senza ritegno oltre un decennio di tassi a zero, liquidità a go-go e possibilità di emettere qualsiasi cosa, millantando risultati operativi falsati, potendo contare sul backstop perenne della Fed (come della Bce o della Bank of Japan).

Siamo in un sistema capitalistico da Banche centrali, ovvero un ossimoro totale. Il quale, in quanto tale, permette abomini logici e del buon senso come quelli accaduti temporalmente in contemporanea il 26 marzo e mostrati in apertura: nel giorno in cui dalla Main Street arriva un grido di dolore con magnitudo doppia di quello atteso, Wall
Street inanella un record dopo l’altro. Il tutto, garantito dagli acquisti folli e totalmente insostenibili della Federal Reserve. Ora, quando nell’intero pacchetto da 2.000 miliardi appena approvato dal Congresso Usa per le piccole e medie imprese, per l’economia reale, sono stanziati circa 300 miliardi di dollari, a fronte di 587 già spesi dalla Fed in sole due settimane per finanziare le banche attraverso l’acquisto della carta che detenevano, quale lezione vi viene da trarre?

E veniamo un attimo all’Europa, contesto che maggiormente ci interessa, soprattutto alla luce dell’ennesima
spaccatura in seno al Consiglio UE rispetto alle misure da mettere in campo per contrastare l’impatto economico della pandemia. Volete sapere come stanno le cose? Anche in questo caso, sprecherò poche parole: a fronte di una crescita della massa monetaria M3 della Bce più che sostenuta, un +5,5% su base annua e una sostanziale tenuta dell’erogazione di credito (per la gran parte, accensione di mutui) ai privati a quota +3,8%, è il sostegno creditizio
alle imprese ad aver rallentato pesantemente, raggiungendo appena il +3%, la lettura più debole dal 2017.

Insomma, se non si mette mano ai principi di funzionamento del QE si possono stanziare anche i fantastiliardi di Zio Paperone, ma non si esce dal circolo vizioso del denaro a pioggia che finisce – sempre e comunque – a favore dei soliti noti. I quali, ovviamente, devono fare i conti con i bilanci, le detenzioni di debito sovrano, le sofferenze e le regole di Basilea: quindi, meccanismo di trasmissione del credito che si attiva con il contagocce.

Così non si riparte, inutile continuare a perseguire una strada che ci ha già portato a sbattere contro il muro. Una prima prova, parlando del nostro Paese, la potremmo avere a breve, quando diverrà stringente il problema dell’ampliamento della cassa integrazione: le grandi aziende possono permettersi di anticipare quel denaro grazie ai flussi di cassa ma le medie, piccole e piccolissime, senza le surroghe bancarie come faranno?

Ci sarà quel regime di surroga? E con quale entità? E in base a quale do ut des? Signori, è il momento di sedersi a un tavolo e guardare dritta negli occhi la sgradevole realtà post-2008 con cui ancora abbiamo a che fare, visto che abbiamo calciato il barattolo in avanti ed evitato accuratamente di risolvere il problema alla radice: o fai la banca o fai il fondo di investimento, tertium non datur. Si arrivi a un reset, costi quello che costi. Dopodiché, se ancora utilizzi denaro che dovrebbe andare all’economia reale per ingrassarti con i trading desk, le detenzioni monstre di debito e i giochini sui derivati, ti saltano filiali, sportelli e bancomat come tappi di champagne a Capodanno. Tempo
zero, dalla sera alla mattina: addio licenza commerciale, fai pure l’hedge fund adesso.

È l’unica strada, il sistema va cambiato. Radicalmente. Oppure, prepariamoci davvero a un’altra Weimar. Globale.

Tratto da un articolo di Mauro Bottarelli pubblicato su Businnes Insider

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