La recente approvazione del Def in Consiglio dei Ministri, e la conseguente polemica relativamente alla previsione di una consistente diminuzione della spesa pubblica per l’istruzione dall’attuale 4% al 3,5% del Pil nel 2025, ci offre la possibilità di una riflessione e ricognizione più ampie sul tema.

Fin dal suo insediamento nel mese di febbraio del 2021, il Governo Draghi ha dichiarato di voler puntare sulla Scuola quale volano per la ripresa e la crescita del Paese, e il ministro Bianchi ha, in più occasioni, confermato tale prospettiva.

Ora – come sovente capita nella vita (soprattutto politica ma non solo) – si tratta di far seguire alle parole i fatti e di dimostrare coerenza. Senza voler utilizzare toni polemici e scandalistici (che non ci appartengono né a livello personale né di partito), vorremmo però ragionare ad alta voce su quanto i “fatti” ci dicono.

Non solo infatti, non troviamo conferma delle intenzioni di valorizzare la scuola e l’istruzione, ma assistiamo ad una previsione in decremento delle risorse ad esse destinate. È pur vero che si tratta di previsioni a lungo termine basate anche sui calcoli delle aspettative demografiche e che, già in passato, nel DEF erano stati ipotizzati tagli poi rivisti (furono i casi dei governi Gentiloni con una previsione al 3,2; Conte uno con il 3,3; e Draghi nel 2021 con il 3,6); risulta però in ogni caso evidente che, mentre su altre voci di spesa (come quella dedicata alla difesa), l’indicazione di una crescita fino al 2% rappresenta una scelta politica chiara e precisa, altrettanto netta appare l’intenzione di non aumentare le risorse nel settore strategico della formazione. Anche perché, se solo lo si fosse voluto, sarebbe bastato – a parità di condizioni e di previsioni – non abbassare la soglia ma semplicemente confermarla al 4% garantendo così un conseguente “aumento” degli investimenti.

Tutto ciò risulta ancor più stridente se confrontiamo il dato attuale (4% del Pil) con quello medio dell’UE che si attesta al 4,7%; un’ulteriore diminuzione ci condannerebbe inevitabilmente a diventare il fanalino dell’Unione con tanti saluti all’ambizioso obiettivo strategico che l’Italia (insieme agli altri Stati del Consiglio Europeo) adottò nell’ormai lontanissimo marzo 2000 a Lisbona:  “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.”

Nel frattempo non vogliamo perdere d’occhio quanto previsto e prospettato sempre in materia di istruzione dal Pnrr (tanto più che, in ogni caso, tali fondi rientrano già nei conteggi predisposti nel Def). Vediamo dunque qual è la situazione*. Ad oggi sono stati banditi 4 avvisi tutti relativi alle infrastrutture:

  • sport a scuola finanziato per complessivi 300 milioni di euro;
  • mense finanziato per complessivi 400 milioni di euro;
  • costruzione di nuove scuole finanziato per complessivi 800 milioni di euro;
  • asili nido e scuole dell’infanzia finanziato per complessivi 3.000 milioni di euro (di cui 2.400 per asili nido 600 per scuole dell’infanzia).

Tutti i bandi sono scaduti tra febbraio e marzo 2022. Per gli ITS al momento non sono ancora stati emanati bandi. Nel frattempo è stato istituito il gruppo di lavoro per il contrasto della dispersione scolastica con il compito di definire le linee guida e fornire le indicazioni atte a consentire alle scuole di partecipare alle azioni del PNRR per contrastare la dispersione scolastica e superare i divari territoriali, un obiettivo al quale il Piano destina uno stanziamento complessivo di 1,5 miliardi.

Sarà fondamentale monitorare, non solo ad opera degli enti istituzionali competenti e degli addetti ai lavori, ma anche e soprattutto da parte della società civile, la progressiva attuazione di quanto programmato in termini di candidature effettivamente presentate, progetti approvati/finanziati e, soprattutto, realizzati.

Marcello Soprani

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